True
2020-08-02
Boom di arrivi, Lampedusa scoppia. E noi pattugliamo i confini francesi
Ansa
Il governo giallorosso ha deciso di tenere fuori gli immigrati. Raffreddate gli entusiasmi, però, perché mica li tengono fuori dall'Italia. Gli stranieri che bloccheranno, al contrario, sono quelli che dal nostro territorio tentano di raggiungere la Francia attraversando la frontiera a Nord Est. Almeno questo si capisce dalle dichiarazioni rilasciate venerdì sera a Roma dal ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, a seguito di un incontro con Luciana Lamorgese. «Per la prima volta ci sarà una pattuglia mista tra le forze di polizia di Italia e Francia alla frontiera italiana», ha detto Darmanin. I militari saranno dispiegati tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. «I trafficanti di esseri umani si approfittano delle diverse disposizioni delle polizie di Italia e Francia e quindi questa forza di polizia mista è un grande passo in avanti», ha aggiunto il francese. «Oltre a questa ci sarà una forza di polizia di frontiera italiana che si installerà a Bardonecchia».
Sembra davvero una raffinatissima presa per i fondelli. Negli anni passati abbiamo assistito più e più volte all'odioso spettacolo dei gendarmi francesi che, di nascosto, scaricavano i migranti sgraditi oltre il confine italiano nemmeno fossero rifiuti tossici. E adesso, non paghi delle umiliazioni passate, che facciamo? Ci mettiamo ad aiutare i vicini d'Oltralpe affinché i nostri clandestini non passino il confine. I cugini, ovviamente, se ne fregano altamente del caos migratorio in casa nostra: continuano a coltivare i propri interessi in Nord Africa a discapito dell'Italia e si guardano bene dal farsi carico degli stranieri in arrivo sulle nostre coste tramite nave. Giusto due settimane fa, la Caritas che opera al confine piemontese ha fatto sapere che la Francia respinge circa 100 migranti al giorno. Però il nostro governo - inventandosi una nuova definizione per la sindrome di Stoccolma - si mette ad agevolare il controllo delle frontiere altrui. Il tutto mentre le nostre, di frontiere, sono un colabrodo. I dati del Viminale disegnano un quadro disperante. Sono 13.710 i migranti sbarcati sulle coste italiane dall'inizio dell'anno. Nello stesso periodo, nel 2019, erano 3.867. Significa che siamo quasi ai livelli del 2018, quando ancora si avvertivano gli strascichi della grande invasione e gli stranieri sbarcati erano 18.546.
Ma le cifre più inquietanti sono altre. Negli ultimi cinque giorni sono stati registrati 1.634 arrivi. Vuol dire che, nel mese di luglio, sono giunti sul nostro territorio 6.760 stranieri (contro i 1.088 del 2019 e 1.969 del 2018). In un solo mese sono arrivati tanti immigrati come in sette mesi del 2019: è spaventoso. E l'ondata non accenna a diminuire. Tra la notte di venerdì e la mattina di ieri a Lampedusa sono approdati in 300 tramite sette sbarchi autonomi. Nell'hotspot dell'isola si trovano circa 950 persone, cioè dieci volte tanto quelle che dovrebbe contenere.
«Ci sono 1.000 persone, è stracolmo e ora è chiuso», grida il sindaco lampedusano Totò Martello. «I migranti che arriveranno dovranno stare sul molo Favaloro. Va organizzato l'immediato trasferimento. Non capisco perché il presidente del Consiglio non dichiari lo stato di emergenza considerato che in due settimane abbiamo avuto 250 sbarchi. Cinquemila persone in 28 giorni è numero superiore al 2011: in quel caso il governo dichiarò lo stato di emergenza». Non che altrove vada meglio. Protestano amministratori e sindaci in Basilicata, Lazio, Campania, Calabria, Piemonte, Veneto... A Palermo, ieri, un egiziano positivo al Covid (faceva parte di un gruppo di 33 contagiati trasferiti dopo lo sbarco) è uscito dall'hotel San Paolo palace dove era stato accolto, si è fatto un bel giro durato alcune ore e poi è rientrato. In 28 sono fuggiti dal centro di contrada Cifali, a Ragusa, dove erano stati trasferiti in 117, tra i quali 9 positivi al Covid-19. Scene di surrealismo puro.
Di fronte a un disastro di tali proporzioni, tuttavia, il ministro dell'Interno non appare particolarmente scosso. Ieri Luciana Lamorgese ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera alternando mezze verità a fuffa. A sentire lei, l'aumento degli sbarchi dipende dalla crisi economica in Tunisia (improvvisamente, la Libia non è più un problema...). «Ho detto al ministro dell'Interno francese Darmanin che la crisi tunisina non può essere gestita da un solo Paese per tutta l'Europa», assicura la Lamorgese. Le sue parole hanno avuto così tanto effetto che noi aiuteremo i francesi a Nord, mentre loro sembrano continuare a lavarsi le mani di quanto accade qui. La signora Luciana ripete, in ogni caso, che non bisogna avere troppi timori: «Tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste sono sottoposti al test sierologico e poi al tampone». Peccato che dalla Sicilia dicano cose diverse, e cioè che i tamponi non vengono fatti a tutti, e infatti sono stati trasferiti in altre regioni migranti infetti.
Per rispondere ai guai siculi, la Lamorgese ha deciso di noleggiare un'altra nave quarantena che dovrebbe essere operativa da questa sera, mentre una seconda nave dovrebbe essere posizionata al largo delle coste calabresi. Bellissimo. Queste imbarcazioni costano più o meno 1,5-2 milioni di euro al mese. I contribuenti italiani ringraziano.
Ecco, queste sono le grandi idee del ministro per fronteggiare l'aumento esponenziale degli arrivi. Con l'aggiunta di un paio di promesse: chi è sbarcato in Italia dopo l'8 marzo non verrà regolarizzato (e ci mancherebbe pure) e verranno rimpatriate più persone in Tunisia tramite aereo e nave. Ammesso pure che succeda, se le partenze dal Nord Africa proseguono a questo ritmo, sarà come svuotare una cisterna con un cucchiaio. Ma si vede che al nostro governo va bene così, del resto è già troppo impegnato a cancellare i decreti Sicurezza e a pensare allo ius culturae. In fondo, l'importante è che i migranti non arrivino... in Francia.
Il Pd prima smonta i decreti Sicurezza e ora vuole lo ius soli
Non gli basta mai. Giusto ieri commentavamo le modifiche che neutralizzeranno i decreti sicurezza voluti a suo tempo da Matteo Salvini: riduzione drastica delle multe alle Ong, agevolazioni per l'ottenimento del permesso di soggiorno e di lavoro, riduzione dei tempi (da 4 a 3 anni) per l'acquisizione della cittadinanza tramite residenza e matrimonio. Eppure la maggioranza di governo non è ancora soddisfatta. Oltre all'invasione, vuole la grande sostituzione.
Pochi giorni fa, è stato il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzollina, a tornare sul tema dello ius culturae (che è poi lo ius soli sotto altro nome, ovvero la cittadinanza facile). «Ci sono bambini che già oggi hanno cultura e valori italiani. Non vedo nulla di strano nell'aprire una riflessione nel nostro Paese. Prima o poi si dovrà fare», ha dichiarato. Interessante: visto che la signora si preoccupa tanto degli «italiani del futuro», forse farebbe meglio a consentire ai bambini stranieri di rientrare a scuola, e invece non è in grado di garantire un bel nulla né a loro né ai piccoli italiani.
Ieri, sull'argomento cittadinanza è tornato Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera con una grande passione per le Ong. Parlando con La Stampa, ha spiegato che il percorso per lo ius culturae «si era già avviato, poi il virus ha interrotto tutto. Ma mi auguro», ha aggiunto, «che il Parlamento torni a occuparsene».
Secondo Delrio, «i riformisti sono radicali nei principi, ma sanno seminare e aspettare il tempo buono del raccolto». Il capogruppo Pd si ritiene dunque uno che sa aspettare. «Sullo ius culturae non mollo», ribadisce, «nell'idea che ogni volta che abbiamo concesso più diritti a qualcuno siamo diventati più forti tutti. I cambiamenti avvengono con costanza e determinazione: sono sicuro che arriverà anche questo risultato».
Ma certo che arriverà, se Pd e sodali continueranno a restare al governo. Il punto è che una nuova legge sulla cittadinanza non è necessaria né utile. Al massimo rischia di risultare controproducente. Per rendersene conto basta dare uno sguardo ai dati Istat pubblicati soltanto poche settimane fa.
I numeri dimostrano che dalle nostre parti non è per nulla difficile ottenere la cittadinanza, tanto che continuano ad aumentare gli stranieri diventati italiani. Lo scorso anno si sono contate ben 127.000 nuove cittadinanze, cioè 24 ogni 1.000 stranieri, ovvero il 13% in più rispetto al 2018. I «nuovi italiani», dal 2015, sono così lievitati a oltre 766.000, valore di poco inferiore alla perdita di popolazione di cittadinanza italiana negli stessi anni. Siamo, appunto, alle soglie della sostituzione etnica. Ma c'è di più. Sempre a partire dai dati Istat, la fondazione Ismu - Iniziative e studi sulla multietnicità (dunque non un covo di pericolosi sovranisti) ha messo per iscritto un'analisi interessante. Ha spiegato che, «nonostante l'acquisizione di cittadinanza venga considerata come la massima espressione di integrazione e stabilità», in un numero «crescente di casi la mobilità garantita dal passaporto italiano» porta «i nuovi concittadini a emigrare nuovamente in Paesi terzi o nel luogo di origine».
Significa che «l'acquisizione di cittadinanza è un elemento incentivante all'emigrazione internazionale per i nuovi cittadini». Nel 2018 le emigrazioni degli stranieri divenuti italiani ammontavano a circa 35.000 unità, facendo rilevare un aumento del 6% rispetto al 2017. Nel 2019, invece, delle 182.000 persone che hanno lasciato l'Italia, la componente di stranieri è cresciuta del 39,2% rispetto all'anno precedente.
Che cosa vuol dire? Che in un numero crescente di casi i «nuovi italiani», non appena ottengono la cittadinanza, se ne vanno. O si trasferiscono in altri Stati europei oppure, addirittura, rientrano nel loro Paese d'origine.
Riepilogando: le nuove cittadinanze sono in aumento costante, e tanti fra coloro che beneficiano della naturalizzazione scelgono di abbandonare l'Italia, approfittando del documento fresco di stampa. Anche tenendo conto di questi dati, vi sembra che sia il caso di rendere ancora più snelle le procedure per l'ottenimento della nazionalità italiana?
La battaglia condotta dalla maggioranza, da un lato, è puramente ideologica, cioè condotta a prescindere dalla realtà. Dall'altro, però, ha un evidente secondo fine: quello di creare una platea di nuovi elettori potenziali negli anni a venire. È l'unica spiegazione, altrimenti non si capirebbe tanta ostinazione nel chiedere una modifica inutile, dannosa e anche offensiva nei confronti di chi è cittadino lo è già e ogni giorno viene allegramente trascurato dal governo.
Continua a leggere
Riduci
A fine agosto partiranno le missioni miste. Mentre Parigi cura i suoi interessi in Africa, noi ci occupiamo di proteggerla dai clandestini. Il sindaco chiude l'hotspot dell'isola siciliana: i profughi resteranno sul molo.Graziano Delrio scende in campo. Peccato che il numero di nuovi cittadini equivalga alla perdita di popolazione: la sostituzione è in corso.Lo speciale contiene due articoli.Il governo giallorosso ha deciso di tenere fuori gli immigrati. Raffreddate gli entusiasmi, però, perché mica li tengono fuori dall'Italia. Gli stranieri che bloccheranno, al contrario, sono quelli che dal nostro territorio tentano di raggiungere la Francia attraversando la frontiera a Nord Est. Almeno questo si capisce dalle dichiarazioni rilasciate venerdì sera a Roma dal ministro degli Interni francese, Gérald Darmanin, a seguito di un incontro con Luciana Lamorgese. «Per la prima volta ci sarà una pattuglia mista tra le forze di polizia di Italia e Francia alla frontiera italiana», ha detto Darmanin. I militari saranno dispiegati tra la fine di agosto e gli inizi di settembre. «I trafficanti di esseri umani si approfittano delle diverse disposizioni delle polizie di Italia e Francia e quindi questa forza di polizia mista è un grande passo in avanti», ha aggiunto il francese. «Oltre a questa ci sarà una forza di polizia di frontiera italiana che si installerà a Bardonecchia».Sembra davvero una raffinatissima presa per i fondelli. Negli anni passati abbiamo assistito più e più volte all'odioso spettacolo dei gendarmi francesi che, di nascosto, scaricavano i migranti sgraditi oltre il confine italiano nemmeno fossero rifiuti tossici. E adesso, non paghi delle umiliazioni passate, che facciamo? Ci mettiamo ad aiutare i vicini d'Oltralpe affinché i nostri clandestini non passino il confine. I cugini, ovviamente, se ne fregano altamente del caos migratorio in casa nostra: continuano a coltivare i propri interessi in Nord Africa a discapito dell'Italia e si guardano bene dal farsi carico degli stranieri in arrivo sulle nostre coste tramite nave. Giusto due settimane fa, la Caritas che opera al confine piemontese ha fatto sapere che la Francia respinge circa 100 migranti al giorno. Però il nostro governo - inventandosi una nuova definizione per la sindrome di Stoccolma - si mette ad agevolare il controllo delle frontiere altrui. Il tutto mentre le nostre, di frontiere, sono un colabrodo. I dati del Viminale disegnano un quadro disperante. Sono 13.710 i migranti sbarcati sulle coste italiane dall'inizio dell'anno. Nello stesso periodo, nel 2019, erano 3.867. Significa che siamo quasi ai livelli del 2018, quando ancora si avvertivano gli strascichi della grande invasione e gli stranieri sbarcati erano 18.546.Ma le cifre più inquietanti sono altre. Negli ultimi cinque giorni sono stati registrati 1.634 arrivi. Vuol dire che, nel mese di luglio, sono giunti sul nostro territorio 6.760 stranieri (contro i 1.088 del 2019 e 1.969 del 2018). In un solo mese sono arrivati tanti immigrati come in sette mesi del 2019: è spaventoso. E l'ondata non accenna a diminuire. Tra la notte di venerdì e la mattina di ieri a Lampedusa sono approdati in 300 tramite sette sbarchi autonomi. Nell'hotspot dell'isola si trovano circa 950 persone, cioè dieci volte tanto quelle che dovrebbe contenere. «Ci sono 1.000 persone, è stracolmo e ora è chiuso», grida il sindaco lampedusano Totò Martello. «I migranti che arriveranno dovranno stare sul molo Favaloro. Va organizzato l'immediato trasferimento. Non capisco perché il presidente del Consiglio non dichiari lo stato di emergenza considerato che in due settimane abbiamo avuto 250 sbarchi. Cinquemila persone in 28 giorni è numero superiore al 2011: in quel caso il governo dichiarò lo stato di emergenza». Non che altrove vada meglio. Protestano amministratori e sindaci in Basilicata, Lazio, Campania, Calabria, Piemonte, Veneto... A Palermo, ieri, un egiziano positivo al Covid (faceva parte di un gruppo di 33 contagiati trasferiti dopo lo sbarco) è uscito dall'hotel San Paolo palace dove era stato accolto, si è fatto un bel giro durato alcune ore e poi è rientrato. In 28 sono fuggiti dal centro di contrada Cifali, a Ragusa, dove erano stati trasferiti in 117, tra i quali 9 positivi al Covid-19. Scene di surrealismo puro. Di fronte a un disastro di tali proporzioni, tuttavia, il ministro dell'Interno non appare particolarmente scosso. Ieri Luciana Lamorgese ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera alternando mezze verità a fuffa. A sentire lei, l'aumento degli sbarchi dipende dalla crisi economica in Tunisia (improvvisamente, la Libia non è più un problema...). «Ho detto al ministro dell'Interno francese Darmanin che la crisi tunisina non può essere gestita da un solo Paese per tutta l'Europa», assicura la Lamorgese. Le sue parole hanno avuto così tanto effetto che noi aiuteremo i francesi a Nord, mentre loro sembrano continuare a lavarsi le mani di quanto accade qui. La signora Luciana ripete, in ogni caso, che non bisogna avere troppi timori: «Tutti i migranti che sbarcano sulle nostre coste sono sottoposti al test sierologico e poi al tampone». Peccato che dalla Sicilia dicano cose diverse, e cioè che i tamponi non vengono fatti a tutti, e infatti sono stati trasferiti in altre regioni migranti infetti. Per rispondere ai guai siculi, la Lamorgese ha deciso di noleggiare un'altra nave quarantena che dovrebbe essere operativa da questa sera, mentre una seconda nave dovrebbe essere posizionata al largo delle coste calabresi. Bellissimo. Queste imbarcazioni costano più o meno 1,5-2 milioni di euro al mese. I contribuenti italiani ringraziano. Ecco, queste sono le grandi idee del ministro per fronteggiare l'aumento esponenziale degli arrivi. Con l'aggiunta di un paio di promesse: chi è sbarcato in Italia dopo l'8 marzo non verrà regolarizzato (e ci mancherebbe pure) e verranno rimpatriate più persone in Tunisia tramite aereo e nave. Ammesso pure che succeda, se le partenze dal Nord Africa proseguono a questo ritmo, sarà come svuotare una cisterna con un cucchiaio. Ma si vede che al nostro governo va bene così, del resto è già troppo impegnato a cancellare i decreti Sicurezza e a pensare allo ius culturae. In fondo, l'importante è che i migranti non arrivino... in Francia. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/boom-di-arrivi-lampedusa-scoppia-e-noi-pattugliamo-i-confini-francesi-2646859294.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-pd-prima-smonta-i-decreti-sicurezza-e-ora-vuole-lo-ius-soli" data-post-id="2646859294" data-published-at="1596304545" data-use-pagination="False"> Il Pd prima smonta i decreti Sicurezza e ora vuole lo ius soli Non gli basta mai. Giusto ieri commentavamo le modifiche che neutralizzeranno i decreti sicurezza voluti a suo tempo da Matteo Salvini: riduzione drastica delle multe alle Ong, agevolazioni per l'ottenimento del permesso di soggiorno e di lavoro, riduzione dei tempi (da 4 a 3 anni) per l'acquisizione della cittadinanza tramite residenza e matrimonio. Eppure la maggioranza di governo non è ancora soddisfatta. Oltre all'invasione, vuole la grande sostituzione. Pochi giorni fa, è stato il ministro dell'Istruzione, Lucia Azzollina, a tornare sul tema dello ius culturae (che è poi lo ius soli sotto altro nome, ovvero la cittadinanza facile). «Ci sono bambini che già oggi hanno cultura e valori italiani. Non vedo nulla di strano nell'aprire una riflessione nel nostro Paese. Prima o poi si dovrà fare», ha dichiarato. Interessante: visto che la signora si preoccupa tanto degli «italiani del futuro», forse farebbe meglio a consentire ai bambini stranieri di rientrare a scuola, e invece non è in grado di garantire un bel nulla né a loro né ai piccoli italiani. Ieri, sull'argomento cittadinanza è tornato Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera con una grande passione per le Ong. Parlando con La Stampa, ha spiegato che il percorso per lo ius culturae «si era già avviato, poi il virus ha interrotto tutto. Ma mi auguro», ha aggiunto, «che il Parlamento torni a occuparsene». Secondo Delrio, «i riformisti sono radicali nei principi, ma sanno seminare e aspettare il tempo buono del raccolto». Il capogruppo Pd si ritiene dunque uno che sa aspettare. «Sullo ius culturae non mollo», ribadisce, «nell'idea che ogni volta che abbiamo concesso più diritti a qualcuno siamo diventati più forti tutti. I cambiamenti avvengono con costanza e determinazione: sono sicuro che arriverà anche questo risultato». Ma certo che arriverà, se Pd e sodali continueranno a restare al governo. Il punto è che una nuova legge sulla cittadinanza non è necessaria né utile. Al massimo rischia di risultare controproducente. Per rendersene conto basta dare uno sguardo ai dati Istat pubblicati soltanto poche settimane fa. I numeri dimostrano che dalle nostre parti non è per nulla difficile ottenere la cittadinanza, tanto che continuano ad aumentare gli stranieri diventati italiani. Lo scorso anno si sono contate ben 127.000 nuove cittadinanze, cioè 24 ogni 1.000 stranieri, ovvero il 13% in più rispetto al 2018. I «nuovi italiani», dal 2015, sono così lievitati a oltre 766.000, valore di poco inferiore alla perdita di popolazione di cittadinanza italiana negli stessi anni. Siamo, appunto, alle soglie della sostituzione etnica. Ma c'è di più. Sempre a partire dai dati Istat, la fondazione Ismu - Iniziative e studi sulla multietnicità (dunque non un covo di pericolosi sovranisti) ha messo per iscritto un'analisi interessante. Ha spiegato che, «nonostante l'acquisizione di cittadinanza venga considerata come la massima espressione di integrazione e stabilità», in un numero «crescente di casi la mobilità garantita dal passaporto italiano» porta «i nuovi concittadini a emigrare nuovamente in Paesi terzi o nel luogo di origine». Significa che «l'acquisizione di cittadinanza è un elemento incentivante all'emigrazione internazionale per i nuovi cittadini». Nel 2018 le emigrazioni degli stranieri divenuti italiani ammontavano a circa 35.000 unità, facendo rilevare un aumento del 6% rispetto al 2017. Nel 2019, invece, delle 182.000 persone che hanno lasciato l'Italia, la componente di stranieri è cresciuta del 39,2% rispetto all'anno precedente. Che cosa vuol dire? Che in un numero crescente di casi i «nuovi italiani», non appena ottengono la cittadinanza, se ne vanno. O si trasferiscono in altri Stati europei oppure, addirittura, rientrano nel loro Paese d'origine. Riepilogando: le nuove cittadinanze sono in aumento costante, e tanti fra coloro che beneficiano della naturalizzazione scelgono di abbandonare l'Italia, approfittando del documento fresco di stampa. Anche tenendo conto di questi dati, vi sembra che sia il caso di rendere ancora più snelle le procedure per l'ottenimento della nazionalità italiana? La battaglia condotta dalla maggioranza, da un lato, è puramente ideologica, cioè condotta a prescindere dalla realtà. Dall'altro, però, ha un evidente secondo fine: quello di creare una platea di nuovi elettori potenziali negli anni a venire. È l'unica spiegazione, altrimenti non si capirebbe tanta ostinazione nel chiedere una modifica inutile, dannosa e anche offensiva nei confronti di chi è cittadino lo è già e ogni giorno viene allegramente trascurato dal governo.
Nel riquadro, l'attivista Blm Tashella Sheri Amore Dickerson (Ansa)
Tashella Sheri Amore Dickerson, 52 anni, storica leader di Black lives matter a Oklaoma City è stata accusata da un Gran giurì federale di frode telematica e riciclaggio di denaro. Secondo i risultati di un’indagine condotta dall’Fbi di Oklahoma City e dall’Irs-Criminal Investigation e affidata procuratori aggiunti degli Stati Uniti Matt Dillon e Jessica L. Perry, Dickerson si sarebbe appropriata di oltre 3 milioni di dollari di fondi raccolti e destinati al pagamento delle cauzioni degli attivisti arrestati e li avrebbe investiti in immobili e spesi per vacanze e spese personali. Il 3 dicembre 2025, un Gran giurì federale ha emesso nei confronti dell’attivista un atto d’accusa di 25 capi, di cui 20 di frode telematica e cinque di riciclaggio di denaro. Per ogni accusa di frode telematica, Dickerson rischia fino a 20 anni di carcere federale e una multa fino a 250.000 dollari. Per ogni accusa di riciclaggio di denaro, l’attivista rischia fino a dieci anni di carcere e una multa fino a 250.000 dollari o il doppio dell’importo della proprietà di derivazione penale coinvolta nella transazione. Secondo gli inquirenti, a partire almeno dal 2016, Dickerson è stata direttore esecutivo di Black lives matter Okc (Blmokc). Grazie a quel ruolo Dickerson aveva accesso ai conti bancari, PayPal e Cash App di Blmokc.
L’atto d’accusa, la cui sintesi è stata resa nota dalle autorità federali, sostiene che, sebbene Blmokc non fosse un’organizzazione esente da imposte registrata ai sensi della sezione 501(c)(3) dell’Internal revenue code (la legge tributaria federale americana), accettava donazioni di beneficenza attraverso la sua affiliazione con l’Alliance for global justice (Afgj), con sede in Arizona. L’Afgj fungeva da sponsor fiscale per Blmokc, alla quale imponeva di utilizzare i suoi fondi solo nei limiti consentiti dalla sezione 501(c)(3). L’Afgj richiedeva inoltre a Blmokc di rendere conto, su richiesta, dell’erogazione di tutti i fondi ricevuti e vietava a Blmokc di utilizzare i suoi fondi per acquistare immobili senza il consenso dell’Afgj.
A partire dalla tarda primavera del 2020, Blmokc ha raccolto fondi per sostenere la sua presunta missione di giustizia sociale da donatori online e da fondi nazionali per le cauzioni. In totale, Blmokc ha raccolto oltre 5,6 milioni di dollari, inclusi finanziamenti da fondi nazionali per le cauzioni, tra cui il Community Justice Exchange, il Massachusetts Bail Fund e il Minnesota Freedom Fund. La maggior parte di questi fondi è stata indirizzata a Blmokc tramite Afgj, in qualità di sponsor fiscale.
Secondo l’atto d’accusa, il Blmokc avrebbe dovuto utilizzare queste sovvenzioni del fondo nazionale per le cauzioni per pagare la cauzione preventiva per le persone arrestate in relazione alle proteste per la giustizia razziale dopo la morte di George Floyd. Quando i fondi per le cauzioni venivano restituiti al Blmokc, i fondi nazionali per le cauzioni talvolta consentivano al Blmokc di trattenere tutto o parte del finanziamento della sovvenzione per istituire un fondo rotativo per le cauzioni, o per la missione di giustizia sociale del Blmokc, come consentito dalla Sezione 501(c)(3).
Nonostante lo scopo dichiarato del denaro raccolto e i termini e le condizioni delle sovvenzioni, l’atto d’accusa sostiene che a partire da giugno 2020 e almeno fino a ottobre 2025, Dickerson si è appropriata di fondi dai conti di Blmokc a proprio vantaggio personale. L’atto d’accusa sostiene che Dickerson abbia depositato almeno 3,15 milioni di dollari in assegni di cauzione restituiti sui suoi conti personali, anziché sui conti di Blmokc. Tra le altre cose, Dickerson avrebbe poi utilizzato questi fondi per pagare: viaggi ricreativi in Giamaica e nella Repubblica Dominicana per sé e i suoi soci; decine di migliaia di dollari in acquisti al dettaglio; almeno 50.000 dollari in consegne di cibo e generi alimentari per sé e i suoi figli; un veicolo personale registrato a suo nome; sei proprietà immobiliari a Oklahoma City intestate a suo nome o a nome di Equity International, Llc, un’entità da lei controllata in esclusiva. L’atto d’accusa sostiene inoltre che Dickerson abbia utilizzato comunicazioni interstatali via cavo per presentare due false relazioni annuali all’Afgj per conto del Blmokc. Dickerson ha dichiarato di aver utilizzato i fondi del Blmokc solo per scopi esenti da imposte. Non ha rivelato di aver utilizzato i fondi per il proprio tornaconto personale.
Tre anni fa una vicenda simile aveva travolto la cofondatrice di Black lives matter Patrisse Cullors, anche lei accusata di aver utilizzato i fondi donati per beneficenza al movimento per pagare incredibili somme di denaro a suo fratello e al padre di suo figlio per vari «servizi». Secondo le ricostruzioni del 2022, Paul Cullors, fratello di Patrisse, ha ricevuto 840.000 dollari sul suo conto corrente per aver presumibilmente fornito servizi di sicurezza al movimento, secondo i documenti fiscali visionati dal New York Post. Nel frattempo, l’organizzazione ha pagato una società di proprietà di Damon Turner, padre del figlio di Patrisse Cullors, quasi 970.000 dollari per aiutare a «produrre eventi dal vivo» e altri «servizi creativi». Notizie che, all’epoca, avevano provocato non pochi malumori, alimentate anche dal fatto che la Cullors si professava marxista e sosteneva di combattere per gli oppressi e le ingiustizie sociali.
Continua a leggere
Riduci
Francesca Albanese (Ansa)
Rispetto a due mesi fa, la percentuale degli sfiduciati è cresciuta di 16 punti mentre quella di coloro che si fidano è scesa di 9. Il 42% degli intervistati, maggiorenni e residenti in Italia, dichiara di non conoscere la relatrice pasionaria o di non avere giudizi da esprimere, il che forse è quasi peggio: avvolta dalla sfiducia e dall’indifferenza.
Il 53% degli elettori di centrodestra non si fida dell’Albanese, e questo era un dato diciamo scontato, ma fa riflettere che la giurista irpina abbia perso credibilità per il 47% di coloro che votano Pd. Appena il 34% degli elettori dem oggi si fida della relatrice Onu, sotto sanzioni da parte di Washington e accusata da Israele di ostilità strutturale. La sinistra, dunque, non si limita ad essere in disaccordo al suo interno se rilasciare o meno la cittadinanza onoraria alla pro Pal. Sta dicendo che non la sostiene più.
«I cattivi maestri di sinistra non piacciono agli italiani», ha subito postato su X il partito della premier Giorgia Meloni, che sempre secondo il sondaggio Youtrend sarebbe la più convincente per il 48% degli italiani in un ipotetico dibattito assieme a Giuseppe Conte ed Elly Schlein.
Tramonta dunque l’astro effimero di Albanese, spacciata per l’eroina progressista che condanna la violenza sui palestinesi mentre la giustifica a casa nostra. L’assalto alla redazione della Stampa doveva e deve servire «da monito alla stampa», ha dichiarato la relatrice Onu, confermando la pericolosità del suo attivismo politico.
Eppure ha continuato a essere invitata per esporre le sue idee anti Israele, e non solo. In alcune scuole della Toscana avrebbe «ripetuto i suoi soliti mantra, sostenendo che il governo Meloni sia composto da fascisti e complice di un genocidio, accusando Leonardo di essere una azienda criminale e arrivando persino a incitare gli studenti ad occupare le scuole, di fatto, incitando dei minorenni a commettere reati sanzionati dal codice penale», hanno scritto Matteo Bagnoli capogruppo di Fratelli d’Italia al Comune di Pontedera e Christian Nannipieri responsabile di Gioventù nazionale Pontedera.
La mossa successiva è stata un’interrogazione presentata da Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi alla commissione Istruzione della Camera alla quale ha prontamente risposto il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, chiedendo agli organi competenti di avviare una immediata ispezione per verificare quanto accaduto in alcune scuole in Toscana.
Secondo l’interrogazione, anche una classe della seconda media dell’Istituto Comprensivo Massa 6 avrebbe partecipato ad un incontro proposto dalla rete di insegnanti Docenti per Gaza, con Francesca Albanese che esponeva le tematiche del suo libro Quando il mondo dorme. Storie, parole e ferite dalla Palestina.
Non solo, con una nuova circolare inviata alle scuole sul tema manifestazioni ed eventi pubblici all’interno delle istituzioni scolastiche, il ministro ribadisce l’esigenza che la scelta di ospiti e relatori sia «volta a garantire il confronto tra posizioni diverse e pluraliste al fine di consentire agli studenti di acquisire una conoscenza approfondita dei temi trattati e sviluppare il pensiero critico».
Una raccomandazione necessaria, alla luce anche di quanto stanno sostenendo i docenti del liceo Montale di Pontedera che in una nota hanno definito «attività formativa» la presentazione online del libro di Albanese ad alcune classi. «Un’iniziativa organizzata su scala nazionale nell’ambito delle attività di educazione alla cittadinanza globale, come previsto dal curriculum di Educazione civica d’istituto […] nel quadro delle iniziative promosse dalla scuola per favorire la partecipazione democratica, la conoscenza delle istituzioni internazionali e il dialogo tra studenti e professionisti impegnati in contesti globali», scrivono. Senza contraddittorio, le posizioni pro Pal e anti governo Meloni della relatrice Onu non sono «partecipazione democratica».
Incredibilmente, però, due giorni fa la relatrice è comparsa accanto a Tucker Carlson, il giornalista e scrittore tra i creatori dell’universo Maga, che gestisce la Tucker Carlson Network dopo aver lasciato Fox News. Intervistata, ha detto che gli Stati Uniti l’hanno sanzionata a causa del suo dettagliato resoconto sulle politiche genocide di Israele contro i palestinesi. «Una penna, questa è la mia sola arma», si è difesa Albanese raccontando che il suo rapporto con Washington sarebbe cambiato bruscamente dopo che ha iniziato a documentare come le aziende statunitensi non solo stavano consentendo le azioni di Israele a Gaza, ma traendo profitto da esse.
«Tucker sta promuovendo le opinioni di una donna sottoposta a sanzioni da parte degli Stati Uniti per aver preso di mira gli americani», ha protestato su X l’American Israel public affairs committee (Aipac), il più importante gruppo di pressione filo israeliano degli Stati Uniti. Ma c’è anche chi non si sorprende perché Carlson avrebbe cambiato opinione su Israele negli ultimi mesi, criticando l’amministrazione Trump per il supporto incondizionato dato allo Stato ebraico così come fa la sinistra antisionista.
Continua a leggere
Riduci
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
Continua a leggere
Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
Continua a leggere
Riduci