2022-04-27
Bruxelles e intellò contro la libertà promessa da Musk sul suo Twitter
La cessione della piattaforma al magnate contrario alla censura agita l’Europa: «Dovrà rispettare le regole». Preoccupati dal libero pensiero anche i progressisti nostrani, democratici e pluralisti a giorni alterni.Elon Musk si è comprato Twitter sborsando 44 miliardi di dollari e così è diventato il nuovo proprietario del social network. A parte la ridda di commenti deficienti apparsi sui social - ma la cosa non meraviglia - l’operazione compiuta da Musk, in Europa va ancora ricordato purtroppo, è un’operazione di mercato, legittima fino a prova del contrario, piaccia o non piaccia poco conta. Lo stesso magnate ha affermato che vuole reintrodurre su Twitter il free speech, cioè la libertà di parola e di esprimere ogni opinione. Con la tempestività che Bruxelles dovrebbe adottare per le decisioni importanti - ad esempio gli aiuti per il caro bollette, che se va di questo passo vedremo quando l’Italia si sarà trasformata di nuovo nell’era glaciale - dicevamo, con un improvviso scatto di reni il Commissario europeo al Mercato interno, monsieur Thierry Breton ha detto che «Elon Musk dovrà adattarsi alle regole europee e in particolare al nuovo regolamento sui servizi digitali, il Digital services act (Dsa) approvato sabato dal Parlamento europeo e che costringerà le principali piattaforme social a rimuovere tempestivamente i contenuti illegali». L’avverbio «tempestivamente» sta all’Europa come la bava lasciata dalle lumache lungo il loro percorso sta alla velocità. Fino a oggi l’Europa di tempestivo ha fatto più cose inutili che utili. E se avesse voluto essere tempestiva in questo campo avrebbe dovuto adottare queste norme almeno dieci anni fa. Dicono che Musk sia caduto in preda ad una crisi di nervi e che sia stato immediatamente costituito un consulto di psichiatri e psicoterapeuti allorché il noto maestro di retorica Beppe Severgnini ha tuonato sul Twitter: «Se free speech però vuol dire liberà di insultare, diffamare, minacciare e mentire (in forma anonima, of course), o di sovvertire la democrazia (come ha provato a fare Trump), allora @twitter non ci interessa più, caro @elonmusk #twittersold». Si sarà chiesto Elon Musk: «Ma che senso può avere aver speso 44 miliardi di dollari se Beppe Severgnini non sarà più d’accordo con me e con la mia gestione abbandonando irrecuperabilmente la piattaforma social di cui sono divenuto indebitamente proprietario? Non sarà il caso di rivenderlo immediatamente?». Nella furia retorica al Severgnini è sfuggito che lo stesso Musk ha dichiarato che vorrà identificare gli utenti singoli senza lasciare spazio all’anonimato. Se solo facesse questo saremmo ben oltre quello che pachidermici legislatori non si sono ancora decisi a fare. Anche perché la responsabilità penale è individuale e se non individui chi ha commesso il reato non puoi comminare né sanzione né pena. Ma questi sono particolari giuridici appartenenti alla vecchia tradizione occidentale almeno dal diritto romano in poi, che poco interessano ai nostri illuminati commentatori italiani ed europei. Nelle brume di pensieri confusi, astratti, nelle fumisterie ideologico-sociologiche dalle quali siamo vomitevolmente avvolti, la sottigliezza giuridica appare come un orpello. Ci volevano proprio Severgnini e Breton per distinguere la libertà di espressione dall’abuso di essa. Forse ci volevano per i loro amici, a noi bastava quello che c’è scritto dal Codice giustinianeo in poi. Vedremo cosa farà Elon Musk di Twitter. Di solito ci piace giudicare qualcuno dopo che ha fatto le cose e non prima presumendo cosa farà. Siam fatti così. Saremo anche fatti male ma almeno siamo confortati da venti secoli di civiltà giuridica, gli altri ci paiono confortati da venti secondi di onanismo mentale che, data la durata, potrebbe anche segnalarsi come onanismo precox. Tutta gente che si riempie la bocca con i pregi della liberaldemocrazia salvo due eccezioni. La prima: vanno bene le acquisizioni se sono fatte da chi ci piace, e non se rispettano i contratti e le regole di mercato e della concorrenza. La seconda. Va bene il free speech (tenendo fuori ovviamente quello illegale) ma anche qui va meglio quello di chi ci piace. Insomma, liberaldemocratici ma a modo loro. Una sorta di liberaldemocrazia a targhe alterne, a seconda dei colori, a seconda degli umori e soprattutto dei rumori che quelli alla Severgnini chiamano rumors, of course. Altro che tradizione giuridica occidentale. «Ma ci faccia il piacere» come avrebbe detto il grande umanista Totò.
Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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