2023-11-18
Bin Laden diventa influencer su TikTok. «Ci apre gli occhi, Occidente colpevole»
Osama Bin Laden (Getty Images)
Virale sul social la «Lettera all’America» contro Usa ed ebrei. Il «Guardian» la rimuove, ira della Casa Bianca: «Ripugnante».«Ci avete attaccato in Palestina». «La Palestina è affondata sotto l’occupazione militare per oltre 80 anni». «La creazione e il mantenimento di Israele sono uno dei più grandi crimini e voi siete i condottieri dei loro criminali». Ecco alcuni dei passaggi della farneticante Lettera all’America, che Osama Bin Laden, il leader saudita dei terroristi di Al Qaeda, colpevoli dell’attentato alle Torri Gemelle, scrisse nel 2002. Lo sceicco fu ucciso 12 anni fa in Pakistan, al termine di un’operazione congiunta di un’unità dei Navy Seals e della Cia. Ma adesso è risorto sul Web. Il suo proclama bellico gli è valso l’incoronazione postuma a idolo di TikTok: sulla piattaforma social, una pletora di influencer ha condiviso quel vecchio documento. In alcuni casi, forse, senza nemmeno capire che a vergarlo era stato l’uomo che trucidò quasi 3.000 persone, l’11 settembre 2001.Lynette Adkins, giovane statunitense con un vasto seguito sia sul network inventato dai cinesi, sia su Instagram, ha lanciato un appello accorato ai suoi follower, affinché leggessero le parole di Bin Laden: «Io ho avuto una crisi esistenziale», ha confessato. E nei commenti al post, un utente ha dichiarato entusiasta: «Mi ha appena aperto gli occhi». Qualcun altro ha accusato i funzionari di Washington di aver «mentito per tutta la vita» ai cittadini, spinti addirittura a festeggiare l’assassinio del mandante delle stragi alle Twin Towers e al Pentagono.Così, con un rimpallo del video, divenuto, come si dice in queste circostanze, «virale», la generazione Z sta rivedendo il proprio giudizio sulla più grande tragedia della storia americana. E, anche al di qua dell’Oceano, sta maturando il proprio giudizio sulla mattanza del 7 ottobre in Israele, perpetrata da Hamas. Per la serie: bisogna contestualizzare, l’Occidente ha le sue colpe, i coloni già perseguitavano la popolazione araba, quella di Hamas è stata una reazione, i miliziani sono combattenti per la libertà. La furia degli islamisti, dunque, non viene dal nulla: l’abbiamo provocata noi. È ciò che ha affermato uno dei ragazzi di TikTok, dopo aver trangugiato l’omelia dello sceicco del terrore: «È sconvolgente l’idea che ci è stata venduta, che queste persone un giorno si siano svegliate e abbiano iniziato improvvisamente a odiarci. Non ha alcun senso». Si spiega come mai tanti ventenni corrano in piazza a sventolare le bandiere della Palestina, a gridare slogan contro gli ebrei, o ad ascoltare Leila Khaled, dirottatrice di due aerei, invitata giovedì al «Palazzo Nuovo occupato di Torino». Ieri, addirittura, un gruppo di manifestanti ha interdetto l’accesso alla cupola del Brunelleschi, a Firenze.L’inattesa riesumazione di Bin Laden in Rete ha gettato nel panico anche il Guardian. Il quotidiano britannico, infatti, aveva archiviato il testo della lettera del terrorista. E in concomitanza con la circolazione dei video degli influencer antioccidentali, ha riscontrato un improvviso aumento dei clic sulla pagina. La reazione, se possibile, è stata financo più grottesca del delirio collettivo su TikTok: temendo che potesse essere male interpretato o strumentalizzato, il giornale ha direttamente cancellato il testo, che ormai rimane consultabile solo tramite il Web archive e sul sito del Director of national intelligence Usa. Intanto, il social si è preso la briga di rimuovere i post e gli hashtag, mentre il clamore della vicenda arrivava fino a Washington. Il portavoce della Casa Bianca, Andrew Bates, ha definito un «insulto» alle vittime «innocenti» dell’11 settembre la condivisione della predica di Bin Laden: «Non è mai giustificabile la diffusione delle bugie ripugnanti, malvagie e antisemite che il leader di Al Qaeda pronunciò poco dopo» gli attentati di 22 anni fa.Resta il giallo su chi abbia davvero acceso la miccia. In assoluto, i vaneggiamenti del sanguinario di Riyad non si sono nemmeno lontanamente avvicinati ai record toccati dai video più guardati sul canale della gen Z: parliamo di circa 13 milioni di visualizzazioni, contro i miliardi di view dei prodotti di maggior successo. Ma se l’episodio ha avuto una qualche regia, l’obiettivo politico doveva mirare non tanto ai grandi numeri, quanto a disturbanti focolai di disordine.È significativo che TikTok sia stato creato da sviluppatori del Dragone. Un paio di mesi fa, un rapporto del Centro studi Machiavelli e della texana Augustus Foundation ha descritto in che modo Pechino, agendo sugli influencer della piattaforma, veicoli in Occidente messaggi woke, antisociali, capaci di «confondere, convertire, istupidire, sessualizzare», al fine di indebolire «le società bersaglio». Alcuni dei testimonial sono direttamente riconducibili alla Cina, altri sono soltanto gli utili idioti del regime di Xi Jinping. Il presidente comunista che Joe Biden ha di nuovo definito un «dittatore», nonostante le prove di disgelo al vertice di San Francisco. È la guerra del terzo millennio, ibrida, «cognitiva». Non si serve di armi, esplosivi e dirottamenti, come quella di Bin Laden. Ma è comunque guerra.
Nicola Pietrangeli (Getty Images)
Gianni Tessari, presidente del consorzio uva Durella
Lo scorso 25 novembre è stata presentata alla Fao la campagna promossa da Focsiv e Centro sportivo italiano: un percorso di 18 mesi con eventi e iniziative per sostenere 58 progetti attivi in 26 Paesi. Testimonianze dal Perù, dalla Tanzania e da Haiti e l’invito a trasformare gesti sportivi in aiuti concreti alle comunità più vulnerabili.
In un momento storico in cui la fame torna a crescere in diverse aree del pianeta e le crisi internazionali rendono sempre più fragile l’accesso al cibo, una parte del mondo dello sport prova a mettere in gioco le proprie energie per sostenere le comunità più vulnerabili. È l’obiettivo della campagna Sport contro la fame, che punta a trasformare gesti atletici, eventi e iniziative locali in un supporto concreto per chi vive in condizioni di insicurezza alimentare.
La nuova iniziativa è stata presentata martedì 25 novembre alla Fao, a Roma, nella cornice del Sheikh Zayed Centre. Qui Focsiv e Centro sportivo italiano hanno annunciato un percorso di 18 mesi che attraverserà l’Italia con eventi sportivi e ricreativi dedicati alla raccolta fondi per 58 progetti attivi in 26 Paesi.
L’apertura della giornata è stata affidata a mons. Fernando Chica Arellano, osservatore permanente della Santa Sede presso Fao, Ifad e Wfp, che ha richiamato il carattere universale dello sport, «linguaggio capace di superare barriere linguistiche, culturali e geopolitiche e di riunire popoli e tradizioni attorno a valori condivisi». Subito dopo è intervenuto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, che ha ricordato come il raggiungimento dell’obiettivo fame zero al 2030 sia sempre più lontano. «Se le istituzioni faticano, è la società a doversi organizzare», ha affermato, indicando iniziative come questa come uno dei modi per colmare un vuoto di cooperazione.
A seguire, la presidente Focsiv Ivana Borsotto ha spiegato lo spirito dell’iniziativa: «Vogliamo giocare questa partita contro la fame, non assistervi. Lo sport nutre la speranza e ciascuno può fare la differenza». Il presidente del Csi, Vittorio Bosio, ha invece insistito sulla responsabilità educativa del mondo sportivo: «Lo sport costruisce ponti. In questa campagna, l’altro è un fratello da sostenere. Non possiamo accettare che un bambino non abbia il diritto fondamentale al cibo».
La campagna punta a raggiungere circa 150.000 persone in Asia, Africa, America Latina e Medio Oriente. Durante la presentazione, tre soci Focsiv hanno portato testimonianze dirette dei progetti sul campo: Chiara Concetta Starita (Auci) ha descritto l’attività delle ollas comunes nella periferia di Lima, dove la Olla común 8 de octubre fornisce pasti quotidiani a bambini e anziani; Ornella Menculini (Ibo Italia) ha raccontato l’esperienza degli orti comunitari realizzati nelle scuole tanzaniane; mentre Maria Emilia Marra (La Salle Foundation) ha illustrato il ruolo dei centri educativi di Haiti, che per molti giovani rappresentano al tempo stesso luogo di apprendimento, rifugio e punto sicuro per ricevere un pasto.
Sul coinvolgimento degli atleti è intervenuto Michele Marchetti, responsabile della segreteria nazionale del Csi, che ha spiegato come gol, canestri e chilometri percorsi nelle gare potranno diventare contributi diretti ai progetti sostenuti. L’identità visiva della campagna accompagnerà questo messaggio attraverso simboli e attrezzi di diverse discipline, come illustrato da Ugo Esposito, Ceo dello studio di comunicazione Kapusons.
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Mark Zuckerberg (Getty Images)