2022-01-18
Così i big della finanza giocano la partita Quirinale
Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e Giuseppe Guzzetti (Ansa)
Anche i «vecchietti arzilli» del capitalismo italiano seguono la partita per il nuovo presidente. Ed esprimono i loro «voti». Da Giuseppe Guzzetti a Francesco Gaetano Caltagirone a Leonardo Del Vecchio, faro puntato sulle manovre per il Colle.«Caro Marcello, caro Fedele, è stata davvero una bella mattinata nella quale alcuni vecchietti arzilli, come quelli di Cocoon, hanno ritrovato il gusto del sogno». Inizia così la mail che Denis Verdini avrebbe inviato il 12 gennaio a Dell’Utri e Confalonieri per suggerire la strategia per portare Silvio Berlusconi al Quirinale, come riporta Il Tirreno che l’ha anticipata. A 71 anni Verdini è quasi un giovanotto rispetto a Confalonieri, nato nell’agosto del 1937, e a Dell’Utri, che è del settembre 1941. Per non parlare di Silvio e di Gianni Letta, rispettivamente 86 e 87 anni. Ma ci sono anche altri «vecchietti» che si muovono sullo sfondo della partita sul Colle. Come l’ex dominus delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti (88 anni) e il presidente emerito di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli (90 anni a dicembre). Proprio per loro, qualche anno fa e dunque assai prima di Verdini, Diego Della Valle aveva coniato il termine «arzilli vecchietti» sfidandoli – senza successo - sul campo di Rcs. Occhio anche a un’altra strana coppia che non si rassegna ad andare in pensione, anzi. Ovvero l’editore del Messaggero, nonché costruttore romano, Francesco Gaetano Caltagirone, 79 anni, e il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, 87 anni a maggio che vogliono fare i «nuovi» Cocoon della finanza tentando l’assalto alle Generali (e di riflesso a Mediobanca). Tutti guardano con interesse a cosa succede a Roma tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Per chi tiferanno? Partiamo dai due alfieri della finanza cattolica e di quella cultura andreattiana e vicina alla Base di Albertino Marcora che ha ispirato anche Mario Draghi e Sergio Mattarella. «Per entrare nella Terza Repubblica gli uomini della Seconda hanno dovuto eleggerne uno della Prima», fu la battuta di un manager milanese ai tempi dell’elezione di Mattarella benedetta dagli eredi della vecchia scuola bolognese. Bazoli diventa banchiere lasciando il mestiere di avvocato quando Beniamino Andreatta risolve il crac del Banco Ambrosiano facendo fallire l’istituto e creandone uno nuovo che affida a «Nanni» dopo averlo conosciuto ai tempi della Cattolica. Oggi ha lasciato Intesa nelle mani di Carlo Messina ma si è fatta comunque notare la foto scattata a fine novembre in un ristorante milanese vicino alla Scala e pubblicata dall’account Twitter IlCorazziere in cui si vedono attovagliati Bazoli e Pier Ferdinando Casini, uno dei nomi circolati tra i papabili al Colle. Sodale del professore bresciano da una vita è l’ex capo dell’Acri e della Fondazione Cariplo (storica azionista di Intesa), Guzzetti. Il «vecchietto» più politico di tutti: iscritto alla Dc nel 1953, è stato presidente della Regione Lombardia per otto anni e infine senatore della Repubblica per due legislature. Da qualche mese si è iscritto al Pd. E lo scorso 5 dicembre in un’intervista alla Stampa, ha detto che gradirebbe «un capo dello Stato donna» senza fare nomi e cognomi. Ma la sua candidata sarebbe Paola Severino: l’ex ministro della Giustizia del governo Monti, rettrice dell’Università Luiss di Roma di cui è vicepresidente, può contare su una fitta rete di relazioni. Il governo Draghi l’ha nominata presidente della Scuola nazionale di amministrazione ma ha rapporti consolidati con tutto l’arco politico e nel M5s potrebbe rappresentare un vantaggio che il suo nome sia legato alla legge che impedisce di ricoprire incarichi elettivi o di governo a chi è condannato per fatti di corruzione (grazie alla sua legge, per capirci, Berlusconi è decaduto da senatore). La Severino però è anche un’avvocatessa di livello con un portafoglio clienti di grande prestigio tra cui Romano Prodi, la Fininvest e Francesco Gaetano Caltagirone. Che con Del Vecchio non intende proprio andare in pensione, anzi. Insieme hanno riempito il carrello di titoli Generali, si sono alleati in un patto insieme alla Fondazione Crt per cambiare l’ad del Leone e puntano a dare uno scossone anche ai vertici di Piazzetta Cuccia. Sarà con il nuovo assetto a Palazzo Chigi e al Colle che si consumerà la battaglia di Trieste nell’assemblea di primavera sul rinnovo delle poltrone. Per tenersi le mani più libere, Caltagirone (oggi all’8,04% della compagnia) si è dimesso dal cda e ieri a lasciare il board è stato anche l’uomo di Del Vecchio, Romolo Bardin, ad della cassaforte Delfin (al 6,6%). I pattisti - oggi al 16,1% - possono così portarsi a ridosso del 20% di Generali, superando il 17,2% di Mediobanca, senza fare alcuna comunicazione al mercato. In gioco c’è il futuro comando di un gruppo assicurativo che sta seduto su 660 miliardi, in pratica un terzo del Pil italiano, di cui circa un decimo (60 miliardi) sono nostri titoli di Stato.Chi vorrebbero i due nuovi Cocoon come presidente della Repubblica? Di certo Caltagirone ha ottimi rapporti con la Severino, tanto che secondo rumors di Piazza Affari avrebbe pensato a lei anche come futuro presidente delle Generali (il cui marito, per altro, Paolo Di Benedetto, è consigliere della compagnia). Bisogna capire se una candidatura così targata per il Leone andrà bene anche a Del Vecchio. Che, intanto, nelle scorse settimane ha rafforzato il suo legame con papa Francesco: la lunga riforma delle finanze vaticane passa (anche) dal salvataggio e rilancio del Fatebenefratelli con un’operazione complessa che vede per la prima volta nella storia della curia romana l’intervento dei privati, in questo caso di mister Luxottica attraverso la sua Fondazione che ha donato 75 milioni e che ha già investito in sanità a Milano (18% dello Ieo-Monzino).