2022-06-09
«Bruciati 930.000 posti nei servizi»
Carlo Sangalli (Imagoeconomica)
Il bilancio di Confcommercio sulla crisi innescata dal Covid: «Senza terziario l’Italia non ripartirà. Sulle concessioni bisogna trovare un equilibrio fra mercato e diritti».«I servizi hanno lasciato sul campo della pandemia 930.000 unità di lavoro rispetto al 2019. E questo minaccia la capacità di ripresa dell’intero Paese. Se non riparte il terziario, non riparte l’Italia». L’allarme è stato lanciato ieri pomeriggio dal presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, in occasione dell’assemblea generale della confederazione. Insieme con un accorato appello, ovvero quello di creare un patto per rafforzare la partecipazione al mercato del lavoro e per far crescere i salari, perché «bisogna fare attenzione a non scambiare tra loro cause ed effetti. Non ci sono scorciatoie e, se ci sono, sono pericolose». Sangalli ha inoltre proposto misure a favore dei negozi di prossimità, dei ristoranti, di tutti quei punti di vendita e d’incontro che costituiscono «il modello italiano di pluralismo distributivo» non solo per rilanciare l’economia e la crescita, ma anche per avere «città più inclusive, produttive e attrattive», che, afferma, «sono la base per la riduzione dei divari».A livello europeo, «vanno anche riviste in modo strutturale le regole di formazione del prezzo dell’elettricità, anche introducendo un tetto a quello del gas» perché «quello che non ha fatto la pandemia ai servizi e al commercio, rischiano di farlo gli insopportabili costi energetici».Sulle concessioni demaniali, «il tema è trovare l’equilibrio tra un’apertura del mercato e la tutela dei diritti degli attuali concessionari», ha poi aggiunto Sangalli ricordando che «gli imprenditori chiedono regole, regole giuste». E che «è passato il messaggio che il nostro mondo fosse contro le ragioni del libero mercato e della concorrenza. Non è così. Noi siamo da sempre a favore della concorrenza, anche se talvolta è dolorosa, spesso implacabile». Riguardo la cessione del credito dei bonus edilizi -ha poi evidenziato nel suo intervento - le misure del recente decreto Aiuti vanno nella giusta direzione ma non sono ancora sufficienti. Perché molte aziende stanno rischiando il corto circuito economico e finanziario e si ritrovano con il cassetto fiscale pieno di crediti bloccati. Confcommercio chiede maggiori tutele anche per la filiera turistica che è quella che «ha più sofferto nella stagione della pandemia. Oggi le prospettive per il turismo italiano sono buone, certo. Ma non bastano pur significativi segni più: serve un recupero completo e questo è ancora da raggiungere. Di turismo, invece, nelle politiche pubbliche, si parla troppo poco: se ne parla troppo poco nel Pnrr, troppo poco nel Fondo complementare, troppo poco anche nel Def, che pur ci sembra condivisibile nella sua struttura complessiva», ha aggiunto. «È tempo di scelte impegnative. A partire dalla politica, che scelga di sottrarsi al cosiddetto “presentismo”, ai rendimenti di breve termine, recuperando lo sguardo lungo. Lo sguardo lungo che implica le ragioni delle competenze così preziose per democrazie aperte al futuro». Le previsioni di Confcommercio sono di una crescita del 2,5% del Pil, con un’inflazione al 6,5%. Anche l’anno prossimo la crescita non andrà oltre, ritiene l’organizzazione, e dunque i consumi si riprenderanno a fatica, i livelli prepandemia non potranno essere recuperati prima della fine del 2023. Con differenze sostanziali, enormi tra i territori del Paese. Dall’analisi dell’ufficio studi della confederazione emerge come ai divari economico, occupazionale e infrastrutturale del Mezzogiorno adesso si sommi anche quello demografico. Già nel periodo 1996-2019, mentre la popolazione del Nord è cresciuta del 9,3%, il numero di abitanti del Mezzogiorno si è ridotto del 2%. Queste dinamiche hanno comportato la riduzione del peso relativo delle regioni meridionali di quasi tre punti percentuali dal 1995 a oggi. Nel 2022 il Mezzogiorno ha assorbito il 60% del calo della popolazione, 824.000 unità rispetto al 2019. In valore assoluto, nel 2022 il Pil pro capite del Sud è quasi la metà di quello del Nord: 20.900 euro contro i 38.600 euro del Nord Ovest e i 37.400 euro del Nord Est.