I dati Iss: ora nella fascia 40-59 anni l’incidenza dei casi è più alta tra chi ha tre dosi che tra i no vax. Flop dei sieri pure per i bimbi.
I dati Iss: ora nella fascia 40-59 anni l’incidenza dei casi è più alta tra chi ha tre dosi che tra i no vax. Flop dei sieri pure per i bimbi.All’aumento del numero delle dosi di vaccino non sempre corrisponde una maggiore protezione dal Covid, soprattutto nei bambini e negli under 60, almeno secondo i dati dell’ultimo report sull’andamento della pandemia pubblicato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), con dati aggiornati al 4 maggio. Mentre i casi di Covid sono in lenta, ma costante diminuzione, le nuove varianti di Omicron 4 e 5 isolate in Sudafrica - più contagiose, ma probabilmente meno pericolose delle precedenti - stanno ravvivando il fuoco sacro delle terze e quarte dosi di vaccino, obblighi compresi. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha già prospettato la possibilità di un nuovo richiamo, in autunno, con vaccini aggiornati. Analizzando però i numeri del report appena diffuso dall’Iss, emergono degli elementi che varrebbe la pena considerare prima di saltare alle conclusioni e, soprattutto, alle imposizioni. La terza dose di vaccino, il booster, pur proteggendo meglio dalla forma grave di Covid, è decisamente meno efficace nell’evitare le infezioni, specie negli under 60. Nei bambini tra i 5 e gli 11 anni, le due dosi non fanno una grande differenza sulle infezioni, anzi. Basta leggere i numeri nella tabella 5, sull’incidenza dei casi per 100.000 abitanti, riferimento che risolve il paradosso secondo cui i casi sono maggiori nei vaccinati perché più numerosi. Nel mese di aprile, nella fascia di 12-39 anni, i positivi trovati ogni 100.000 abitanti sono stati 3.729 tra i non vaccinati, 3.640 in quelli con due dosi da meno di 120 giorni e 3.492 per quelli con booster: non proprio differenze siderali. La sorpresa però è proprio nella fascia 40-59 anni, dove ci sono gli over 50, per i quali è scattato l’obbligo del vaccino per lavorare. In questo gruppo si sono registrati 3.119 casi nei non vaccinati, 3.297 nelle persone con due dosi da meno di 4 mesi e 3.233 in quelle con booster ma, cosa ancora più interessante, 1.874 nei vaccinati da più di 4 mesi. Certo, le differenze non sono sostanziali, ma il fatto che si registrino numeri più alti, anche se di poco, in chi ha fatto la terza dose rispetto a chi non è vaccinato, simili a chi ne ha fatte due da poco, ma quasi il doppio nel confronto con chi ha ricevuto la seconda dose da più di 120 giorni, dovrebbe almeno porre qualche interrogativo sull’opportunità di spingere per una quarta somministrazione a distanza di pochi mesi dalla terza (magari con lo stesso vaccino), in questa popolazione con meno di 60 anni. Anche su ospedalizzazioni, ma soprattutto in terapia intensiva, tra seconda e terza dose di vaccino, la differenza sull’efficacia è tutt’altro che ampia. Nel gruppo 40-59 anni di età, i ricoveri sono 18 su 100.000 abitanti per le due dosi entro 4 mesi, rispetto ai 12 con tre dosi: numero uguale, tra l’altro, a chi è vaccinato da più di 120 giorni. I dati per terapia intensiva e decessi sono uguali tra chi ha fatto due o tre dosi: motivo in più per valutare la necessità di obbligare al richiamo, in autunno, anche tutto il personale sanitario, visto che, paradossalmente, a fronte di pari probabilità di ricovero, si infettano meno proprio quelli che si sono fermati alla seconda dose. Un andamento simile - con più infettati dopo booster rispetto a chi dovrebbe fare il richiamo - si registra anche nella fascia più anziana di popolazione (60 - over 80) dove però la terza dose fa la differenza nelle ospedalizzazioni, che sono più basse con booster. Diventa più chiaro l’invito fatto da vari esperti in questi giorni di pensare ai più fragili, invece di obbligare a nuove dosi - magari con lo stesso vaccino fatto sul virus di Wuhan - i più giovani dove le due dosi funzionano come (o meglio) delle tre. Proprio nei più piccoli, i bambini con 5-11 anni, le due dosi continuano a non fare la differenza nei contagi e, praticamente, anche nelle ospedalizzazioni. Curiosamente, il report dell’Iss non fornisce i dati di incidenza per loro, ma abbiamo calcolato le percentuali. Si scopre così che, ad aprile, era positivo il 3,38% dei bambini non vaccinati rispetto al 4,49% dei coetanei con due dosi da meno di quattro mesi (la campagna è iniziata a dicembre). Sarebbe interessante capire perché, tra i più piccoli, si contagino di più i vaccinati. In ogni caso, si potrebbe porre almeno un punto di domanda sulla necessità di un booster nei bambini delle elementari, soprattutto considerando che le ospedalizzazioni sono nell’ordine dello 0,09 e 0,06 per mille nei non vaccinati e negli «immunizzati». In vista della campagna d’autunno, il ministero potrebbe spiegare che senso abbia una quarta dose, obblighi compresi, in chi ha meno di 60 anni, se già la terza funziona meno (al massimo come) della seconda fatta da più di 4 mesi; ma anche perché accanirsi su tutti i piccoli di 5-11 anni, se il vaccino non fa la differenza, anzi. Molti esperti propongono di considerare il richiamo, con vaccino possibilmente aggiornato a Omicron, alle stesse categorie in cui è raccomandata la profilassi antinfluenzale, quindi per fascia d’età e per fragilità. La scelta però è politica.
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