2018-04-04
«Il mio Brancaleone alla ricerca della fede»
Pippo Franco, regista e attore, reinterpreta il personaggio del film di Monicelli: «È l'uomo d'oggi, che è diventato un codice fiscale e si è smarrito. Anch'io avevo perso la spiritualità, a causa del successo. Il mio angelo custode e un mendicante mi hanno fatto ritrovare me stesso».Dicono che i grandi comici, nella vita di tutti i giorni, siano uomini tristi, cupi, a volte malinconici. E ci si aspetta da loro la battuta che possa improvvisamente colmare la distanza tra la realtà e la finzione, restituendoci l'immagine che si siamo costruiti davanti allo schermo o al palcoscenico. Con Pippo Franco non ci sono equivoci di questo tipo: a colpire, al primo impatto, è la maschera immutabile scolpita in quasi 60 anni di carriera, su cui è scritta, in fondo, la storia della nostra vita e di questo Paese, che ha attraversato in lungo e in largo, sempre con garbo e leggerezza. Poi Pippo, 77 anni, comincia a parlare e capisci che i comici nella vita non sono tristi, ma sono profondi, interiormente profondi.Nello spettacolo teatrale Brancaleone e la sua armata, che sta portando in scena in giro per l'Italia, ha recuperato un personaggio simbolo, Brancaleone da Norcia. «Dai film di Monicelli non abbiamo preso nulla, mentre quando misi in scena Il marchese del grillo ripresi alcune parti del film e Mario Monicelli mi fece il più bel complimento della mia vita: “Bravo, io non sarei stato capace di fare una cosa così". Cioè di tradurre in chiave teatrale una storia cinematografica. Brancaleone è movimento, il movimento di un guerriero, che è anche un comico perché vive di sogni così esasperati da ricordare Don Chisciotte. Quando si parla di armata Brancaleone, si parla di qualcosa di improvvisato, però con un connotato umano. Mettere in scena le assurdità e mostrare all'uomo quali siano i lati paradossali dell'esistenza è il nostro compito». È uno spettacolo legato all'attualità?«Implicitamente. È legato rispetto ad alcuni argomenti sostanziali che riguardano la vita interiore dell'uomo. Tutto quello che gli accade in questo viaggio, ironico, spesso comico, che cos'è? Un viaggio non è il luogo dove vai, ma ciò che diventi. Brancaleone ha vissuto solo metà della sua vita, è un guerriero, non conosce l'amore, la sua amante è sempre stata la spada. Poi, pur essendo un guerriero crociato, non ha fede. Quanti cristiani oggi sono scettici? Il suo è il tragitto di un uomo che ha smarrito la fede, che vive di raziocinio, di logica, di realtà tangibili. Piano piano si trova ad affrontare una serie di problematiche, di disgrazie, e ritrova la fede. Spesso il bene ti obbliga a cavalcare il male per arrivare alla soluzione del problema; quindi questa è la storia di un uomo che si guarda dentro, finalmente si conosce e scopre di aver vissuto fino a quel momento la vita di un altro. Come accade all'uomo di oggi, che è diventato un numero, un codice fiscale, un codice a barre».Quindi lo spettacolo si ricollega al suo percorso di fede.«Assolutamente».Quando è cominciato questo percorso? «Non c'è stato un inizio. Mia madre mi ha insegnato la preghiera dell'Angelo custode, nel quale ho sempre creduto. Però c'è stato un momento particolare. Io non ho mai dato importanza al successo. Il successo, se non lo sai gestire, è una delle cose più terribili che ti possano accadere, perché fa crescere il tuo ego e ti fa sentire in qualche modo superiore. Io sono sempre stato consapevole di questo, anche per le difficoltà che ho avuto da bambino. Ho avuto un'infanzia particolarmente difficile, che mi ha formato e grazie alla quale posso fare questo tipo di discorso».Difficile perché?«Ho conosciuto mio padre che avevo 6 anni. Era il tempo di guerra, lui era prigioniero in Africa, mia madre era rimasta incinta prima della sua partenza. Poi lui è tornato ed è mancato poco dopo. Sono andato nei collegi, ho subito una tonsillectomia senza anestesia, come si faceva allora e poi ho conosciuto la fama. Per cui la comicità è una reazione a una sorta di emarginazione». Qual è stato il momento che l'ha portata a riflettere su sé stesso?«Mi è capitato un episodio che ho raccontato nel libro La morte non esiste. La mia vita oltre i confini della vita. C'era una persona che chiedeva l'elemosina a piazza San Silvestro; io andavo avanti per la mia vita, una vita rutilante, fatta di grande velocità, di creatività. Quest'uomo invece era senza gambe e stava su una specie di trespolo. Rimasi colpito e gli misi in mano una certa cifra. Mi accorsi che era cieco e che gli mancavano pure tre dita. Quando gli ho dato i soldi, gli ho detto: “Attenzione a questi soldi". Lui è entrato in una sorta di panico e lì ho capito tutta quanta la sua vita: dipendeva da un altro che lo metteva là e non sapeva dove nascondere quei soldi, né come gestirli. In quel momento lo Spirito Santo mi ha detto: “Stai attento, il miserabile sei tu e non lui". Era un momento in cui il grande successo mi aveva un po' allontanato dalla fede, andavo a una velocità tale che non mi potevo dedicare alla spiritualità, però sorvegliavo sempre la crescita dell'ego. Quando arriva il grande successo, il male entra dentro di te, perché, se non lo sai gestire, invece di destrutturare l'ego lo fai crescere. È la cosa peggiore, perché il successo oggi c'è e domani non c'è più».Qual è stato il primo momento in cui ha avvertito il successo?«Io, in realtà, vengo da una serie di insuccessi. Il mio percorso è cominciato come pittore e musicista. Ho fatto il liceo artistico a via Ripetta, ho studiato con Renato Guttuso e altri grandi artisti, poi sono diventato professore di disegno e ho fatto il disegnatore di fumetti per alcuni anni».Come in La gatta da pelare, il suo unico film da regista, del 1981.«Infatti lì ho raccontato un po' me stesso». Per chi lo faceva il disegnatore?«Per i Fratelli Spada Editori. Disegnavo Mandrake, L'uomo mascherato, ma anche fumetti miei che uscivano in Francia. Poi suonavo in un gruppo, I pinguini, scrivevo canzoni divertenti, come La licantropia, Quel vagone per Frosinone, Cesso di amarti questa sera, Ninna nanna. Ho partecipato al Cantagiro 1969 insieme a Gabriella Ferri, l'anno che vinse Rose rosse di Massimo Ranieri. Andavamo male, il pubblico non capiva perché seguiva solo le canzoni d'amore che andavano allora. Poi c'era stato il Sessantotto e il pubblico ci contestava perché noi cantanti eravamo dei privilegiati. Gabriella un giorno mi disse: “Noi dobbiamo soltanto continuare a credere in noi stessi", e così facemmo. Un paio di anni dopo c'è stata la grande esplosione, quindi avevamo ragione noi. Ho capito che io non devo piacere al pubblico, ma è il pubblico che deve piacere a me, nel senso che devo dire quello che ho da dire».Dopo tutti questi insuccessi, è arrivata finalmente la gloria...«Capitai in un locale che si chiamava Le grotte del piccione. Siccome non andavano più di moda i locali notturni, il proprietario, Piero Gabrielli, aveva aperto il primo cabaret romano, prima ancora del Bagaglino. Quella sera c'era uno spettacolo con Antonio Salines, Magda Mercatali e Franco Bisazza, e io andai a fare un intervallo con le mie canzoni. Mi ricordo che la scena era tutta nera. Sono entrato con l'inquietudine del “Chissà come vado questa sera?", ho cantato il primo brano e, come ho finito, nel buio cercavo il tragitto per uscire e intanto è scattato un applauso incredibile. La fortuna non esiste, è il talento che incontra l'occasione. Quella sera avevo trovato un pubblico selezionato e in platea c'era anche Pierfrancesco Pingitore, che avrebbe aperto Il Bagaglino. Cantai un'altra canzone, quindi una terza... poi mi hanno chiesto un bis, che non avevo perché avevo scritte solo tre canzoni!». Al cinema ha esordito nel 1960 accompagnando Mina con I pinguini in Appuntamento a Ischia di Mario Mattoli.«Stavo facendo l'esame di storia dell'arte al liceo artistico e il film si girava a Ischia. Se non fossi andato a Ischia, mi avrebbero sostituito, allora ho detto al professore: “Posso andare a prendere un caffè?". Ho preso il treno e me ne sono andato! Ho girato vari musicarelli, dove i comici erano molto richiesti. Poi abbiamo fatto con Gabriella Ferri il nostro primo programma in televisione che si chiamava Dove sta Zazà, il primo varietà a colori, e mi ha portato subito una forte popolarità. Lì c'era tutta la mia personalità, il mio modo di essere. Poi Il Bagaglino è diventato il più importante cabaret d'Italia e sono cominciate ad arrivare le richieste cinematografiche... Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta nuda e tutta calda, Giovannona coscialunga, ma i titoli inizialmente erano diversi, il produttore Luciano Martino non ce li diceva prima!». Nei film Tutti a squola, L'imbranato, Ciao marziano, Il casinista, Attenti a quei P2 aveva spesso accanto Bombolo.«Io ho inaugurato il Salone Margherita nel 1972 e dopo qualche anno è arrivato Bombolo. Vendeva i piatti a Campo de' Fiori e la sera faceva il comico in una trattoria che si chiamava Picchiottino. Chiudevano la saracinesca e si esibivano per pochi. Il proprietario, Picchiottino, faceva il comico insieme a Bombolo, ma non aveva il suo talento. I registi Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore erano innovativi, si sono inventati personaggi come lui». Come le è capitata l'occasione di lavorare con Billy Wilder in Che cosa è successo tra mio padre e tua madre?«I comici del cabaret erano diversi dai comici della generazione precedente: eravamo più strani, avevamo cose da dire, probabilmente io avevo una faccia che attirava. Quando mi sono presentato al provino, Billy Wilder mi ha chiesto: “Ha letto il copione?". “Sì". “Bene. Mi dica come farebbe questo personaggio". In realtà mi auguravo di non fare il film perché lavoravo al Bagaglino, facevo tardi la notte, il film si girava a Ischia e avrei dovuto stare sul set alle 7 del mattino. Gli ho detto: “Scusi, è lei che dovrebbe dirmi...". “No, lo voglio sapere da lei". Ho chiesto una settimana di tempo, sono tornato da lui e gli ho detto: “Guardi, dovrebbe essere così il personaggio". Siccome era un personaggio funebre ambulante, aveva un ufficio dentro la giacca. Ho cominciato a descrivere il personaggio, che linguaggio avrebbe dovuto usare, una cosa incomprensibile perché era più divertente se Jack Lemmon non lo capiva, e mi sono inventato una sorta di dialetto mutuato dal barese. Poi, siccome il cinema è fatto di inquadrature, ho suggerito addirittura una scena: “Potrei prendere questi timbri, metterli là, fare il rumore, tum tum tum..., poi dovrebbe entrare la mano di Jack Lemmon che mi dice: “Sbrigati". Allora mi fermo e lo fulmino con lo sguardo, come per dire: “Sono io il funzionario funebre, non sei tu" e in quel momento mi rendo conto che sto dicendo a Billy Wilder che inquadratura deve fare! “Scusi, glielo dicevo soltanto per esprimere il personaggio". E lui: “No, no, vada avanti". Ha girato esattamente quello che gli avevo descritto!».Lei ha fatto attività politica. Si sarebbe mai aspettato di vivere in un Paese guidato da un comico?«L'attività politica è stata un'esperienza importante che ho deciso di fare sapendo che non avrei mai vinto. Più che riflettere su Beppe Grillo, bisogna chiedersi cosa sono diventati gli italiani». Se fosse al Bagaglino, come racconterebbe l'Italia di oggi?«Partirei dal concetto che non so se questa sia la Terza repubblica o l'agonia della Seconda...».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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