2019-10-15
Sindacalisti e pensioni: lo scandalo cresce, Boeri lo «scopre»
Non so se avete presente Tito Boeri, cioè il professore della Bocconi che per quasi cinque anni è stato presidente dell'Inps. Fino a ieri ero convinto che il docente fosse uno e non bino, cioè non avesse un omonimo ma al massimo due fratelli, uno noto come architetto di fama mondiale per aver disegnato il Bosco verticale e l'altro come giornalista scientifico con un passato a Panorama e Focus. Sfogliando le pagine di Repubblica del lunedì ho invece scoperto l'esistenza di un altro Tito Boeri, anche lui economista e anche lui editorialista del quotidiano del gruppo Gedi. Il Boeri in questione però non sembra sapere nulla di ciò che fa o ha fatto il Boeri che stava all'Inps. Infatti, sulle pagine del giornale per cui la famiglia De Benedetti è ai materassi, è stato pubblicato un articolo di Tito Boeri in cui si parla (...)(...) del paradosso dei sindacalisti, i quali con una mano trattano la riforma delle pensioni e con l'altra si arrotondano la propria. Il Boeri editorialista è evidentemente all'oscuro dell'operato del Boeri ex presidente dell'Inps, il quale sono certo doveva da tempo essere a conoscenza del paradosso che costa alle casse dello Stato una montagna di soldi, ma evidentemente non ha ritenuto la faccenda degna di essere denunciata. Il Boeri articolista, a differenza del suo omonimo, invece giudica il paradosso dei sindacati, che consente ai funzionari di Cgil, Cisl e Uil di beneficiare di un trattamento di favore rispetto a tutti gli altri lavoratori, un fatto scandaloso. Certo, ci fa piacere che il Boeri omonimo di quell'altro che stava ai vertici del più grande ente previdenziale d'Europa si sia accorto del vergognoso vantaggio di cui godono i rappresentanti dei lavoratori rispetto a chi dicono di rappresentare, ma c'è da chiedersi perché analoga denuncia non sia arrivata dal Boeri presidente dell'Inps e perché il numero uno dell'istituto non sia stato colto dalla medesima indignazione che ha colpito il Boeri editorialista. E dire che la faccenda del favoritismo dei sindacalisti è nota da anni. Ai tempi in cui dirigevo Il Giornale, vale a dire circa vent'anni fa, io stesso scrissi una montagna di articoli sullo scandalo dei contributi figurativi del sindacato, spiegando che ai signori delle tessere (cioè di Cgil, Cisl e Uil) era consentito ciò che ai comuni mortali era negato. Non solo. All'epoca spiegai che il trattamento di favore era stato introdotto proprio mentre ai comuni lavoratori venivano cambiate in peggio le regole per il trattamento previdenziale. In pratica, mentre con il ministro Tiziano Treu si procedeva al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, riducendo di fatto l'assegno di cui fino ad allora avevano goduto i lavoratori, ai sindacalisti veniva permesso di farsi una pensione più ricca. Vi chiedete come? Semplice: il trucchetto sta in quella formuletta magica chiamata contributi figurativi, ossia contributi che, appunto, «figurano» nel curriculum previdenziale di una persona ma che nessuno ha mai versato. Ne gode chi ha fatto il militare e anche chi abbia ricoperto un incarico pubblico tipo sindaco o presidente di Provincia, ossia chi abbia lasciato il lavoro per svolgere un servizio a favore della collettività. La misura fu varata per non penalizzare coloro che si candidano e lasciano il lavoro, i quali non essendo assunti dall'amministrazione pubblica rischierebbero di essere penalizzati dal punto di vista pensionistico, perché giunti all'età in cui ci si ritira non potrebbero conteggiare i contributi negli anni passati a occuparsi della cosa pubblica. Fin qui, dunque si potrebbe anche essere d'accordo: se uno fa il sindaco non dev'essere punito. Il problema è che i sindacati, oltre a non essere puniti, sono favoriti. Perché molti funzionari non sono a carico della loro organizzazione ma distaccati. Tradotto: sono assunti altrove ma lavorano per Cgil, Cisl e Uil. Le confederazioni - che pure sono associazioni private e non pubbliche, tanto da non aver l'obbligo di alcuna rendicontazione o di controllo della Corte dei conti - pagano lo stipendio ma non i contributi, che però vengono registrati come se venissero versati, cioè a carico della fiscalità generale. Già questo avrebbe dovuto far rizzare i capelli al Boeri presidente dell'Inps, ma dal 1996 c'è di più e di peggio. Già, perché da quell'anno è consentita ai sindacalisti una cosa che non è permessa a nessun altro, ossia di integrare la propria contribuzione. Prendiamo il caso di un funzionario in distacco da vent'anni, per il quale l'Inps abbia accantonato contributi figurativi per un ventennio. Giunto all'età della pensione, il sindacalista fa versare dalla sua confederazione qualche migliaio di euro di contributi, come se percepisse uno stipendio più alto di quello iniziale. Con questo giochino il suo assegno previdenziale ha un trascinamento al rialzo su tutti i vent'anni, anche se per vent'anni non è stato pagato un euro. In qualche caso l'aumento ha raggiunto il 66 per cento, facendo lievitare la pensione oltre misura. Chiaro il concetto? Bene. Il Boeri giornalista si indigna su Repubblica perché una circolare dell'Inps, con il placet del ministero del Lavoro a trazione grillina, estenderebbe questo trattamento di favore non solo ai funzionari di Cgil, Cisl e Uil, ma anche a quelli di sindacati con pochi iscritti, dunque facendo crescere la spesa. Il Boeri ex presidente dell'Inps invece pare non essersi mai indignato in passato, né aver fatto nulla per cambiare le regole. Sarà per questo che fino a quando c'era lui il numero dei lavoratori in distacco per motivi sindacali non veniva aggiornato sul sito dell'istituto? Infatti, fino a poco tempo fa risultava che nel 2013 nel settore privato erano 2.773 i funzionari in aspettativa non retribuita, mentre quelli nel settore pubblico arrivavano a 1.800. Quasi 5.000 persone a cui la pensione è pagata da Pantalone, ma che, evidentemente, all'omonimo dell'editorialista che oggi si indigna, non sembravano né un paradosso, né uno scandalo.