2023-01-26
Avviso a Consob: «Il calcio non deve andare in Borsa»
L’ex presidente Giuseppe Vegas: «Le società non hanno solidità e trasparenza». Debach (eToro): «Educhiamo gli investitori».La Corte ha bocciato il ricorso della Commissione e conferma che i francesi non hanno «il controllo di fatto» sull’ex Telecom. Così non sono costretti a consolidare il debito.Lo speciale contiene due articoli. Nel pieno della bufera sulla Juventus, già penalizzata di 15 punti nella classifica di Serie A per l’inchiesta sulle plusvalenze, l’ex presidente della Consob Giuseppe Vegas prende di mira le società di calcio quotate in Borsa. «Calcio e Borsa sono inconciliabili» sostiene, e anche se «non entro nel merito delle vicende di cui si occuperanno le autorità» nell’eventualità di una quotazione alle società «si richiedono trasparenza e solidità patrimoniale che sono strutturalmente non alla portata dei club», dice il professore di Economia a Milano Finanza.Le parole arrivano in giorni tormentati per il mondo del calcio. Ma sono anche le stesse che aveva espresso nel 2009 Lamberto Cardia, all’epoca presidente dell’Autorità garante del mercato azionario. «Ritengo che la quotazione delle società calcistiche sia stata e resti un errore». E così, a distanza di 14 anni, mentre la Juventus, quotata ormai dal 2001, deve fare fronte a filoni di inchieste che variano dal bilancio fino ai ritardi negli stipendi, lo scorso mese la Roma Calcio ha completato il delisting dopo lo sbarco a piazza Affari nel 2000. Anche i bianconeri e la Lazio dovrebbero seguire l’esempio dei giallorossi? Secondo Vegas, in passato, «vi fu una spinta forte per portare i club in Borsa, assecondata da alcuni proprietari alla ricerca di risorse fresche. Si pensava di risolvere, così, un problema sportivo ed economico. Si immaginava di riuscire a portare trasparenza nel mondo del calcio, imbrigliando i club nelle forme e nelle procedure delle società per azioni e della quotazione in borsa».Invece, sostiene l’ex presidente Consob, «è successo l’opposto: tanta più trasparenza si richiede a chi non è strutturalmente in grado di fornirla, tanto più cresce il rischio di comportamenti non commendevoli». Non nuovo ad attacchi di questo tipo, si pensi a quello verso il governo nel 2020 («Usare il Recovery fund per progetti concreti e non buttare via i quattrini», disse), Vegas rivolge ora la sua attenzione sul mondo del calcio. «Sebbene sia corretto riportare all’attenzione su come l’andamento di titoli sportivi difficilmente si presti alle normali logiche di investimento, pensiamo a come a volte un’azione possa essere venduta dopo la vittoria di un titolo sportivo, oppure a come le valutazioni risultino essere altamente opinabili e soprattutto volatili, il negare l’accesso alla Borsa rischia di creare un precedente, ma soprattutto confusione» puntualizza alla Verità Gabriel Debach, market analyst di eToro. «Quali sarebbero le basi per definire quali business sarebbero giusti e quali sarebbero vietati? In generale, gli investitori dovrebbero essere maggiormente consapevoli del fatto che le azioni delle società calcistiche possono essere più rischiose rispetto a quelle di altri settori, ma anche molti titoli del Nasdaq possiedono tali etichette».Era il 1996 quando l’allora vicepresidente del Consiglio con delega allo Sport, Walter Veltroni, varò il decreto legge numero 485, sostenuto dall’ambiente calcistico, sulla possibilità anche per le società di calcio di avere fini di lucro. In precedenza, invece, c’era l’obbligo di reinvestire gli utili nell’attività sportiva. In questi 27 anni, la quotazione in Borsa delle squadre di calcio ha, di fondo, coltivato il sogno che i tifosi potessero essere azionisti della propria squadra del cuore. Sembrano lontani i tempi di quando Sergio Cragnotti, ex patron della Lazio e della Cirio, sosteneva che «acquisire azioni delle società di calcio può senza dubbio essere un affare». Eppure, dice adesso Vegas, «i tifosi investono e valutano le società non sulla base dei fondamentali economici ma per spirito di squadra, quindi secondo parametri emotivi. È un problema perché la capitalizzazione del club non cambia al variare del valore degli asset del club e dei suoi risultati economici, come accade nelle normali quotate. Chi si muove, e talvolta con logiche speculative, è invece l’azionista di maggioranza».Secondo Debach, però, solo in parte il ragionamento è corretto. «Certamente i tifosi rischiano di giudicare in maniere errata le basi di una squadra; tuttavia, anche le meme stock hanno generato lo stesso percorso». Quindi, conclude il market analyst di eToro, «la soluzione, più che vietare le quotazioni, sarebbe una maggiore educazione finanziaria degli investitori, i quali tendono ancora eccessivamente a valutare l’investimento basandosi sul maggior rendimento rispetto a una ponderazione sul rischio. Osservando l’evoluzione delle principali squadre di calcio europee quotate in Borsa, non è certamente delle migliori, soprattutto per le italiane, con la Lazio in calo di oltre il 99% e la Juventus del 6,7% nonostante gli 11, 12 con quello revocato, campionati vinti dal 2001».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/calcio-borsa-consob-2659310422.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tim-da-cassazione-assist-a-vivendi" data-post-id="2659310422" data-published-at="1674680999" data-use-pagination="False"> Tim, da Cassazione assist a Vivendi La Consob di Paolo Savona va a sbattere contro la Cassazione sul caso Vivendi-Telecom. E la questione rischia di avere ricadute sul futuro della rete unica a poche ore dal tavolo di governo che si terrà oggi e a una settimana dalle dimissioni, dal consiglio di amministrazione di Tim, dell’amministratore delegato di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine. Del resto, come stabilito dalla sentenza, non avendo il controllo della società di telecomunicazioni, l’azionista francese non ha obblighi sul fronte del consolidamento del debito di quasi 30 miliardi di euro. De Puyfontaine aveva deciso di farsi da parte «per tenersi le mani libere» ma, come spiegò il ministro per lo Sviluppo economico, Adolfo Urso, le dimissioni dell’azionista dal board non avrebbero di certo «semplificato la trattativa di Cassa depositi e prestiti sulla rete». Ora è arrivata anche la sentenza della Cassazione a ingarbugliare le cose. Con un’ordinanza che risale all’11 ottobre, ha dichiarato «inammissibile» il ricorso della Consob e confermato che Vivendi non ha «il controllo di fatto» su Tim. L’autorità garante del mercato si è vista, così, bocciare il ricorso contro la decisione del Consiglio di Stato che aveva annullato, su ricorso di Tim e Vivendi, sia la deliberazione della Commissione che qualificava il rapporto partecipativo di Vivendi in Telecom Italia in termini di controllo di fatto, sia la decisione del Tar a favore della Consob. La questione è annosa. Risale all’epoca dell’ingresso dei francesi nella compagnia telefonica, nel giugno del 2015, con una partecipazione iniziale del 6,66%, poi salita fino all’attuale 23,95% circa del capitale. Secondo la Consob, questa quota era sufficiente a determinare il controllo societario di fatto, avallando, dunque, la possibilità in capo a Vivendi della nomina della maggioranza dei consiglieri di amministrazione di Tim il 13 settembre del 2017. Nell’agosto del 2017, la società francese aveva ribadito in una nota, su richiesta dell’autorità, come «la partecipazione detenuta in Telecom Italia» non fosse «sufficiente a determinare alcuno stabile esercizio di una influenza dominante sulle assemblee dei soci di Telecom Italia». E aveva aggiunto come «a tal proposito, da tutti i dati empirici – ivi inclusa la presenza alle assemblee ordinarie dei soci di Telecom Italia a decorrere dal 22 giugno 2015 fino al 4 maggio 2017, la partecipazione detenuta dai presenti e l’esito delle deliberazioni assunte – emerge univocamente che Vivendi non detiene una posizione di controllo nelle assemblee ordinarie dei soci di Telecom Italia». Sempre quell’anno, Tim aveva deciso di impugnare la decisione della Consob di fronte al Tar che aveva legittimato l’accertamento dell’autorità. A questo punto era stato il Consiglio di Stato (il 14 dicembre 2020) a ribaltare la questione, annullando la delibera di Consob. Ora è arrivata la conferma da parte della Cassazione dopo il ricorso della nostra autorità garante. «Dal momento in cui abbiamo insediato il tavolo» sulla rete nazionale, che «riprende domani (oggi, ndr), «il titolo di Tim in Borsa è cresciuto del 27-28%. Nei mesi precedenti, aveva perso quasi la metà del proprio valore», ricordava ieri il ministro Urso durante la sua prima missione a Bruxelles. «Il che vuol dire», ha aggiunto, «che la Borsa crede nell’azione che il governo ha messo in piedi per realizzare la rete nazionale a controllo pubblico per innervare l’intero Paese e diventare un vantaggio competitivo come noi crediamo che debba essere. Stiamo facendo un percorso comune con tutti gli attori che partecipano: quelli istituzionali, i ministeri ma anche gli attori privati e pubblici e, credo, che qualche risultato lo si abbia già avuto», ha aggiunto Urso. Sempre secondo il ministro, «il punto fermo è una rete nazionale a controllo pubblico e, quindi, a guida di Cassa depositi e prestiti. Questo non esclude che anche altri attori possano partecipare nel realizzare questo progetto».
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)
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L’area tra Varese, Como e Canton Ticino punta a diventare un laboratorio europeo di eccellenza per innovazione, finanza, sviluppo sostenibile e legalità. Il progetto, promosso dall’associazione Concretamente con Fabio Lunghi e Roberto Andreoli, prevede un bond trans-frontaliero per finanziare infrastrutture e sostenere un ecosistema imprenditoriale innovativo. La Banca Europea per gli Investimenti potrebbe giocare un ruolo chiave, rendendo l’iniziativa un modello replicabile in altre regioni d’Europa.