2020-03-04
Bloomberg, il cumenda che sognava la Casa Bianca ha speso mezzo miliardo per ritirarsi subito
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L'idea dell'ex sindaco era quella di rappresentare oggi per i democratici ciò che fu Donald Trump per i repubblicani nel 2016. Peccato per lui che non fosse esattamente un novellino dell'agone politico.Che la sua candidatura fosse problematica era chiaro fin dall'inizio. Nonostante qualche incauto commentatore ne avesse preconizzato subito l'imminente conquista della Casa Bianca, la campagna elettorale di Mike Bloomberg si è rivelata un clamoroso flop. La strategia di entrare tardi nella corsa delle primarie, puntando principalmente sugli Stati di grosse dimensioni, era sbagliata in partenza. E c'era un (parziale) precedente storico a dimostrarlo: quello di un altro ex sindaco di New York, Rudy Giuliani che – candidatosi alle primarie repubblicane del 2008 con questa linea – aveva dovuto ritirarsi quasi subito con un pugno di mosche in mano.Incurante del fatto che la storia sia spesso magistra vitae, Bloomberg – con una buona dose di prosopopea – è sceso in campo, presentandosi come il miliardario di successo capace di risolvere i problemi: una linea volta a mettere nel mirino l'incapacità del professionismo politico. L'idea dell'ex sindaco era sostanzialmente quella di rappresentare oggi per i democratici ciò che fu Donald Trump per i repubblicani nel 2016. Peccato per lui che, contrariamente al Trump di quattro anni fa, Bloomberg non fosse esattamente un novellino dell'agone politico, essendo stato sindaco della Grande Mela per ben undici anni e avendo cambiato ripetutamente affiliazione partitica con una certa disinvoltura: dapprima repubblicano, poi indipendente, poi passato ai democratici. In tutto questo, non va dimenticato che – nel corso della sua lunga carriera – il miliardario si sia anche spesso politicamente esposto in modo netto: nel 2003 sostenne alacremente la guerra in Iraq, mentre – quattro anni fa – diede il proprio endorsement, pur da indipendente, a Hillary Clinton. Insomma, la storia del magnate antiestablishment con lui non è che funzionasse granché. A tutto questo dobbiamo poi aggiungere l'arroganza con cui – nel giro di appena cento giorni – ha inondato le televisioni e il web di spot elettorali, arrivando a investire la faraonica cifra di oltre 500 milioni di dollari.Se per descrivere Bloomberg proprio non si vuole ricorrere alla categoria della "superbia", basta forse quella della "scarsa lungimiranza", visto che ha deciso di candidarsi alla nomination di un partito – quello democratico – la cui sinistra da anni stigmatizza le indebite intersezioni tra big business e sfera politica. Se anche quindi la voglia di scendere in campo fosse stata irrefrenabile, Bloomberg avrebbe dovuto tenere forse un profilo un tantino più basso, anziché ostentare una potenza finanziaria che – alla fine – gli si è ritorta contro come un boomerang. Al di là delle accuse di conflitto di interessi che gli sono piovute contro, l'ex sindaco ha dovuto rendere conto anche di alcune sue passate affermazioni, non particolarmente amichevoli verso operai, agricoltori e minoranze etniche: esattamente le quote elettorali necessarie per sperare di conquistare la nomination democratica. Del resto, che non avesse il carisma di Trump era già chiaro dai dibattiti televisivi, dove ha rimediato sonore sberle da tutti i contendenti in corsa e non ha saputo quasi mai tenere il punto sulle proprie posizioni politiche. Al di là della spocchia e della dialettica misera, Bloomberg ha pagato anche l'aver incarnato una forma di centrismo politico particolarmente odiosa: un centrismo tecnocratico e asettico. Un centrismo non esente da qualche preoccupante punta di spietatezza (ricordiamo che – in un video risalente al 2011 – disse che i novantacinquenni non dovessero usufruire della sanità pubblica per curare il tumore alla prostata).Insomma, che la candidatura di Bloomberg facesse acqua da tutte le parti era abbastanza chiaro già da prima del Super Martedì quando, nonostante il profluvio di dollari investiti, l'ex sindaco non è riuscito a conquistare lo straccio di uno Stato. Un'umiliazione non di poco conto, che lo ha spinto a ritirarsi, dando il proprio endorsement all'ex vicepresidente, Joe Biden. "Tre mesi fa, sono entrato nella corsa per battere Donald Trump. Oggi rinuncio per lo stesso motivo", ha dichiarato su Twitter. «La sconfitta di Trump parte dal riunirsi attorno al candidato con le possibilità maggiori di farcela. È chiaro che si tratta del mio amico e grande americano Joe Biden». L'ex vicepresidente – che ha già incassato negli ultimi giorni l'appoggio dell'apparato dell'asinello – sarà particolarmente felice. Anche perché spera prevedibilmente nei foraggiamenti finanziari di Bloomberg.Quello che adesso bisognerà capire sono due elementi. In primo luogo, dove andrà la pur magra eredità elettorale dell'ex sindaco: non dimentichiamo che, tra l'elettorato democratico centrista, esista una componente che non nutre troppa simpatia per Biden. Una componente che a febbraio si era coagulata attorno ai nomi di Buttigieg, Steyer e Klobuchar. E che nel Super Martedì aveva invece convogliato (forse per disperazione) su Bloomberg. Ebbene, questi elettori si decideranno adesso a sostenere l'ex vicepresidente? O si muoveranno invece come schegge impazzite, magari spostandosi nel campo repubblicano? In secondo luogo, va rilevato che l'endorsement di Bloomberg possa rivelarsi un'arma a doppio taglio per Biden, perché accredita la tesi di chi accusa l'ex vicepresidente di essere una marionetta nelle mani di Wall Street. Un fattore che rischia di radicalizzare lo scontro politico in seno all'elefantino. E che a Trump potrebbe tornare particolarmente utile in futuro. Soprattutto qualora, a novembre, Biden dovesse essere il suo sfidante. Si chiude così l'ambizione presidenziale di Bloomberg. L'ex sindaco che sognava da statista ma che alla fine si è rivelato più simile al cumenda dei film di Vanzina.___________