2021-06-29
L’uomo di Biden a Roma spiega le priorità americane al Quirinale e al Vaticano
Tony Blinken con Mario Draghi (Ansa)
Di Maio si riallinea al Segretario di Stato. Che poi incontra Draghi: con gli alleati europei condividiamo il problema Cina. E cerca una sponda nella Santa Sede.Il processo di allineamento di Roma a Washington va avanti. Ed è esattamente in questo senso che deve essere principalmente inquadrata la visita romana di Tony Blinken. Nella giornata di ieri, il segretario di Stato americano ha incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, e il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Nel colloquio con il premier, si è parlato soprattutto del rafforzamento delle relazioni transatlantiche, mentre una particolare attenzione è stata riservata - secondo una nota di Palazzo Chigi - «all'instabilità nella regione mediterranea e alla Libia». Con il capo della Farnesina, Blinken ha invece co-presieduto il vertice della coalizione anti-Daesh. «Siamo molto grati per la leadership dell'Italia perché queste sfide sono al centro dell'agenda globale», ha dichiarato il capo di Foggy Bottom. «Sosteniamo fortemente l'iniziativa dell'Italia di un gruppo di lavoro anti Isis sull'Africa», ha aggiunto. Ma il segretario di Stato americano non ha concentrato la propria attenzione esclusivamente sul contrasto al terrorismo islamista. Uno dei punti nodali del suo viaggio romano è infatti stato quello del complicato rapporto con Pechino. «Come Usa e con gli alleati europei stiamo trovando le stesse complessità con la Cina: un rapporto che ha delle avversità, degli aspetti di concorrenza, ma anche di cooperazione», ha affermato. «L'Italia è un forte partner commerciale della Cina, abbiamo relazioni storiche, ma non vanno a interferire con le relazioni che noi abbiamo con Usa e Nato», ha da parte sua dichiarato Di Maio. «L'Italia», ha aggiunto il capo della Farnesina, «è alleata degli Usa, partner Nato e Ue, e questa non è soltanto un'alleanza strategica ma di valori che permette alle nostre democrazia di poter affrontare questioni come i diritti umani dove l'Italia è stata in prima linea». Insomma, appaiono lontani i tempi del governo giallorosso, quando Roma intratteneva ambigui rapporti con Pechino e l'atlantismo appariva poco più di una parola vuota. Draghi ha sin da subito puntato a un forte avvicinamento a Washington, raffreddando le relazioni con la Cina e guardando soprattutto allo scacchiere nordafricano. Non sarà del resto un caso che ieri - come abbiamo visto - il premier e Blinken abbiano trattato della questione libica: Draghi sa bene infatti che l'appoggio statunitense costituisce un fattore fondamentale per consentire all'Italia di tornare a giocare un ruolo centrale a Tripoli. Ma la visita di Blinken a Roma non ha avuto solo l'obiettivo di rafforzare i legami col Quirinale e con Palazzo Chigi. Il segretario di Stato americano si è infatti concentrato anche sulle complicate dinamiche d'Oltretevere. In questo quadro, il capo di Foggy Bottom ha avuto un incontro di 40 minuti con papa Francesco, oltre a un colloquio separato con il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, e con il segretario per i rapporti con gli Stati, Paul Gallagher. È chiaro che, per Washington, la relazione con la Santa Sede risulti un dossier particolarmente delicato sotto svariati punti di vista. In politica interna, Biden sta cercando una sponda in Vaticano nel braccio di ferro con la conferenza episcopale americana sulla comunione: un braccio di ferro dettato dalle sue posizioni abortiste. I vescovi d'oltreatlantico hanno recentemente reso noto di non essere intenzionati a scomuniche ad hoc. Ci si attende tuttavia che il documento sull'eucarestia, che verrà formalizzato a novembre dall'episcopato d'Oltreatlantico, possa riservare delle stoccate più o meno indirette a Biden: stoccate che potrebbero rivelarsi per lui politicamente problematiche. Sul piano geopolitico, secondo quanto riferito dal portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price, Francesco e Blinken avrebbero parlato ieri, tra le altre cose, di «diritti umani e libertà religiosa in Cina». Ricordiamo che, ai tempi di Donald Trump, Washington non avesse affatto visto di buon occhio l'accordo tra la Santa Sede e la Repubblica popolare sulla nomina dei vescovi: un accordo, originariamente siglato nel settembre 2018 e rinnovato per altri due anni a ottobre scorso. Ora, benché i rapporti tra Francesco e Biden siano indubbiamente amichevoli, gli Stati Uniti continuano a nutrire preoccupazione. Non solo temono che quell'accordo rafforzi diplomaticamente Pechino, mettendo tra l'altro indirettamente a repentaglio l'autonomia di Taiwan (che gode ancora oggi del riconoscimento formale da parte della Santa Sede). Ma esiste anche un tema di diritti umani: un tema che l'attuale amministrazione americana ha sempre considerato centrale nella propria politica estera. A maggio, Asia News riportò infatti che, nella prefettura apostolica di Xinxiang, le autorità avessero arrestato il vescovo Zhang Weizhu, sette sacerdoti e dieci seminaristi. Tutto questo, mentre la onlus Open Doors ha di recente inserito la Cina nella top 20 dei Paesi in cui i cristiani rischiano di essere maggiormente perseguitati. Alla luce di tutto questo, non è da escludere che ieri Blinken abbia messo sul tavolo tali preoccupazioni nel suo colloquio con il pontefice. Più in generale, la visita romana del segretario di Stato americano costituisce un monito diretto a quel vasto fronte tendenzialmente filocinese, che non limita la sua presenza al panorama politico strettamente italiano, ma che detiene anche significative propaggini all'interno degli stessi ambienti vaticani: propaggini tutt'altro che ininfluenti e generalmente non troppo lontane dal centrosinistra. Il riposizionamento atlantista di Roma, sancito dal viaggio di Blinken, potrebbe quindi rimescolare alcuni equilibri politici nel nostro Paese. Un problema soprattutto per il variegato mondo giallorosso: un mondo che, pur ospitando rilevanti settori non ostili a Pechino, incontra maggiori difficoltà nel disallinearsi apertamente a Biden. E, in tutto questo, non è affatto escludibile che l'imminente partita per la presidenza della Repubblica possa alla fine rivelarsi un derby indiretto tra Stati Uniti e Cina.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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