2020-07-03
        Black lives matter nostrani muti con la Cina
    
 
Imbarazzante silenzio dei nostri governanti davanti ai soprusi del Partito comunista cinese contro la popolazione di Hong Kong. Sono gli stessi politicanti che si sono messi in ginocchio in favore di telecamera per le proteste, spesso violente, dei neri americani. L'ipocrisia della sinistra italiana, ormai, è più che sconcertante: è imbarazzante, vergognosa, inarrivabile. I suoi rappresentanti da mesi protestano contro ogni vento di protesta si sollevi dagli Stati Uniti. Alcuni, come Laura Boldrini, sono arrivati al punto d'inginocchiarsi in Parlamento per manifestare solidarietà ai contestatori (presunti) antirazzisti, ma anche ai volenti di Antifa e ai demenziali abbattitori di statue di Cristoforo Colombo. Eppure oggi la sinistra unita, da Liberi uguali a Italia viva, il partitino di Matteo Renzi, finge oscenamente d'ignorare le drammatiche (e probabilmente ultime) proteste di milioni di abitanti di Hong Kong contro la stretta liberticida del regime cinese.Pechino, approfittando anche del disastro economico e sociale in cui ha precipitato l'Occidente con l'epidemia di Covid-19, è pronta a schiacciare una volta per tutte le proteste di popolo contro la deriva autoritaria che dal 2014 impone all'isola. La Cina sta violando tutti gli accordi firmati nel dicembre 1984 da Deng Xiaoping con la Gran Bretagna di Margaret Thatcher, accordi ribaditi solennemente il primo luglio 1997 alla consegna di Hong Kong alla Repubblica popolare. Pechino s'impegnava allora a lasciare invariato il sistema politico ed economico della città per 50 anni, fino al 2047, e a non toccare le regole democratiche che governavano l'isola e i suoi 7,5 milioni di abitanti. Lo scorso 30 giugno, 24 ore prima dell'anniversario numero 23 dell'addio inglese, la Cina ha dato il colpo di grazia a quelle regole e ha varato una legge «sulla sicurezza nazionale» che, in nome del contrasto di «attività terroristiche a Hong Kong», vieta ogni «atto di sedizione, sovversione e secessione». La norma prevede da un minimo di tre anni di reclusione fino all'ergastolo, dà mano libera alla polizia cinese e le consente di reprimere qualsiasi comportamento che possa essere anche solo «considerato» come «minaccia alla sicurezza nazionale». È l'ultimo atto della lunga guerra cinese ai diritti civili di Hong Kong. E difatti il primo luglio sono stati arrestati 370 attivisti, e ieri altre decine di contestatori sono spariti dietro le sbarre dei cellulari neri della polizia. Tra di loro c'è perfino una quindicenne. Si teme per i capi dell'opposizione. Ebbene, di fronte al dramma di un intero popolo, che cosa fanno il governo italiano e le nostre istituzioni? Oppongono un silenzio che dire indecoroso è poco. E nel Pd, nell'intera sinistra nessuno oggi s'inginocchia, nessuno critica, e tranne l'ex ministro Valeria Fedeli (onore al merito) non c'è nemmeno un medio dirigente di partito che passi alle agenzie una veloce, facile dichiarazione di solidarietà. Il mondo si divide: 53 autocrazie si allineano a Pechino, contro 27 governi democratici che protestano. Dagli Stati Uniti Donald Trump minaccia sanzioni, mentre la Gran Bretagna annuncia che darà asilo politico ai tanti che stanno decidendo di espatriare dalla città stato, ormai asservita. Ha parlato perfino quell'ectoplasma istituzionale dell'Alto rappresentante dell'Unione europea, al momento incarnato dallo spagnolo Josep Borrell: perfino il «ministero degli Esteri» europeo, per quanto inutile e misconosciuto, ha osato chiedere che «i diritti e le libertà dei residenti di Hong Kong siano pienamente tutelati».L'Italia di sinistra, invece, tace. E non apre bocca il suo governo. Il Movimento 5 stelle, forse confuso dalle cinque stelle dorate che campeggiano sulla bandiera rossa cinese, resta a bocca chiusa. Non dice nulla il ministro grillino degli Esteri, Luigi Di Maio. Del resto, che fosse un fan del regime di Pechino era già saltato agli occhi nei momenti peggiori della pandemia, quando s'era attribuito il compito di celebrare l'arrivo degli «aiuti fraterni» dalla Repubblica popolare. Tra marzo e aprile non c'è stato quasi giorno in cui Di Maio non abbia elevato i suoi caldi ringraziamenti a Pechino per il «generoso invio di mascherine e respiratori» (spesso a rischio di malfunzionamento), che in realtà il suo governo comprava dalle aziende cinesi. In queste pagine, accanto alle cronache da Hong Kong, oggi La Verità denuncia anche la nuova vergogna cinese: l'ultimo, sconvolgente capitolo del libro nero degli Uiguri, l'etnia che vive nel nord ovest della Cina e da anni è vittima di crudeli repressioni e deportazioni. Credete che domani dirà qualcosa almeno su questo, Di Maio? Scordatevelo.Ma la sinistra, se possibile, si comporta anche peggio. E la sua ipocrisia è perfino doppia. Perché nel 2019, quando i grillini erano al governo con la Lega, il Pd contro lo strapotere della Cina protestava. Nel marzo 2019 il segretario, Nicola Zingaretti, accusava Giuseppe Conte di aver fatto un «pasticciaccio» accettando i diktat di Pechino sulla «Via della seta», il progetto cinese per la conquista strategico-commerciale dell'Europa. E Alessandro Alfieri, capogruppo del Pd in commissione Esteri al Senato, depositava un'interrogazione al governo, sottoscritta da tutto il gruppo, per opporsi al progetto «con cui Pechino vuole assicurarsi influenza sull'economia mondiale per i prossimi decenni». Indignati, i senatori dem attaccavano Di Maio, già pronto a firmare un memorandum d'intesa con Pechino, e chiedevano al governo se la scelta di aprire la porta al cavallo di Troia cinese non minasse addirittura «la nostra funzione nell'Alleanza Atlantica».Oggi l'indignazione è evaporata. Hong Kong non vale nemmeno la pena di un ridicolo inginocchiamento in stile Boldrini. A genuflettersi verso Pechino, del resto, sono già in troppi.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 30 ottobre con Carlo Cambi