2018-09-14
Boccia, Zingaretti e gli altri: c’è un Pd che tifa crac per mettersi con il M5s
La vice di Stefano Bonaccini non ha mai nascosto la sua tesi: «Stare con Luigi Di Maio avrebbe messo Matteo Salvini all'angolo» Il governatore del Lazio tiene su la giunta grazie al Movimento. Matteo Renzi, intanto, progetta di tornare in sellaDa oggi c'è un candidato alla segreteria del Pd, Francesco Boccia, che scende in campo mettendo il patto con Luigi Di Maio nel suo programma. Rappresenta una minoranza è vero (la componente di Michele Emiliano) ma inscrive di nuovo nell'agenda dei dem un tema che potrà avere una grande rilevanza in futuro. E dunque, ancora una volta, come un fiume carsico che riaffiora ad intervalli regolari c'è lo spettro del M5s stelle che si aggira nel dibattito del Pd. Questa ipotesi di accordo, come è noto, c'era - e non era del tutto improbabile - ai tempi della segreteria di Pier Luigi Bersani, quando il destino di un possibile premier si compì, nello spazio di un tweet e di uno streaming (dolorosissimo) con Vito Crimi e Roberta Lombardi. Questa ipotesi era in campo anche dopo la sconfitta del 5 marzo, quando Matteo Renzi uccise sul nascere la possibilità di un accordo politico sull'alleanza con una mossa abile, facendo cadere sul dibattito un diktat, e con la la mannaia mediatica di un veto comunicato urbi e orbi dal salotto televisivo di Fabio Fazio. Per due settimane gli agit prop renziani sui social avevano sparato a palle incatenate su questo accordo con l'hashtag #senzadime, e la campagna all'epoca ebbe un triplo effetto: rilanciare la leadership di Renzi, stroncare il dibattito sulle sue responsabilità, indebolire l'opposizione interna che si stava coagulando contro di lui. Tuttavia l'ipotesi di un accordo oggi continua ad inseguire il Pd, proprio come la maledizione dell'incesto inseguiva Edipo. Oggi l'ipotesi di una possibile alleanza in questo Parlamento (cioè in questa legislatura) fa capolino ogni qualvolta i venti di tempesta oscurano l'idillio gialloblù tra M5s e Lega. Marco Minniti all'eventualità di una rottura non ci ha mai creduto e ripete: «Quei due, Di Maio e Salvini, mi sembrano il pentapartito 4.0: litigano tutti i giorni e poi si mettono sempre d'accordo. Perché - esattamente come Psi e Dc negli anni Ottanta - li tiene insieme un patto di potere solido, reale, blindato». Ma anche nei momenti più solari nella giovane vita dell'alleanza, c'è chi ha tenuto viva l'ipotesi che andasse stretto un rapporto tra la sinistra e il M5s. La prima ad esplicitare questa idea è stata la vicepresidente dell'Emilia Romagna, Elisabetta Gualmini: «Io il Movimento l'ho studiato e lo conosco bene. È una forza ideologicamente destrutturata, allearsi con Di Maio avrebbe aperto delle grandi potenzialità e avrebbe tenuto in un angolo Salvini». E ancora: «Ogni giorno», aggiungeva la Gualmini, «incontro gente che mi continua a chiedere perché non abbiamo fatto il governo con il M5s! Non posso rispondere su quale si stato il motivo della scelta», aggiungeva la vicepresidente dell'Emilia, «perché nel partito un serio dibattito politico su questo punto non c'è stato».Fate attenzione ai nomi e ai ruoli, ai pesi politici nel dibattito interno. Dire Gualmini vuol dire Stefano Bonaccini. Evocare cioè il presidente di Regione della regione che conta ancora il maggior numero di iscritti. Ma Bonaccini è anche un potenziale alleato di Nicola Zingaretti, ex segretario della sinistra giovanile quando il governatore del Lazio ne era leader. Anche Zingaretti è stato sempre contrario al muro contro muro nei confronti del Movimento. E questa estate alcune sue dichiarazioni - giudicate troppo «aperturiste» - alla festa del Fatto Quotidiano, intervistato da Peter Gomez, fecero esplodere la polemica e lo costrinsero a una rettifica, il 2 settembre: «Dobbiamo recuperare il confronto delle idee, basta con la denigrazione delle persone a prescindere dalle idee. È evidente», aveva aggiunto seccato Zingaretti, «che non voglio allearmi con il M5s, li ho sconfitti due volte. Ma voglio parlare con chi ci ha abbandonato, voglio capire perché. Dobbiamo combattere, altro che subalternità. È subalterno», aveva concluso, «chi nella battaglia interna usa gli stessi strumenti che critichiamo nei cinquestelle».Il tema che sfugge a molti osservatori è che - sia pure dissimulato con grande capacità diplomatica - un accordo con il M5s Zingaretti lo ha già fatto. È proprio con quella Roberta Lombardi che aveva sbattuto la porta in faccia a Bersani nella famosa diretta streaming. Nel Lazio funziona una sorta di meccanismo della non sfiducia, perché Zingaretti che ha preso nello stesso giorno 350.000 voti, poi del Pd alle politiche non ha una maggioranza in Consiglio. Ufficialmente entrambi i movimenti spiegano che il voto non ostile viene deciso provvedimento per provvedimento. In realtà nel Lazio è stato rispolverato uno dei congegni più antichi della prima Repubblica, il governo della non-sfiducia con cui il Pci appoggiava la Dc durante il compromesso storico pur non essendo in maggioranza. Il fatto politicamente più rilevante (e sorprendente) è verificare l'apparente disinvoltura con cui Zingaretti si è messo alle spalle le accuse feroci della campagna elettorale, quando la Lombardi, durissima, lo accusava di essere «un governatore invischiato nel sistema di mafia capitale». Ecco perché, nello scenario in cui il governo gialloblù vede dividersi la sua maggioranza, il Pd è tormentato dallo spettro del M5s. Intanto l'ultima voce riportata da Dagospia raccoglie l'ipotesi che Renzi rilanci la leadership di Paolo Gentiloni per la segreteria del partito. Ma è veramente arduo immaginare che l'ex premier ceda a questa corte dopo la rottura e gli insulti con l'uomo della Leopolda. Anche perché pochi sanno che Umberto Gentiloni, uno dei più stretti consiglieri (e amici) di Zingaretti e il nipote di proprio di Paolo. Molto più probabile, invece, che Renzi stia continuando a tirare candidati dal cilindro per sondarli, o a bruciarli. E che alla fine - per la sfida vera - abbia in mente solo un nome, il suo, dopo la campagna rigenerativa della serie su Rete4 e la vetrina di Salsomaggiore. Dieci giorni fa ospite di Stasera Italia aveva detto a Barbara Palombelli: «Non sarò io il candidato». E sette giorni dopo, invece, ha detto (in una festa del Pd): «Non vi libererete di me tanto facilmente». In questa impressionante sfilata di posizioni vere, false e di comodo, forse per una volta Matteo è stato sincero.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)