2020-05-25
«Bonus inutili: molte imprese a settembre non riapriranno»
Il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella: «La metà degli imprenditori prevede un crollo del fatturato di oltre il 50%. E già con un calo del 30% è arduo restare in piedi».Mariano Bella è il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio. All'inizio della seconda settimana di graduale riapertura delle attività commerciali, ha accettato una conversazione a tutto campo con La Verità. Per lanciare il vero allarme: le chiusure definitive che sembrano purtroppo all'orizzonte. Direttore, che aria tira? Avete qualche primo dato attendibile su cosa sia successo la settimana scorsa? «Capisco che siamo tutti concentrati sul conto delle imprese che hanno riaperto. Secondo le nostre valutazioni, e precisamente in base a un sondaggio rappresentativo effettuato settore per settore, siamo a un 80% di riaperture: circa il 90% nel commercio (abbigliamento, calzature, ecc) e il 60-65% per bar e ristoranti. Però il vero problema su cui vorrei attrarre l'attenzione di tutti è che molto presto dovremo concentrarci su un dato ben più grave: quello delle imprese che chiuderanno definitivamente».Quindi la sensazione è quella di un grande impegno dei commercianti, di una gran voglia di ripartire (testimoniata dalla cura con cui ognuno ha provveduto a sanificare, ad acquistare mascherine e protezioni, a farsi carico di spese e oneri), e però di una difficoltà economica oggettiva che rischia di diventare insormontabile.È così?«Gli imprenditori ci stanno provando, stanno sperimentando. Pochi nel nostro sondaggio (5-6%) hanno previsto: “Chiuderemo". Però allo stesso tempo moltissimi (50%) si aspettano da qui a fine anno una riduzione di fatturato superiore al 50%. Come si vede, la legittima speranza prevale sul calcolo economico razionale. Noi sappiamo bene, infatti, che con un calo di fatturato oltre il 30% è difficilissimo restare in piedi».Lei ha fatto un ragionamento chirurgico sul rapporto tra i costi fissi e i ricavi attesi da ora in poi…«Se c'è un imprenditore piccolo o anche medio, diciamo fino a 50 dipendenti, che ha perso il 95% o il 100% dei ricavi a marzo e ad aprile, non è affatto scontato che ora, a fine maggio, abbia tutte le energie effettivamente necessarie a ripartire. E queste energie vanno valutate in termini di conto economico: in particolare, si tratta di capire se i potenziali ricavi da giugno in poi rischino di essere prossimi al livello dei costi fissi. Questi costi fissi possono essere stimati nel commercio al dettaglio intorno al 50% del totale dei costi di esercizio, nella ristorazione e nell'alberghiero intorno al 30. Se la caduta dei potenziali ricavi di giugno e dei mesi successivi si avvicina al livello dei costi fissi, già c'è l'azzeramento del profitto economico, e si è all'indifferenza tra cessare e proseguire, dal punto di vista dell'imprenditore. Me se si va addirittura più in basso, uno come fa a reggere?».Esaminiamo quello che è successo nei mesi e nelle settimane passate. Dal suo osservatorio, com'è andata la storia dei prestiti bancari? «Nella nostra ricerca il 70% degli interpellati non ha nemmeno richiesto il prestito con garanzia statale. E questo per noi non è sorprendente: un piccolo imprenditore, un ristoratore che ha perso il 40% a febbraio, il 100% a marzo e ad aprile, e che ora si aspetta un calo del 50% fino a fine anno, perché mai dovrebbe aumentare il suo debito prendendo un altro prestito? L'accesso al prestito, per così dire, è autoselezionato: lo ha fatto solo chi può permetterselo». Veniamo al decreto Rilancio. Ha senso una pioggerellina di interventi come quelli predisposti dal governo? Non aveva più senso concentrarsi su pochi obiettivi qualificanti? «Non voglio essere polemico, l'approccio di Confcommercio non è alla ricerca della polemica. Ma non si può non constatare la mancanza di una strategia. O, almeno, io non la vedo. Le centinaia di interventi corrispondono alla logica indefinita dei bonus. Certo, a chi serviva la bicicletta, quel bonus fa piacere. A chi voleva il monopattino, pure. Ma il compito del governo, più che spendere, era quello di risolvere i problemi, e cioè identificare chi aveva perso e indennizzarlo. La cosa da fare era appunto concentrarsi sull'indennizzo a fondo perduto».Ma proprio le risorse a fondo perduto stanno già facendo arrabbiare tutti. Il 20 o il 15 o il 10% della differenza tra i ricavi di aprile 2020 e quelli di aprile 2019 è veramente poco, oltre che arbitrario…«Ma infatti. Perché solo il 20%, se ho perso il 100%? Le cose da fare erano individuare l'ammontare della perdita in termini di Pil: diciamo un 8-10%. Poi identificare chi ha perso: per evidenti ragioni, ad esempio, non i dipendenti pubblici né i pensionati. E infine utilizzare le risorse per indennizzare chi è stato effettivamente danneggiato».Anche perché io posso avere un'attività in cui aprile è stato magari un mese meno colpito. Oppure posso aver fatturato senza incassare in quel mese…«Non solo. E se ho aperto a novembre 2019? Come faccio ad accedere all'indennizzo e pure al credito d'imposta sull'affitto, se mi manca il presupposto della perdita di fatturato rispetto ad aprile 2019?».Approccio complessivo sbagliato, quindi.«Siamo tutti in “modalità inseguimento". Il governo insegue la realtà e noi inseguiamo il governo. Con il paradosso che i danneggiati in qualche caso si faranno carico dei bonus a favore dei non danneggiati. Pensiamo al bonus vacanze: un albergatore che magari prima o poi chiuderà dovrà anticipare il bonus a una famiglia che magari non ha perso nulla». Nel Regno unito agli autonomi, il giorno stesso del lockdown, è stato garantito l'80% del fatturato dell'anno precedente. Fare un paragone è imbarazzante, eppure qui in Italia la «gente che piace» ride di Boris Johnson.«Sarebbe ingeneroso fare paragoni. E lo dico da europeista: ma sarebbe bene che l'Europa guardasse all'Atlantico, e in particolare agli Stati Uniti. Segnalo che la Statua della libertà sta su quella sponda dell'Atlantico. In America i soldi, e in misura assai significativa, sono arrivati a tutti quelli che hanno avuto una riduzione di stipendio o di fatturato in automatico, senza nemmeno chiederlo. Per non parlare della maggiore elasticità dell'economia Usa, che ora ovviamente soffre, ma poi risalirà velocemente».Torniamo in Italia e veniamo a uno scenario cupo. Il 16 settembre arriva l'Apocalisse fiscale, con la scadenza di tutte le tasse rinviate da marzo in poi. E il 16 agosto finirà lo stop ai licenziamenti. Mettendo insieme queste due date, è prevedibile tra fine estate e inizio autunno una valanga di licenziamenti e fallimenti? «Lo dicevo all'inizio. Ora stiamo vivendo dentro una “realtà sospesa", siamo nella super emergenza e arriva un decreto ogni dieci giorni. Ma poi verrà un momento in cui questa “sospensione" finisce e dovremo purtroppo contare le chiusure…». Ma secondo lei al governo ne sono consapevoli? Parliamoci chiaro: o per dolo o per colpa, gli autonomi sono stati dimenticati o comunque fortemente trascurati dal governo, sin dalla nascita. Lei che spiegazione dà? Sono fuori dalla constituency elettorale di Pd e M5S, che invece hanno più a cuore i dipendenti pubblici? «Né dolo né colpa. È l'eredità di una cultura di decenni: anziché compensare chi ha perso davvero, si è cercato di “non lasciare indietro nessuno", anche quelli che non hanno perso e potrebbero andare avanti con le proprie gambe. Vede, lo stesso pur positivo intervento sull'Irap (via il 40% di acconto) vuol dire operare un trasferimento proporzionato ai guadagni, non alle perdite».Prepariamoci a mesi durissimi.«Nel 2019, prima di questo disastro, ancora dovevamo recuperare - rispetto al 2007 - in termini di consumi pro capite, di reddito pro capite, per non dire di valori immobiliari. Mi domando quanto ci vorrà a recuperare dopo questo 2020. Come lo vogliamo chiamare? La parola è: declino».Eppure molti sembrano sottovalutare.«Vedo che alcuni prevedono un rimbalzo del 4,7% nel 2021. Ma secondo le stesse previsioni del governo, i tassi di crescita congiunturale del 2021 saranno inferiori a quelli degli anni tra il 2014 e il 2019. Non capisco quindi di quale rimbalzo si parli…». Ma nelle consultazioni il governo vi ascolta o è solo un rito stanco e formale?«Ma sì, ascolta. Però nella logica che dicevo prima, nel framework delle centinaia di interventi che abbiamo descritto in questa conversazione: ragionando per accontentare indistintamente tutti, e non chi è stato davvero danneggiato. E così il richiamo alla proporzionalità degli interventi rispetto al danno subito si è di fatto perso. Se eliminassimo bonus vacanze, bonus biciclette e monopattino, bonus Alitalia e altri provvedimenti non necessari, e trasferissimo, concentrandole, tutte queste risorse, acconto Irap incluso, sugli indennizzi, il coefficiente di proporzionalità potrebbe passare dal 10-20% al 35-50%. A quel punto sarebbe largamente ripristinata la fiducia tra imprenditori-lavoratori e amministrazione pubblica».Ci lasciamo con una minima ragione di ottimismo? «Se vogliamo essere ottimisti, è meglio che non parliamo di ciò che può accadere nel 2021, nel 2022, nel 2023…».
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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