2020-04-24
Blitz per cambiare le assunzioni nella Pa
Progetto infilato nel decreto di marzo: si rischia una pioggia di ricorsi dei dipendenti in mobilità.Il governo avrebbe allo studio una proposta, inizialmente presentata come emendamento al decreto Cura Italia, che potrebbe intervenire sulle procedure di assunzione nelle pubbliche amministrazioni (di cui è ministro competente Fabiana Dadone) per accelerare il ricambio generazionale. La riforma consentirebbe da una parte di evitare la preventiva procedura di verifica di eventuali dipendenti in mobilità presso altri enti, dall'altra di derogare al requisito specifico di accesso previsto da ogni singola Pa, prediligendo unicamente le previsioni generali dei contratti collettivi di settore. Disposizioni criticabili sotto diversi punti di vista, sia per quanto riguarda la forma, sia per il contenuto giuridico.Sotto il primo profilo, appare inusuale che una semplificazione delle procedure concorsuali di accesso al pubblico impiego possa essere disciplinata all'interno di provvedimenti emergenziali legati al coronavirus. Per quanto la necessità di velocizzare il ricambio generazionale nella Pa e le procedure di selezione pubblica debbano senza dubbio considerarsi un obiettivo a medio periodo, sfugge la connessione con il Covid. Se, infatti, i temi trattati dall'emendamento meritano sicuramente l'attenzione, ciò dovrebbe avvenire «a mente fredda», successivamente all'emergenza, con un pieno confronto tra maggioranza e opposizione, lasciando libero il Parlamento in questa fase di concentrarsi nella battaglia al virus.Per quanto riguarda il contenuto del provvedimento, anche se lo stesso farebbe formalmente salvo il principio dell'accesso al pubblico impiego tramite concorso, non può non sottolinearsi come con la formale deroga all'espletamento della procedura di «mobilità obbligatoria» il provvedimento porterebbe alla sovversione del principio di stabilità del rapporto di lavoro nel pubblico impiego. È noto, infatti, che in caso di eccedenze di personale la Pa è chiamata a collocare i dipendenti in questione in mobilità, con una procedura che mira alla ricollocazione. Unicamente al termine del periodo di due anni successivi all'inizio della mobilità senza che sia stata trovata una diversa collocazione è possibile procedere al recesso dal rapporto di lavoro. Nel medesimo arco di tempo ulteriori pubbliche amministrazioni che intendessero assumere sono tenute a verificare prioritariamente la presenza tra il personale in esubero di soggetti in possesso delle necessarie capacità. La logica è quella di reimpiegare al meglio i lavoratori pubblici. Ovviamente, la mobilità obbligatoria è giustificata dal risparmio che deriva dall'utilizzo di dipendenti già alle dipendenze della pubblica amministrazione, mentre procedere a nuove assunzioni comporta un aumento dei costi, non ultimi quelli connessi alle procedure concorsuali.Tramite la riforma si approderebbe a preferire a un dipendente già in servizio e collocato in mobilità un nuovo soggetto. Ciò determinerebbe non solo un indebito aumento dei costi di gestione, ma anche possibili rivendicazioni da parte del dipendente in mobilità «scavalcato» nel suo diritto al mantenimento del posto di lavoro. Una tale modifica rischia di ingenerare un aumento del contenzioso, ulteriore elemento che contribuisce all'aumento delle spese delle Pa, costrette a imbarcarsi in lunghi procedimenti legali.Ulteriore elemento da tenere in considerazione è che la modifica normativa proposta, nel prevedere che il requisito specifico di accesso alle singole posizioni debba essere valutato unicamente con riferimento al dettato contrattuale contenuto nei Ccnl di settore rischia di frustrare le specifiche necessità di ogni amministrazione. Se il criterio che da qualche decennio a questa parte ha guidato le varie riforme del pubblico impiego deve essere correttamente individuato nel voler trasformare la Pa in un'azienda efficiente, e i dirigenti pubblici in manager, la scelta appare incoerente. Occorrerebbe, al contrario, potenziare le singole autonomie e permettere loro di organizzare la propria struttura nella maniera migliore, senza eccessi di «centralismo».È indubbio che il percorso di radicale mutamento e aggiornamento della Pa debba passare per una semplificazione delle procedure, dei tempi e della burocrazia. È altrettanto vero che la pubblica amministrazione necessita di un ricambio generazionale per affrontare le sfide digitali che la attendono. Ciononostante, non è tramite interventi come questo che questi obiettivi potranno essere realizzati. Occorrerebbe, a ben vedere, un approccio serio e strutturale invece di interventi non armonici o sperimentali.Giuslavorista e vicepresidente del consiglio di presidenzadella Corte dei conti