
Consiglio di amministrazione fiume di Cir. Il nodo valutare la partecipazione in Gedi (e quanto rimetterci). Con l'arrivo degli Elkann, Carlo Verdelli rischia la direzione. Per la guida del gruppo editoriale avanza il grande ex.Ci sono gesti incomprensibili che improvvisamente diventano lampanti. Ci si chiedeva un mese e mezzo fa per quale motivo Carlo De Benedetti avesse sentito il bisogno di prendere a schiaffi i figli («Gestione inefficace, stanno rovinando tutto») sulla conduzione del gruppo Repubblica-L'Espresso. Oggi è tutto chiaro, lo stavano vendendo e non a lui, che l'avrebbe pagato a prezzo di saldo. L'uscita pubblica con lo scopo di mandare a monte l'operazione non funzionò, il treno corre e l'offerta di John Elkann per acquistare il pacchetto e diventare il Citizen Kane dell'editoria italiana piace al mercato. Ieri, giorno del cda della Cir (ancora in corso quando questo giornale è andato in stampa, ndr) di Marco e Rodolfo De Benedetti, il titolo Gedi - che comprende anche Stampa, Secolo XIX, 12 giornali locali, Huffington Post, e i gioielli Radio Deejay e Radio Capital - è salito del 6% prima della sospensione in attesa di comunicazioni. Bene anche il titolo Exor (la cassaforte degli Agnelli), che ha fatto registrare +1%. L'operazione è complessa, ma c'è la ferma volontà di portarla a termine. I fratelli De Benedetti vedono in questa cessione la soluzione di tutti i loro problemi industriali in un settore fragile come quello dell'editoria. Il declino è inesorabile: nel 2017 il gruppo ha perso 120 milioni, nel 2018 ne ha persi 32 e nel primo semestre di quest'anno il bilancio è in rosso per 19 milioni. Un'emorragia micidiale soprattutto per la corazzata di carta, Repubblica, vera idrovora di risorse nonostante il rilancio tentato da Carlo Verdelli, nettamente più ruggente nei toni, nei contenuti e nella identità ideologica di Mario Calabresi. La svolta non ha dato i risultati sperati, le copie sono scese sotto le 150.000 in edicola e il grande sforzo digitale (pur con ricavi importanti) non riesce a riequilibrare conti sempre più scoraggianti. È chiaro il motivo che induce i fratelli De Benedetti a sbarazzarsi dell'editoria: mentre Kos e Sogefi - le altre realtà della holding - producono utili operativi rispettivamente per 50 e 37 milioni, Gedi è una palla al piede. Inoltre, l'azione a 28 centesimi testimonia l'irrilevanza che il mercato decreta a un asset una volta strategico. Come diceva il proprietario del New York Times, Arthur Sulzberger jr, «di questi tempi farsi trovare con le mani sporche di inchiostro è delittuoso». In vista della chiusura i De Benedetti discutono ancora se vendere tutto o tenere una partecipazione, ma la chiave di volta dell'operazione è il prezzo. Oggi in borsa Gedi vale 140 milioni, il 43,3% debenedettiano è attorno ai 63, mentre Cir ha a bilancio il gruppo a 273 milioni. Una forbice larghissima, una realtà virtuale che prevede un premio d'uscita di Exor molto importante. E se anche John Elkann dovesse chiudere con un'offerta stellare (170 milioni, comunque meno del costo di Cristiano Ronaldo) i De Benedetti avrebbero un buco di 100. «Meglio una botta una tantum che uno stillicidio mortale», sussurrano da dentro il gruppo. L'acquisizione viene ritenuta strategica dalla famiglia Agnelli. Dopo la vendita di Fiat-Chrysler ai francesi di Peugeot sono da prevedersi interventi straordinari sulla mano d'opera e sui colletti bianchi negli stabilimenti italiani; avere il monopolio o quasi dell'informazione mainstream diventa strategico. Dai tempi dell'Avvocato la famiglia ha sempre avuto un debole per l'editoria e oggi controlla L'Economist. Quindi il suo rientro nel mondo dell'informazione italiana non appare una bizzarria, anche se arriva dopo l'uscita di scena dalla maggioranza del Corriere della Sera avvenuta meno di quattro anni fa. Allora sulla tolda c'era ancora Sergio Marchionne, che da sempre riteneva quello dei giornali un business finito. Ma oggi Exor ha le spalle larghissime per accollarsi la patata bollente: dalla vendita di Fca ha ricevuto un dividendo di 5,5 miliardi e ha il portafoglio gonfio.I primi a capire il senso della svolta e i pericoli connessi sono stati i giornalisti di Repubblica. Subito dopo la conferma dei rumors, il comitato di redazione ha emesso un comunicato che suona come uno svegliarino preventivo: «Ci impegneremo a tutelare in tutte le sedi l'autonomia, l'indipendenza, la libertà dei giornalisti e a difendere la storia del quotidiano e ciò che rappresenta sin dal giorno della fondazione. Ci opporremo a qualsiasi tentativo di imporre ulteriori sacrifici a una redazione già fortemente provata da tagli e stati di crisi». È la fine del giornale partito, anche se la contrazione delle vendite aveva fatto capire a tutti che quella stagione è definitivamente tramontata. Oggi non è Repubblica a imporre le scelte alla sinistra, ma sono le «sardine» a imporre i titoli di prima pagina a Repubblica. Il passaggio di mano potrebbe coincidere con due accadimenti. Il ritorno di Mario Calabresi, ex direttore della Stampa molto stimato da Elkann, come direttore editoriale del gruppo, e l'uscita di scena dei senatori di De Benedetti senior (Eugenio Scalfari, Ezio Mauro, Corrado Augias). Anche Carlo Verdelli è in bilico. Troppo frontale per lo stile sabaudo e con il peccato originale: ai tempi di Calciopoli schierò la Gazzetta dello Sport contro la Juventus del sistema Moggi-Giraudo. A Torino non l'hanno mai dimenticato.
Roberta Bruzzone (Ansa)
La criminologa porta in teatro una sua «anatomia» delle relazioni malate: «Riconoscere queste persone è difficile. Non provate mai a cambiarle: l’amore non è un sacrificio».
Il paradosso è che l’amore terreno, la cosa comunemente più attraente e ricercata del mondo, è un gioco a scacchi non solo con il destino, ma anche con la morte, come nel Settimo sigillo di Bergman oppure, per richiamare la commedia all’italiana, nel Vedovo di Dino Risi, con Sordi e la Valeri. Tuttavia, chi cerca un partner può imbattersi in una trappola, talvolta rovinosa e talaltra mortale, architettata dal narcisista maligno a danno di una vittima sana ma sovente fragile. La nota psicologa e criminologa Roberta Bruzzone spiega che la strategia dei narcisisti (o delle narcisiste) maligni si basa sulla «chimica dell’inganno».
(Arma dei Carabinieri)
I militari del Comando di Milano hanno seguito fino in provincia di Bergamo un Tir sospetto con targa spagnola. Arrestati tre italiani e un cittadino spagnolo. Sequestrate anche armi da fuoco.
Nella serata del 25 novembre i Carabinieri della Compagnia di Milano Duomo hanno arrestato per detenzione illecita di sostanze stupefacenti due bergamaschi, un palermitano e un soggetto di nazionalità spagnola, rispettivamente di 28, 32, 29 e 54 anni.
I militari dell'Arma, nel corso di un più ampio servizio di prevenzione generale organizzato per le vie di Milano, insospettiti da un autoarticolato con targa spagnola di dubbia provenienza, dopo una prima fase di monitoraggio fino alla provincia di Bergamo, hanno sorpreso i soggetti mentre scaricavano 10 borsoni dal mezzo, all’interno di un capannone.
Alla perquisizione, sono stati trovati 258 chilogrammi di hashish, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati.
L’autoarticolato, sottoposto a sequestro, è risultato dotato di un doppio fondo utilizzato per nascone la droga.
Nel corso dei successivi accertamenti sviluppati nelle abitazioni degli indagati, sono stati rinvenuti in casa del 28enne altri 86 chili di hashish, termosigillati e nascosti all’interno di un congelatore oltre a materiale per il confezionamento, due pistole cariche con matricola abrasa, munizioni e materiale riconducibile ad altri reati tra cui t-shirt riportanti la scritta «Polizia», un paio di manette, una maschera per travestimento, il tutto ancora ancora al vaglio degli inquirenti. Per il 28enne è scattato l’arresto anche per detenzione abusiva di arma clandestina. Nell’abitazione del 29enne sono stati invece trovati altri 4 chilogrammi di droga, anche questi custoditi in un congelatore, suddivisi in panetti da 100 grammi ciascuno e termosigillati. Complessivamente, sono stati sequestrati circa 348 chilogrammi di hashish.
Su disposizione del Pubblico Ministero di turno presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Bergamo, i quattro sono stati portati nel carcere di San Vittore di Milano in attesa dell’udienza di convalida.
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Brian Hughes (Getty Images)
L’uomo messo da Trump alla Nasa come capo dello staff: «Torneremo sulla Luna anche con partner italiani. Vogliamo creare una economia spaziale di tipo commerciale. Con l’agenzia russa continuiamo a collaborare».
Politico lo ha definito ad agosto «l’uomo di Trump all’interno della Nasa». È stato senior advisor dell’attuale presidente americano durante la campagna elettorale del 2024. Poi, dopo la vittoria, Trump lo aveva nominato vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca con delega alle comunicazioni strategiche. Tutto questo fino a maggio, quando il presidente lo ha fatto designare capo dello staff della Nasa. Brian Hughes ha quindi assunto un ruolo chiave all’interno di un’agenzia che Donald Trump considera strategica sia sul piano tecnologico che su quello geopolitico: un’agenzia che l’inquilino della Casa Bianca vuole adesso sottoporre a una serie di riforme per incrementarne l’efficienza, ridurne i costi e rafforzarne i legami con il settore privato.
Nel riquadro Francesco Morcavallo (iStock)
Francesco Morcavallo: «Le autorità non possono intervenire sullo stile di vita se non limita la libertà altrui, altrimenti è Stato etico. Le strutture che ospitano bimbi hanno un giro di miliardi».
Lei ora è avvocato dopo essersi occupato di minori in quanto magistrato, giusto?
«Ho lasciato la magistratura nel 2013».
Si fa un gran parlare di riforma della giustizia, lei che idea si è fatto?
«La riforma della giustizia sul tema della giustizia dei minori è marginale. In Italia la riforma della giustizia civile avrebbe bisogno di scelte coraggiose, tipo decongestionare l’attività dei tribunali».






