2023-11-25
Bruxelles approva le modifiche al Pnrr. Esulta la Meloni: «Altri 21 miliardi»
La Commissione, che teme l’esito delle Europee, dà il via libera ai cambiamenti: il testo non è intoccabile come sosteneva il Pd.Matteo Salvini precetta ancora lo sciopero. I sindacati avevano proclamato un giorno intero di stop per lunedì 27 novembre. L’Usb: «Niente passi indietro».Lo speciale contiene due articoli.Ci avevano ripetuto a mo’ di mantra che il Pnrr era scolpito nella roccia, come le tavole dei comandamenti, e che parlare di riformulazione equivalesse a giocare col fuoco e mandare a picco il Paese. Nella prima fase del governo Meloni, è stato senza dubbio questo l’argomento preferito dall’opposizione fuori e dentro il Parlamento per attaccare l’esecutivo e tacciarlo di incapacità. Poi ieri, a metà mattinata, si scopre che tutte le modifiche proposte dall’Italia alla Commissione europea sono state accolte, addirittura comportando un aumento complessivo delle risorse a nostra disposizione. E si è intuito, forse, che di questi tempi, con la crisi che morde e le opinioni pubbliche nazionali sfiancate dall’inflazione e dall’emergenza immigrazione illegale, a Bruxelles sono più disposti al compromesso. In soldoni, più deboli e preoccupati di salvare il salvabile in vista delle prossime europee.Morale della favola, la Commissione ha dato una valutazione positiva alle modifiche apportate dal governo italiano al Pnrr, che comprende un capitolo RepowerEu e ora vale 194,4 miliardi di euro (122,6 miliardi di euro di prestiti e 71,8 miliardi di euro di sovvenzioni) nonché 66 riforme (sette in più rispetto al piano originale) e 150 investimenti. Per quanto riguarda RepowerEu, questo capitolo comprende cinque nuove riforme, cinque investimenti potenziati basati su misure esistenti e 12 nuovi investimenti per realizzare l’obiettivo di rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi entro il 2030. Sempre parlando di obiettivi e numeri, il nuovo Pnrr comprende 145 misure tra quelle nuove o riviste e copre le misure previste dal capitolo RepowerEu, vale a dire le riforme in settori come giustizia, appalti pubblici e concorrenza. La Commissione ha accolto in toto le tesi dell’Italia a sostegno delle modifiche: nella nota in cui informava del via libera, Bruxelles ha spiegato che le modifiche «si basano sulla necessità di tenere conto di circostanze oggettive che ostacolano la realizzazione di determinati investimenti come originariamente pianificato, tra cui l’elevata inflazione sperimentata nel 2022 e nel 2023, le interruzioni della catena di approvvigionamento causate dalla guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina e la disponibilità di alternative migliori per raggiungere l’ambizione originaria di determinati investimenti». «Si prevede», aggiunge la Commissione, «che diverse misure del piano modificato dell’Italia contribuiranno a migliorare la competitività e la resilienza dell’economia italiana». Numerose e fortemente soddisfatte le reazioni da parte degli esponenti del governo e della maggioranza (mute le opposizioni), a partire dal presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale nel corso dell’incontro a Palazzo Chigi con le associazioni datoriali ha sottolineato che la modifica del Pnrr «mette a disposizione della crescita economica italiana altri 21 miliardi di euro, in pratica una seconda manovra economica in gran parte destinata allo sviluppo e alla competitività del tessuto produttivo italiano: la necessità di assicurare la piena complementarità tra le politiche ordinarie e il Pnrr è stata da sempre un obiettivo di questo governo». «Abbiamo la conferma», ha proseguito il premier, «di aver fatto un lavoro di cui il governo può essere molto fiero. Abbiamo fatto ciò che avevamo promesso che avremmo fatto, siamo scesi nel concreto, abbiamo verificato le criticità e le abbiamo superate, abbiamo fatto in modo che tutti i soldi del Pnrr venissero spesi nei tempi e quindi abbiamo concentrato le risorse sulla crescita e la modernizzazione della nazione e mi pare che il risultato, sul quale in pochi scommettevano, dice che non era una scelta sbagliata. Ringrazio anche la Commissione europea», ha detto ancora la Meloni, «che è stata sicuramente rigida per certi versi, ma molto aperta alla possibilità che queste risorse fossero spese nel migliore dei modi». Le ha fatto eco il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti da Milano, evidenziando che dalla modifica del Pnrr «arriveranno 12 miliardi in più nei prossimi anni per aiutare il sistema delle imprese». «Avevo detto che la manovra si componeva di quattro elementi», ha aggiunto, «la delega fiscale, il dl Anticipo, il ddl di bilancio e la revisione del Pnrr, ora tutto il puzzle ha ritrovato i suoi pezzi». In conferenza stampa, nel tardo pomeriggio, il ministro competente Raffaele Fitto è entrato maggiormente nel dettaglio delle modifiche e di cosa queste comporteranno: «Il piano aumenta di dimensione la quota di finanziamento sul RepowerEu pari a 2,7 miliardi di euro più un piccolo ricalcolo di altri 100 milioni di euro per un totale di 2,8 miliardi di euro. Complessivamente», ha aggiunto, «il finanziamento del Repower insieme al finanziamento delle altre misure rappresenta il punto centrale dell’azione del governo. Esistono sette nuove riforme che si aggiungono a quelle previste, cinque all’interno del Repower, altre due sugli incentivi e sulla coesione che rappresentano un’altra grande sfida e un messaggio importante in questa direzione». Poi Fitto ha annunciato che il governo sta definendo con Bruxelles «gli ultimi aspetti per giungere alla definizione del pagamento della quarta rata entro il 31 dicembre 2023».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bruxelles-approva-modifiche-pnrr-2666351169.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="salvini-precetta-ancora-lo-sciopero-lunedi-mezzi-fermi-solo-quattro-ore" data-post-id="2666351169" data-published-at="1700923259" data-use-pagination="False"> Salvini precetta ancora lo sciopero. Lunedì mezzi fermi solo quattro ore «Nessun attacco al diritto di sciopero ma non accetto 24 ore di blocco del trasporto pubblico perché sarebbe il caos. Se applicano il buon senso non intervengo, ma se pensano di fermare tutta l’Italia per 24 ore non lo permetterò e farò tutto quello che la legge mi permette di fare». Il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture, Matteo Salvini, non cambia idea e fa il bis bloccando i sindacati. Come già accaduto venerdì 17 novembre in occasione dello sciopero generale indetto da Cgil e Uil, quando ha deciso di precettare i lavoratori del settore dei trasporti, ieri il ministro ha firmato la lettera di precettazione per ridurre anche lo sciopero di lunedì 27 novembre proclamato dai sindacati di base, Usb, Cub trasporti, Cobas lavoro privato, Adl Cobas e Al Cobas sgb, dalle annunciate 24 ore a quattro ore, quindi dalle 9 alle 13. L’annuncio arriva direttamente dal Mit che chiarisce: «Non tutti i sindacati coinvolti hanno proposto di incrociare le braccia tutto il giorno». Salvini tiene a precisare che il diritto allo sciopero è sacrosanto e auspica un sempre maggior coinvolgimento di tutte le realtà sindacali da parte delle aziende con l’obiettivo di risolvere i contenziosi: «Cercherò di aiutare gli autisti che lamentano bassi stipendi». Fermo il comunicato dei sindacati: «Come organizzazioni sindacali di base e conflittuali non faremo un passo indietro sul diritto di sciopero», afferma l’Usb in una nota dopo la precettazione. «L’incontro delle organizzazioni sindacali con il ministro Salvini sulla mobilitazione di sciopero nazionale di 24 ore degli autoferrotranvieri», si legge nel comunicato, «conferma le posizioni di un governo che vuole imporre la limitazione di un diritto costituzionale già fin troppo penalizzato da leggi e normative che si sono susseguite fin dagli anni Novanta con tanto di benestare di Cgil Cisl Uil», attacca l’Usb. Lo sciopero era stato indetto per chiedere «aumenti salariali dignitosi», «migliori condizioni di lavoro», il «blocco delle privatizzazioni» e la «tutela della salute e della sicurezza». Epperò il leader della Lega e responsabile del Mit è fermamente determinato a ridurre al massimo i disagi per i cittadini, anche alla luce di agitazioni che ormai sono diventate molto frequenti, e che colpiscono con particolare insistenza il settore dei trasporti proprio nell’ultimo giorno settimanale, prima del weekend o all’inizio della settimana lavorativa. La precettazione la volta scorsa era stata definita dai sindacati un «atto politico gravissimo» e un «attacco al diritto di sciopero» tanto da decidere di far ricorso. «Insieme alla Uil stiamo lavorando per presentare il ricorso contro la precettazione, nel rispetto delle norme di legge. Abbiamo deciso di farlo e messo i legali al lavoro per predisporlo nei tempi previsti, quindi pochi giorni», aveva detto il segretario della Cgil Maurizio Landini. Ancora una volta invece Salvini si appella «al buonsenso dei sindacati» non avendo alcuna intenzione di penalizzare i cittadini che vogliono lavorare o spostarsi in libertà. Ieri intanto giornata di mobilitazione organizzata e promossa da Cgil e Uil, come già successo sette giorni fa, che sono scese in piazza nell’ambito delle proteste contro il governo affinché vengano cambiate la manovra e le politiche economiche e sociali. Nelle regioni del Nord (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Trentino Alto Adige, Val d’Aosta e Veneto) i lavoratori hanno incrociato le braccia per otto ore o per l’intero turno, per una manifestazione di dissenso che ha riguardato tutti i settori eccetto la scuola, i trasporti e il pubblico impiego.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Giorgetti ha poi escluso la possibilità di una manovra correttiva: «Non c'è bisogno di correggere una rotta che già gli arbitri ci dicono essere quella rotta giusta» e sottolinea l'obiettivo di tutelare e andare incontro alle famiglie e ai lavoratori con uno sguardo alle famiglie numerose». Per quanto riguarda l'ipotesi di un intervento in manovra sulle banche ha detto: «Io penso che chiunque faccia l'amministratore pubblico debba valutare con attenzione ogni euro speso dalla pubblica amministrazione. Però queste sono valutazioni politiche, ribadisco che saranno fatte solo quando il quadro di priorità sarà definito e basta aspettare due settimane».
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Il direttore generale di Renexia Riccardo Toto e il direttore de La Verità Maurizio Belpietro
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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Da sinistra, Leonardo Meoli (Group Head of Sustainability Business Integration), Marzia Ravanelli (direttrice Quality & Sustainability) di Bonifiche Feraresi, Giuliano Zulin (La Verità) e Nicola Perizzolo (project engineer)
Al panel su Made in Italy e sostenibilità, moderato da Giuliano Zulin, vicedirettore de La Verità, tre grandi realtà italiane si sono confrontate sul tema della transizione sostenibile: Bonifiche Ferraresi, la più grande azienda agricola italiana, Barilla, colosso del food, e Generali, tra i principali gruppi assicurativi europei. Tre prospettive diverse – la terra, l’industria alimentare e la finanza – che hanno mostrato come la sostenibilità, oggi, sia al centro delle strategie di sviluppo e soprattutto della valorizzazione del Made in Italy. «Non sono d’accordo che l’agricoltura sia sempre sostenibile – ha esordito Marzia Ravanelli, direttrice del Gruppo Quality & Sustainability di Bonifiche Ferraresi –. Per sfamare il pianeta servono produzioni consistenti, e per questo il tema della sostenibilità è diventato cruciale. Noi siamo partiti dalla terra, che è la nostra anima e la nostra base, e abbiamo cercato di portare avanti un modello di valorizzazione del Made in Italy e del prodotto agricolo, per poi arrivare anche al prodotto trasformato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di farlo nel modo più sostenibile possibile».
Per Bf, quotata in Borsa e con oltre 11.000 ettari coltivati, la sostenibilità passa soprattutto dall’innovazione. «Attraverso l’agricoltura 4.0 – ha spiegato Ravanelli – siamo in grado di dare al terreno solo quello di cui ha bisogno, quando ne ha bisogno. Così riduciamo al minimo l’uso delle risorse: dall’acqua ai fitofarmaci. Questo approccio è un grande punto di svolta: per anni è stato sottovalutato, oggi è diventato centrale». Ma non si tratta solo di coltivare. L’azienda sta lavorando anche sull’energia: «Abbiamo dotato i nostri stabilimenti di impianti fotovoltaici e stiamo realizzando un impianto di biometano a Jolanda di Savoia, proprio dove si trova la maggior parte delle nostre superfici agricole. L’agricoltura, oltre a produrre cibo, può produrre energia, riducendo i costi e aumentando l’autonomia. È questa la sfida del futuro». Dall’agricoltura si passa all’industria alimentare.
Nicola Perizzolo, project engineer di Barilla, ha sottolineato come la sostenibilità non sia una moda, ma un percorso strutturale, con obiettivi chiari e risorse ingenti. «La proprietà, anni fa, ha preso una posizione netta: vogliamo essere un’azienda di un certo tipo e fare business in un certo modo. Oggi questo significa avere un board Esg che definisce la strategia e un piano concreto che ci porterà al 2030, con un investimento da 168 milioni di euro».Non è un impegno “di facciata”. Perizzolo ha raccontato un esempio pratico: «Quando valutiamo un investimento, per esempio l’acquisto di un nuovo forno per i biscotti, inseriamo nei costi anche il valore della CO₂ che verrà emessa. Questo cambia le scelte: non prendiamo più il forno standard, ma pretendiamo soluzioni innovative dai fornitori, anche se più complicate da gestire. Il risultato è che consumiamo meno energia, pur garantendo al consumatore lo stesso prodotto. È stato uno stimolo enorme, altrimenti avremmo continuato a fare quello che si è sempre fatto».
Secondo Perizzolo, la sostenibilità è anche una leva reputazionale e sociale: «Barilla è disposta ad accettare tempi di ritorno più lunghi sugli investimenti legati alla sostenibilità. Lo facciamo perché crediamo che ci siano benefici indiretti: la reputazione, l’attrattività verso i giovani, la fiducia dei consumatori. Gli ingegneri che partecipano alle selezioni ci chiedono se quello che dichiariamo è vero. Una volta entrati, verificano con mano che lo è davvero. Questo fa la differenza».
Se agricoltura e industria alimentare sono chiamate a garantire filiere più pulite e trasparenti, la finanza deve fare la sua parte nel sostenerle. Leonardo Meoli, Group Head of Sustainability Business Integration di Generali, ha ricordato come la compagnia assicurativa lavori da anni per integrare la sostenibilità nei modelli di business: «Ogni nostra attività viene valutata sia dal punto di vista economico, sia in termini di impatto ambientale e sociale. Abbiamo stanziato 12 miliardi di euro in tre anni per investimenti legati alla transizione energetica, e siamo molto focalizzati sul supporto alle imprese e agli individui nella resilienza e nella protezione dai rischi climatici». Il mercato, ha osservato Meoli, risponde positivamente: «Vediamo che i volumi dei prodotti assicurativi con caratteristiche ESG crescono, soprattutto in Europa e in Asia. Ma è chiaro che non basta dire che un prodotto è sostenibile: deve anche garantire un ritorno economico competitivo. Quando riusciamo a unire le due cose, il cliente risponde bene».
Dalle parole dei tre manager emerge una convinzione condivisa: la sostenibilità non è un costo da sopportare, ma un investimento che rafforza la competitività del Made in Italy. «Non si tratta solo di rispettare regole o rincorrere mode – ha sintetizzato Ravanelli –. Si tratta di creare un modello di sviluppo che tenga insieme produzione, ambiente e società. Solo così possiamo guardare al futuro».In questo incrocio tra agricoltura, industria e finanza, il Made in Italy trova la sua forza. Il marchio non è più soltanto sinonimo di qualità e tradizione, ma sempre di più di innovazione e responsabilità. Dalle campagne di Jolanda di Savoia ai forni di Mulino Bianco, fino alle grandi scelte di investimento globale, la transizione passa per la capacità delle imprese italiane di essere sostenibili senza smettere di essere competitive. È la sfida del presente, ma soprattutto del futuro.
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