2023-09-05
Bonaccini scappa dal flop lasciato sul sisma
Il governatore, tentato da un’europoltrona col Pd, sbandiera il successo della ricostruzione dopo il disastro 2012. I numeri, però, lo inchiodano: tra Modena e Ferrara ci sono quasi 1.000 pratiche private ancora aperte. Al palo gli interventi sui beni pubblici.«Sono mesi che Stefano Bonaccini attacca il governo per la gestione dell’alluvione in Romagna, sbandierando i suoi successi sul sisma. Ma la verità è che sta scappando dai numeri». Antonio Platis, vicecoordinatore regionale di Forza Italia per l’Emilia-Romagna e già attivo sul territorio a Mirandola e Nonantola, in provincia di Modena, snocciola un dato dopo l’altro. Detta un bollettino del fallimento, che fa sorgere parecchi dubbi sulla gestione della ricostruzione in Emilia dopo il terremoto del maggio 2012. Eppure a Bologna sostengono di aver risolto la questione nel migliore dei modi. Tanto che già la scorsa primavera, in un comunicato stampa ufficiale, gli uffici regionali gongolavano: «A 11 anni dal sisma che colpì l’Emilia la ricostruzione è pressoché terminata. Dopo le terribili scosse del 20 e 29 maggio 2012 e i durissimi mesi che seguirono, oggi i numeri dicono dell’enorme lavoro fatto da allora. Tanto che a fine anno è prevista la cessazione dello stato d’emergenza e il ruolo di Commissario di governo per la ricostruzione affidato al presidente della Regione, Stefano Bonaccini: ciò che resta da completare, pur con risorse e procedure dedicate, potrà proseguire nella normalità».Ebbene, secondo Platis (e secondo i numeri) la situazione è leggermente diversa. Tanto che l’esponente azzurro chiede a gran voce la proroga dello stato di emergenza. «Bisogna che sia subito prorogato», ci dice. La realtà è che dal 2012 a oggi fatte tante cose ma ce ne sono tantissime ancora da fare. Ci sono poco meno di 1.000 pratiche ancora aperte soprattutto a Modena o Ferrara, quasi tutte relative a condomini o grandi edifici dei centri storici». Ed ecco la sfilza di dati: «Ben 941 pratiche di edilizia privata sono ancora al palo dopo 11 anni dal terremoto e la ricostruzione pubblica non è praticamente neppure partita. Ben 17 comuni della provincia di Modena hanno ancora svariate pratiche aperte, con un picco di 193 pratiche per il comune di Novi di Modena. Cantieri per un valore autorizzato di 415 milioni e saldati per appena 190 milioni. Percentualmente, l’avanzamento dei lavori di queste pratiche, è circa il 41,23%. Questi ultimi lavori hanno una durata media di 1.457 giorni, quattro anni insomma».Ci sono ritardi sulla ricostruzione per i privati e pure per i beni pubblici. «Abbiamo 1.700 pratiche relative a chiese, municipi eccetera», insiste Platis. «Di queste solo 715 sono state completate. Altre 261 sono in corso, 380 hanno progetto approvato ma non sono ancora partite e 207 in istruttoria, cioè in fase di esame. Infine per 115 non c’è ancora un progetto e 68 bocciate dalla regione che comuni o enti dovranno tentare di ripresentare. I tecnici comunali che dovrebbero seguire tutto questo sono pochissimi, e se non ci fosse più la struttura commissariale di sicuro non riuscirebbero a fare fronte al cumulo di lavoro».Secondo l’azzurro, «senza lo stato di emergenza ci saranno meno risorse, meno personale e nessuna scorciatoia burocratica. In pratica si rischia la paralisi di tutti gli ultimi grandi condomini ed edifici dei centri storici. Dopo 11 anni questi terremotati rischiano di non vedere più la ricostruzione terminare. Per queste ragioni, invece di scappare verso Bruxelles e sparare a zero sul governo, Bonaccini dovrebbe rimanere sul territorio e rimboccarsi le maniche per aiutare realmente i cittadini e le imprese emiliano-romagnole. L’emergenza sisma non può chiudersi checché racconti il presidente della Regione. Con questi dati è necessario assolutamente chiedere al governo la proroga dello stato di emergenza e quindi presenteremo in tutti i comuni del cratere, in provincia e in regione la richiesta di mantenere per un altro anno la struttura commissariale».La richiesta, a ben vedere, non è affatto peregrina. Platis ha ragione a sostenere che senza una struttura commissariale sarebbe molto più difficile per i Comuni continuare a gestire le conseguenze del sisma e contemporaneamente fare fronte alla ordinaria amministrazione. In aggiunta si pongono problemi diciamo più tecnici. «Grazie alla struttura commissariale», dice Platis, «è possibile avere quella che si chiama commissione congiunta». In questa sede, gestita con personale straordinario, è possibile raccogliere tutti i pareri dei vari enti coinvolti e arrivare ad un parere definitivo sia da un punto di vista strutturale e artistico che di certificazione della congruità dei prezzi. Nel caso in cui non ci fosse più questa commissione, tutto l’onere sarebbe in campo agli enti proprietari e ai Comuni. Verrebbe inoltre a terminare la contabilità speciale e i comuni dovrebbero far fronte alle varie problematiche con le procedure ordinarie, cosa non semplice». Volendo ci sarebbe poi una questione di opportunità politica. Continuare a puntare il dito sui ritardi nella risposta all’alluvione quando ci sono centinaia di pratiche che da oltre un decennio richiedono di essere risolte non appare particolarmente elegante né opportuno. È ovvio che ricostruire con fondi pubblici non sia tra le operazioni più semplici e talvolta i tempi lunghi sono perfino fisiologici. Certo, parlare di emergenza dopo 11 anni può apparire paradossale, e in larga misura lo è. Ma prima di decretarne la fine allo scopo di appiccicarsi una medaglia sul petto da esibire in campagna elettorale converrebbe pensare a quella parte di popolazione che ancora attende di tornare a una vita se non normale almeno decente.
Diego Fusaro (Imagoeconomica)
Maria Rita Parsi (Imagoeconomica)