2022-12-28
Bobby Solo: «Per “Una lacrima” mi spettava 1 miliardo ma ho visto poche lire»
Il cantautore: «Creai io la canzone, Mogol ne scrisse il testo in 20 minuti mentre guidava, poi mi rubarono i diritti. Sono apolitico, però la Meloni è in gamba. Le persone hanno bisogno di qualcuno che le capisca».Bobby Solo, nome d’arte di Roberto Satti, classe 1945, è un uomo affabile e risoluto che conversa amabilmente del passato ma senza mai disancorarsi da un presente progettuale. I programmi televisivi se lo contendono, anche perché, quando c’è lui, 3 milioni di spettatori sono garantiti. Nel 2023 festeggerà 60 anni di carriera, pubblicando un’autobiografia e un quaderno di pensieri sul senso della vita per l’editore Bertoni. La sua notorietà proruppe improvvisa a Sanremo 1964, con l’inossidabile Una lacrima sul viso. Poi, vinse all’Ariston nel 1965 con Se piangi se ridi e nel ’69 con Zingara. Quel ciuffo alla Elvis Presley, suo eterno ispiratore, quella voce di velluto, sono scolpiti nella memoria. Da quell’epoca in cui gli italiani sognavano, attraverso giradischi, frigoriferi e televisori, è accaduto di tutto. Guerra del Vietnam, crisi petrolifera. Oggi un’altra guerra, il guaio del metano. Bobby, mai rinunciando né al suo look da teddy boy con chitarra d’ordinanza né ai suoi generi prediletti, «blues, rhythm & blues, country, crooning, rock’n’roll, rockabilly», riflette sui tempi cambiati, fino a un presente, questo, una piattaforma che è anche musica. Arriva il 2023. Sessant’anni sotto i riflettori.«Sì, i miei primi 45 giri li ho incisi nel 1963. Tre in un anno, uno era Ora che sei già una donna, l’altro Cristina e, il terzo, Blu è Blu. Non vendevano nulla. Andavo, da solo, a comprare i miei dischi, a Milano in corso Vercelli, al negozio «Discoland», a 400 metri da casa mia, abitavo a via Frua numero 15. Dicevo: «Mi dà 4 dischi di Bobby Solo?». Tanto non mi riconosceva neanche il proprietario. Mia zia, a Trieste, comprava 5-6 dischi per aiutare la baracca». Lei è nato a Roma per caso, i suoi erano di origini triestine vero?«Padre e madre nati a Trieste, nonna era dell’Istria, di Pola, la mia bisnonna del Montenegro. Oggi abito a Pordenone, con mia moglie e mio figlio».Suo padre era in Aereonautica…«Era un pilota, due medaglie d’argento combattendo in Etiopia contro gli aerei inglesi. Prima fece l’Ala Littoria, poi la Lai, Linee aeree italiane, che fallì perché a Milano ci furono due incidenti nella nebbia in atterraggio. Rimase qualche anno senza lavoro, poi entrò in Alitalia. È stato pilota per 30 anni, poi divenne direttore del traffico internazionale».Desidera parlarci della sua vita familiare?«Mia moglie si chiama Tracy Quade, è coreana-americana. Dalla prima moglie ho avuto tre figli, Alain, Chantal e Muriel, di 54, 53 e 48 anni, poi Veronica, 34, nata da una convivenza di 2-3 anni con una corista. Ventisette anni fa ho incontrato mia moglie in America, che faceva l’assistente di volo, con cui ho fatto un bellissimo bambino, Ryan, ha 10 anni. Si vogliono tutti molto bene. La famiglia è completamente unita».Come ricorda suo padre e sua madre?«Mio padre molto severo con me, del 1906, un colonnello, non amava la professione del cantante ma solo l’opera e la musica sinfonica. Non ha mai gradito che facessi l’artista. Mia madre una donna piccola e molto intelligente, innamorata persa di me, è stata quattro mesi ferma immobile altrimenti non sarei nato. È sempre stata molto fiera di me, mentre mio padre per niente».Da bambino era timido. Ma quando vi trasferiste a Milano, a soli 17 anni, fondò un gruppo. «Sì, superai la timidezza. Ma suonavamo per 80 persone nei club del partito socialista e dell’Unione donne italiane. La prima volta a Sanremo ero molto emozionato. Mi sparì la voce e cantai in playback. In una sola notte arrivarono 300.000 ordini di 45 giri della Lacrima. È il disco che ha venduto di più negli anni ’60, due milioni e mezzo di copie in Italia e 12 milioni nel mondo».Senza contare le contraffazioni…«Sul lago di Como trovarono una stamperia clandestina con 300.000 copie».Oltre a questa, ha subito altre truffe?«Sono l’autore della Lacrima, ho composto la musica, Mogol le parole. Ero ignaro delle regole, avevo firmato a settembre del ’63, ma quando Ravera è impazzito per me e ha deciso di portarmi a Sanremo nel ’64, la casa discografica mi obbligò a stracciare il bollettino Siae, facendolo firmare al loro direttore artistico che mi ha pagato una briciola. Su un miliardo mi ha dato 4 milioni e mezzo». E poi che successe?«Non ho preso nulla sino a quando questo direttore artistico è andato in miseria in Brasile, moriva di fame. Allora Red Ronnie e Mogol lo contattarono, dicendogli: «Sei già anziano, prima di morire restituisci la canzone a Bobby Solo». Lui è venuto dall’avvocato Costa e mi ha restituito i diritti, ma la canzone rende 2000-2500 ogni sei mesi e non è più quel miliardo che mi hanno rubato».In questa brutta storia c’è anche un fatto di crimine…«Io non posso dire che sia stato ucciso apposta, ma tra il ’68 e ’70 un mio zio avvocato, triestino, Turi Isalberti, camminava a piedi, a Roma, e fu investito a largo Ponchielli, una zona dove viaggiavano auto, da un pregiudicato di Vizzo. La borsa nera che aveva con sé, con le prove della truffa, non fu più trovata». Come nacque Una lacrima sul viso?«Rimasi affascinato dalla progressione degli accordi della canzone The chapel in the moonlight, del ’54, di Dean Martin. Cambiai la melodia, altrimenti sarebbe stato un plagio. La accennai a mia mamma, a casa a Milano, in cucina, mentre bolliva le patate per papà. Lei disse: «Mi piace questa canzone». E poi con Mogol nacquero le parole…«Ci incontrammo, per andare alla Ricordi, a piazza Duomo e lui mi dice: «Non ho avuto tempo di comporla». Rispondo: «Lasciamo perdere». E lui: «No no, guidiamo e la facciamo» (ne intona il motivo). Siccome Mogol è un genio, in 20 minuti ha tirato fuori le parole». E le origini della sua passione per Elvis Presley?«A 14 anni, m’innamorai di una mia coetanea, Betsie McGurn. Era del Wyoming e suo padre un giornalista del New York Herald Tribune, corrispondente a Roma. Lei parlava sempre di Elvis. Io non lo conoscevo. La sorella del primo marito di mia mamma, che aveva 28 anni, mi mandò tre 45 giri di Elvis e due vinili. Io, vedendo il ciuffo, me lo feci fare identico, ma la mia fidanzatina - neanche un bacio ci demmo - mi diceva: “Hai il ciuffo ma non canti”».E quindi?«Mi feci regalare da mamma una chitarra economica, «Carmelo Catania», e cominciai a strimpellare per imitare Elvis ed essere gradito a Betsie. Mia madre era amica dello sceneggiatore Giuseppe Patroni Griffi. Feci un provino alla Rai. Mi esaminarono 6 signori di 60-70 anni. Io ne avevo 14, tremavo dalla paura. Mi dissero: «Signor Satti, vada al liceo. Lei non canterà mai. È negato». Stavo per morire dal dispiacere ma, uscendo dalla Rai, il leggendario chitarrista Mario Gangi, allievo di Segovia, mi prese sottobraccio dicendomi: «Non ascoltare quei vecchi tromboni, continua a cantare con il tuo stile e vedrai che ce la farai».La conserva ancora la «Carmelo Catania»?«Non sono un collezionista di cose del passato, vivo nel presente. Il mio guru indiano, Jiddu Krishnamurti, morto nel 1986, e di cui ho tutti i libri, dice sempre questo. Non mi giro mai indietro, altrimenti sbatto contro un palo della luce. Pratico da 20 anni i 5 riti tibetani e yoga ed esercizi per chi fa arti marziali, di manipolazione dell’energia».Da un punto di vista religioso come si definisce?«Assolutamente cattolico, credente, peccatore ma molto credente. Mia moglie arrivò a un anno in California, fu adottata da genitori che erano luterani. Ha praticato il credo presso monsignor Renato De Zan a Cordenons ed è diventata cattolica come me». Si è detto spesso che Elvis era di destra. Le risulta? «Elvis era prima di tutto un proletario, è nato a Old Santillo Road a Tupelo, Mississippi, dove sono stato, nella zona degli afroamericani poverissimi, la sua famiglia era la più povera e l’unica bianca. Adorava gli afroamericani, non aveva nessun interesse a essere di destra o di sinistra, era innamorato della musica gospel della religione battista. Furono giornalisti italiani, probabilmente di sinistra, a diffondere questa voce. Non conoscevano la sua storia». Lei si ritiene di destra o di sinistra? «Apolitico. Secondo me il problema è che nessun politico dice che nel 1970 la popolazione mondiale era 2 miliardi, oggi siamo a 8 miliardi e 400 milioni. Con una crescita costante della popolazione mondiale non c’è molta possibilità di benessere e il capitale è concentrato nelle mani di pochi».Si dichiara apolitico, ma avrà un’opinione su Giorgia Meloni.«È molto in gamba e la sua origine, da un quartiere popolare di Roma, la Garbatella, la aiuta. Le persone hanno bisogno di una persona che conosca i loro problemi…».Il cantante che oggi conquista il successo, guadagna di più o di meno di un tempo?«Prende briciole, guadagnano le case discografiche che hanno inglobato tutte le piccole etichette. Oggi sono 2-3, negli anni ’60 almeno 25. Vent’anni fa, quando c’era il cd, un cantante prendeva il 20-25% su un cd. Oggi al massimo si acquistano 3 canzoni scaricate da Spotify a 90 cent l’una. Quindi guadagno sui 2 euro e 70, non più sui 16 euro di un cd. Ma le poche case discografiche hanno un repertorio di milioni di canzoni». I nuovi talenti hanno possibilità di svettare?«Ci sono questi talent, una specie di anticamera. Oggi, se uno ha un figlio di 18 anni che canta, può avere bel visetto che fa innamorare le ragazzine, ma in sala di incisione, se stona, con un melodyne, lo faccio cantare come Caruso, solo che non può esibirsi dal vivo».Che farà a Capodanno?«Sarò a Roma a fare le prove con la mia adorata Mara Venier perché il 1° gennaio canteremo con mio figlio e mia moglie in televisione a Domenica in».