True
2021-05-07
Biden inizia una lunga guerra contro i brevetti dei vaccini. Ma la strada non è in discesa
Joe Biden (Getty Images)
Joe Biden spariglia la geopolitica dei vaccini: l'amministrazione Usa ha infatti annunciato di essere favorevole a rimuovere le protezioni dei brevetti ed è impegnata «attivamente» in questo senso nei negoziati in corso al Wto. La mossa viene motivata con l'intento di spianare la strada a una accelerazione della produzione e della distribuzione delle dosi in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più poveri. E consentirebbe, almeno in via teorica, a qualsiasi produttore farmaceutico al mondo di produrre vaccini «copiati» senza il rischio di essere citati in giudizio per violazione della proprietà intellettuale.
«Si tratta di una crisi sanitaria mondiale e le circostanze straordinarie della pandemia invocano misure straordinarie», ha spiegato la rappresentante Usa per il commercio, Katherine Tai, in un comunicato. «L'amministrazione Biden crede fermamente alle protezioni della proprietà intellettuale ma per mettere fine a questa pandemia sostiene la revoca di certe protezioni per i vaccini anti Covid-19», ha sottolineato. Aggiungendo però che i negoziati all'Organizzazione mondiale del commercio «richiederanno tempo, data la natura consensuale dell'istituzione e la complessità delle questioni coinvolte». Un panel del Wto per la proprietà intellettuale dovrà occuparsi di nuovo della proposta a una riunione preliminare questo mese, prima di una riunione formale in programma per l'8 e il 9 giugno. Già ieri, comunque, la direttrice generale, Ngozi Okonjo Iweala, ha accolto «con grande soddisfazione» l'intenzione degli Usa «di coinvolgere i sostenitori di una rinuncia temporanea del trattato internazionale sulla proprietà intellettuale».
Immediate le reazioni delle società farmaceutiche che hanno accusato anche un duro colpo in Borsa: l'ad di Pfizer, Albert Bourla, dice di essere «per nulla» favorevole alla rimozione dei brevetti ricordando anche che il vaccino Pfizer ha avuto risultati positivi a novembre 2020 ed è stato registrato a dicembre 2020. «Ma sapete quando abbiamo firmato l'accordo commerciale? Nel gennaio 2021. Un accordo da miliardi di dollari è stato messo in attesa, per concentrare tutti gli sforzi sulla realizzazione del vaccino». Per l'alleata tedesca Biontech «i brevetti non sono il fattore limitante della produzione e dell'approvvigionamento del nostro vaccino. Non aumenterebbero la produzione mondiale né l'approvvigionamento delle dosi di vaccini nel breve e medio termine». La Federazione internazionale dell'industria farmaceutica ha liquidato la proposta come «deludente», aggiungendo che «la sospensione è la risposta semplice ma falsa a un problema complesso». Il settore teme che costituisca un pericoloso precedente, che scoraggerà l'innovazione senza migliorare l'offerta perché la capacità produttiva mondiale è già al limite e le stesse aziende hanno firmato tra loro più di 260 accordi (le cosiddette licenze volontarie) per aumentarla.
Ma come si è arrivati a questa svolta, finora solo annunciata? Quali impatti concreti ci saranno sulla geopolitica dei vaccini? La revoca temporanea dei brevetti sui vaccini è stata richiesta dall'India e dal Sudafrica, che da mesi si battono per una sospensione dei brevetti e a ottobre hanno lanciato una proposta che riguardava anche i farmaci e i prodotti legati alla diagnosi e alla cura del Covid. Non è solo questione di emergenza ma anche di business. Stiamo parlando, infatti, di due Paesi che hanno già aziende ben dotate dal punto di vista farmaceutico (pensiamo al Serum institute indiano, che ha accordi con Astrazeneca e Novavax, con il trasferimento tecnologico). Così come in Sudafrica è basata la più grande azienda farmaceutica del continente africano che ha già un accordo di produzione con Johnson&Johnson. Non a caso non si sono mossi sulla stessa linea il Brasile e il Messico che hanno aziende in grado di competere a livello internazionale.
Non è chiaro se Washington andrà avanti e rimangono molti dubbi. Alcuni esperti sostengono che il sequestro dei brevetti non è una soluzione realistica. In un editoriale sul Wall Street Journal, l'ex commissario della Fda, Scott Gottlieb, ha osservato che la produzione di vaccini è complessa e richiede materiali molto richiesti. Suggerendo al team di Biden di guardare piuttosto al modello del Piano di emergenza dell'ex presidente Bush per l'Aids relief con il quale il governo degli Usa ha collaborato con i produttori per acquistare e distribuire farmaci affidabili contro l'Aids in Africa.
Va inoltre capito quale sia la vera strategia di Biden, al netto della motivazione «etica» che piace molto alla sinistra democratica. Liberando i brevetti non si aumenta automaticamente la produzione, né automaticamente si riesce a immunizzare le nazioni in difficoltà. Primo perché ci vogliono almeno due anni per rendere la proposta effettiva al Wto, senza dimenticare che se le componenti fondamentali per lo sviluppo dei principali vaccini vengono ordinate adesso, la consegna è tra i 12 e i 16 mesi. Quindi, anche partendo oggi, si arriverebbe ad avere la produzione pronta forse a metà del 2023, quando la pandemia dovrebbe essere finita e sarebbe pure scaduta la moratoria sui brevetti. Per produrre i vaccini a mRna e quelli basati su proteine, inoltre, più che dei brevetti c'è bisogno di trasferimento tecnologico, addestramento e apparecchiature sofisticate. Tanto che Moderna ha messo a disposizione il suo brevetto da più di un anno e non lo ha ancora utilizzato nessuno. L'operazione può essere piuttosto letta in chiave anti Cina, non a caso arriva dall'India. Di certo, si vedrà nelle prossime settimane se quella di Biden sarà una mossa etica, di marketing oppure pragmatica.
Draghi si allinea alla Casa Bianca con l’appoggio della maggioranza
La deroga sui brevetti dei vaccini sarà discussa al summit informale dei leader Ue che inizierà oggi a Porto. Con quale posizione si siederà al tavolo il governo italiano? Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha rilasciato solo una breve dichiarazione, sottolineando che «i vaccini sono un bene comune globale» ed è «prioritario aumentare la loro produzione, garantendone la sicurezza, e abbattere gli ostacoli che limitano le campagne vaccinali». Dal Pd alla Lega, passando per i 5 stelle, le forze politiche spingono affinché l'Italia segua la proposta di discussione in sede Wto della Casa Bianca. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, lo definisce «un importante passo in avanti. Anche l'Europa deve fare la sua parte. Questa pandemia ci ha insegnato che si vince solo insieme», ha scritto in un post su Facebook. E sempre su Facebook, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha invocato «un libero accesso ai brevetti sui vaccini anti Covid. È una corsa contro il tempo e c'è bisogno della collaborazione di tutti per evitare di essere travolti dalle varianti del virus. Ogni Stato deve avere le stesse opportunità ed è fondamentale, davanti a questa emergenza, liberalizzare la produzione».
Dall'Agenzia nazionale del farmaco (Aifa) il presidente, Giorgio Palù, è più cauto: «Credo che sia giusto da un punto di vista etico ma vedo difficile che passi la proposta di Joe Biden», ha detto ieri. Ricordando che «ci sono aziende che hanno centri di ricerche e sviluppo e investono centinaia di milioni di dollari per un vaccino. E non lo possono fare i laboratori universitari. Se si toglie lo stimolo di un vaccino nella proprietà intellettuale, chi fa più ricerca dopo?». Fortemente critica è la reazione di Farmindustria, che in una nota esprime «sorpresa e preoccupazione», ricordando come i vaccini contro il Covid-19 siano arrivati con tanta celerità grazie anche alla proprietà intellettuale. «Senza, la spinta dei brevetti alla ricerca e alla produzione, oggi non potremmo beneficiare di questi strumenti, fondamentali per superare la crisi pandemica e ritornare a una vita normale». Secondo l'associazione di categoria, inoltre, liberare i brevetti non risolverebbe il problema di avere subito più vaccini perché non servirebbe ad aumentare la produzione, né a offrire le soluzioni necessarie per vincere la pandemia. «Potrebbe avere invece l'effetto opposto: dirottare risorse, materie prime verso siti di produzione meno efficienti. E potrebbe determinare l'aumento della contraffazione a livello globale». Per aumentare la produzione serve ben altro, viene aggiunto: «Snellimenti burocratici, eliminazione delle barriere commerciali e dei colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. O risolvere la questione della scarsità di materie prime e di altri componenti. La tutela del brevetto è quindi fondamentale sia per affrontare questa pandemia che ha travolto il mondo intero, sia per gestire al meglio i farmaci allo studio».
Dalla politica, invece, il plauso sembra unanime. «L'accesso a cure e vaccini per tutti non è negoziabile. La salute deve essere un diritto universale, non un lusso per pochi. In questo crede l'Italia da sempre, questa è la profonda convinzione del M5s. Facciamo sentire la nostra voce in tutte le sedi», ha cinguettato l'ex premier Giuseppe Conte su Twitter, rilanciando l'hashtag #brevettiliberi. Gli fa eco il Pd con Enrico Letta: «Biden sfida le big della farmaceutica. Civiltà. Come sembrano lontani muri, cloro e candeggina. Ricordiamoci sempre però chi stava per l'uno e chi per l'altro», ha scritto su Twitter il segretario del Partito democratico. E anche il leader della Lega, Matteo Salvini, brinda con un «meglio tardi che mai. È un tema che dovrebbe essere già stato risolto perché quando c'è di mezzo la salute il business deve passare in seconda fila».
Ma quale impatto potrebbe avere un'eventuale deroga ai brevetti per l'industria farmaceutica italiana? Non molto, dal punto di vista della produzione, considerando che al momento la filiera si sta occupando della parte finale della supply chain come l'infialamento ma non della produzione del cosiddetto bulk, ovvero del principio attivo, perché non abbiamo la tecnologia necessaria. Conseguenze potrebbero invece esserci sugli investimenti per la ricerca e su eventuali alleanze per lo sviluppo dei vaccini di nuova generazione.
Continua a leggereRiduci
Dietro la motivazione etica della mossa a sorpresa del presidente dem c'è l'apertura all'India, contro Pechino. La fattibilità e le tempistiche però non sono dalla sua parte.Per Mario Draghi «è prioritario abbattere gli ostacoli che limitano le campagne». Applaudono Lega, Pd e Movimento 5 stelle mentre Farmindustria è molto critica. Prudente l'Aifa: «Difficile da realizzare».Lo speciale contiene due articoli.Joe Biden spariglia la geopolitica dei vaccini: l'amministrazione Usa ha infatti annunciato di essere favorevole a rimuovere le protezioni dei brevetti ed è impegnata «attivamente» in questo senso nei negoziati in corso al Wto. La mossa viene motivata con l'intento di spianare la strada a una accelerazione della produzione e della distribuzione delle dosi in tutto il mondo, soprattutto nei Paesi più poveri. E consentirebbe, almeno in via teorica, a qualsiasi produttore farmaceutico al mondo di produrre vaccini «copiati» senza il rischio di essere citati in giudizio per violazione della proprietà intellettuale. «Si tratta di una crisi sanitaria mondiale e le circostanze straordinarie della pandemia invocano misure straordinarie», ha spiegato la rappresentante Usa per il commercio, Katherine Tai, in un comunicato. «L'amministrazione Biden crede fermamente alle protezioni della proprietà intellettuale ma per mettere fine a questa pandemia sostiene la revoca di certe protezioni per i vaccini anti Covid-19», ha sottolineato. Aggiungendo però che i negoziati all'Organizzazione mondiale del commercio «richiederanno tempo, data la natura consensuale dell'istituzione e la complessità delle questioni coinvolte». Un panel del Wto per la proprietà intellettuale dovrà occuparsi di nuovo della proposta a una riunione preliminare questo mese, prima di una riunione formale in programma per l'8 e il 9 giugno. Già ieri, comunque, la direttrice generale, Ngozi Okonjo Iweala, ha accolto «con grande soddisfazione» l'intenzione degli Usa «di coinvolgere i sostenitori di una rinuncia temporanea del trattato internazionale sulla proprietà intellettuale».Immediate le reazioni delle società farmaceutiche che hanno accusato anche un duro colpo in Borsa: l'ad di Pfizer, Albert Bourla, dice di essere «per nulla» favorevole alla rimozione dei brevetti ricordando anche che il vaccino Pfizer ha avuto risultati positivi a novembre 2020 ed è stato registrato a dicembre 2020. «Ma sapete quando abbiamo firmato l'accordo commerciale? Nel gennaio 2021. Un accordo da miliardi di dollari è stato messo in attesa, per concentrare tutti gli sforzi sulla realizzazione del vaccino». Per l'alleata tedesca Biontech «i brevetti non sono il fattore limitante della produzione e dell'approvvigionamento del nostro vaccino. Non aumenterebbero la produzione mondiale né l'approvvigionamento delle dosi di vaccini nel breve e medio termine». La Federazione internazionale dell'industria farmaceutica ha liquidato la proposta come «deludente», aggiungendo che «la sospensione è la risposta semplice ma falsa a un problema complesso». Il settore teme che costituisca un pericoloso precedente, che scoraggerà l'innovazione senza migliorare l'offerta perché la capacità produttiva mondiale è già al limite e le stesse aziende hanno firmato tra loro più di 260 accordi (le cosiddette licenze volontarie) per aumentarla. Ma come si è arrivati a questa svolta, finora solo annunciata? Quali impatti concreti ci saranno sulla geopolitica dei vaccini? La revoca temporanea dei brevetti sui vaccini è stata richiesta dall'India e dal Sudafrica, che da mesi si battono per una sospensione dei brevetti e a ottobre hanno lanciato una proposta che riguardava anche i farmaci e i prodotti legati alla diagnosi e alla cura del Covid. Non è solo questione di emergenza ma anche di business. Stiamo parlando, infatti, di due Paesi che hanno già aziende ben dotate dal punto di vista farmaceutico (pensiamo al Serum institute indiano, che ha accordi con Astrazeneca e Novavax, con il trasferimento tecnologico). Così come in Sudafrica è basata la più grande azienda farmaceutica del continente africano che ha già un accordo di produzione con Johnson&Johnson. Non a caso non si sono mossi sulla stessa linea il Brasile e il Messico che hanno aziende in grado di competere a livello internazionale. Non è chiaro se Washington andrà avanti e rimangono molti dubbi. Alcuni esperti sostengono che il sequestro dei brevetti non è una soluzione realistica. In un editoriale sul Wall Street Journal, l'ex commissario della Fda, Scott Gottlieb, ha osservato che la produzione di vaccini è complessa e richiede materiali molto richiesti. Suggerendo al team di Biden di guardare piuttosto al modello del Piano di emergenza dell'ex presidente Bush per l'Aids relief con il quale il governo degli Usa ha collaborato con i produttori per acquistare e distribuire farmaci affidabili contro l'Aids in Africa. Va inoltre capito quale sia la vera strategia di Biden, al netto della motivazione «etica» che piace molto alla sinistra democratica. Liberando i brevetti non si aumenta automaticamente la produzione, né automaticamente si riesce a immunizzare le nazioni in difficoltà. Primo perché ci vogliono almeno due anni per rendere la proposta effettiva al Wto, senza dimenticare che se le componenti fondamentali per lo sviluppo dei principali vaccini vengono ordinate adesso, la consegna è tra i 12 e i 16 mesi. Quindi, anche partendo oggi, si arriverebbe ad avere la produzione pronta forse a metà del 2023, quando la pandemia dovrebbe essere finita e sarebbe pure scaduta la moratoria sui brevetti. Per produrre i vaccini a mRna e quelli basati su proteine, inoltre, più che dei brevetti c'è bisogno di trasferimento tecnologico, addestramento e apparecchiature sofisticate. Tanto che Moderna ha messo a disposizione il suo brevetto da più di un anno e non lo ha ancora utilizzato nessuno. L'operazione può essere piuttosto letta in chiave anti Cina, non a caso arriva dall'India. Di certo, si vedrà nelle prossime settimane se quella di Biden sarà una mossa etica, di marketing oppure pragmatica.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-guerra-brevetti-vaccini-2652905466.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="draghi-si-allinea-alla-casa-bianca-con-lappoggio-della-maggioranza" data-post-id="2652905466" data-published-at="1620338042" data-use-pagination="False"> Draghi si allinea alla Casa Bianca con l’appoggio della maggioranza La deroga sui brevetti dei vaccini sarà discussa al summit informale dei leader Ue che inizierà oggi a Porto. Con quale posizione si siederà al tavolo il governo italiano? Ieri il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha rilasciato solo una breve dichiarazione, sottolineando che «i vaccini sono un bene comune globale» ed è «prioritario aumentare la loro produzione, garantendone la sicurezza, e abbattere gli ostacoli che limitano le campagne vaccinali». Dal Pd alla Lega, passando per i 5 stelle, le forze politiche spingono affinché l'Italia segua la proposta di discussione in sede Wto della Casa Bianca. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, lo definisce «un importante passo in avanti. Anche l'Europa deve fare la sua parte. Questa pandemia ci ha insegnato che si vince solo insieme», ha scritto in un post su Facebook. E sempre su Facebook, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha invocato «un libero accesso ai brevetti sui vaccini anti Covid. È una corsa contro il tempo e c'è bisogno della collaborazione di tutti per evitare di essere travolti dalle varianti del virus. Ogni Stato deve avere le stesse opportunità ed è fondamentale, davanti a questa emergenza, liberalizzare la produzione». Dall'Agenzia nazionale del farmaco (Aifa) il presidente, Giorgio Palù, è più cauto: «Credo che sia giusto da un punto di vista etico ma vedo difficile che passi la proposta di Joe Biden», ha detto ieri. Ricordando che «ci sono aziende che hanno centri di ricerche e sviluppo e investono centinaia di milioni di dollari per un vaccino. E non lo possono fare i laboratori universitari. Se si toglie lo stimolo di un vaccino nella proprietà intellettuale, chi fa più ricerca dopo?». Fortemente critica è la reazione di Farmindustria, che in una nota esprime «sorpresa e preoccupazione», ricordando come i vaccini contro il Covid-19 siano arrivati con tanta celerità grazie anche alla proprietà intellettuale. «Senza, la spinta dei brevetti alla ricerca e alla produzione, oggi non potremmo beneficiare di questi strumenti, fondamentali per superare la crisi pandemica e ritornare a una vita normale». Secondo l'associazione di categoria, inoltre, liberare i brevetti non risolverebbe il problema di avere subito più vaccini perché non servirebbe ad aumentare la produzione, né a offrire le soluzioni necessarie per vincere la pandemia. «Potrebbe avere invece l'effetto opposto: dirottare risorse, materie prime verso siti di produzione meno efficienti. E potrebbe determinare l'aumento della contraffazione a livello globale». Per aumentare la produzione serve ben altro, viene aggiunto: «Snellimenti burocratici, eliminazione delle barriere commerciali e dei colli di bottiglia nelle catene di approvvigionamento. O risolvere la questione della scarsità di materie prime e di altri componenti. La tutela del brevetto è quindi fondamentale sia per affrontare questa pandemia che ha travolto il mondo intero, sia per gestire al meglio i farmaci allo studio». Dalla politica, invece, il plauso sembra unanime. «L'accesso a cure e vaccini per tutti non è negoziabile. La salute deve essere un diritto universale, non un lusso per pochi. In questo crede l'Italia da sempre, questa è la profonda convinzione del M5s. Facciamo sentire la nostra voce in tutte le sedi», ha cinguettato l'ex premier Giuseppe Conte su Twitter, rilanciando l'hashtag #brevettiliberi. Gli fa eco il Pd con Enrico Letta: «Biden sfida le big della farmaceutica. Civiltà. Come sembrano lontani muri, cloro e candeggina. Ricordiamoci sempre però chi stava per l'uno e chi per l'altro», ha scritto su Twitter il segretario del Partito democratico. E anche il leader della Lega, Matteo Salvini, brinda con un «meglio tardi che mai. È un tema che dovrebbe essere già stato risolto perché quando c'è di mezzo la salute il business deve passare in seconda fila». Ma quale impatto potrebbe avere un'eventuale deroga ai brevetti per l'industria farmaceutica italiana? Non molto, dal punto di vista della produzione, considerando che al momento la filiera si sta occupando della parte finale della supply chain come l'infialamento ma non della produzione del cosiddetto bulk, ovvero del principio attivo, perché non abbiamo la tecnologia necessaria. Conseguenze potrebbero invece esserci sugli investimenti per la ricerca e su eventuali alleanze per lo sviluppo dei vaccini di nuova generazione.
Da sx in alto: americani della 92ª Divisione, alpini della Divisione «Monterosa», paracadutisti tedeschi e la frazione di Sommocolonia oggi. Garfagnana, 26 dicembre 1944
La battaglia della Garfagnana, nota come Operazione «Wintergewitter» (tempesta invernale) fu l’ultima controffensiva delle forze dell’Asse sul fronte italiano. Iniziò la notte tra Natale e Santo Stefano del 1944 per terminare tre giorni più tardi. L’obiettivo, pur presentando scarse se non nulle possibilità di raggiungerlo, era quello di arrestare l’avanzata alleata lungo il fronte della linea Gotica allora in stallo per l’inverno rallentando l’avanzata degli angloamericani che puntavano verso Bologna e la Pianura Padana. Il teatro delle operazioni fu la valle del Serchio nella Garfagnana, in provincia di Lucca, dove gli americani del 92° Infantry Regiment, i famosi «Buffalo Soldiers» a maggioranza afroamericana, si erano acquartierati nei giorni precedenti al Natale, ritenendo le ostilità in pausa. L’effetto sorpresa era proprio il punto cardine dell’operazione pianificata dal comando tedesco guidato dal generale Otto Fretter-Pico. Le forze dell’Asse consistevano sostanzialmente di reparti da montagna, i «Gebirgsjaeger» tedeschi e gli alpini italiani della Divisione «Monterosa», uno dei primi reparti addestrati in Germania dopo la nascita della Repubblica Sociale. L’attacco fu fissato per la mezzanotte, tra il 25 e il 26 dicembre e procedette speditamente. I reparti speciali tedeschi e gli alpini iniziarono una manovra di accerchiamento da Montebono per Bobbio, Tiglio e Pian di Coreglia, mentre un reparto leggero prendeva in poche ore Sommocolonia. Contemporaneamente tutti i reparti si muovono, compreso un nucleo del Battaglione «San Marco», che in poco tempo occupava Molazzana. Entro la sera di Santo Stefano la linea dei Buffalo Soldiers era sfondata, mentre i reparti americani arretravano in massa. I prigionieri erano circa 250, mentre numerose armi e munizioni venivano requisite. Anche vettovaglie e generi di conforto cadevano nelle mani degli attaccanti.
Gli americani praticamente non reagirono, ma si spostarono in massa verso la linea difensiva di Bagni di Lucca. Per un breve tempo sembrò (soprattutto agli italiani, mentre i tedeschi sembravano paghi della riuscita sorpresa) che il fronte potesse cedere fino in Versilia e verso Livorno. L’ordine di Fretter-Pico di arrestare l’avanzata fu una doccia fredda. Le ragioni dell'arresto risiedevano principalmente nella difficoltà di mantenere le posizioni, la scarsità ormai cronica di uomini e munizioni (c’era solo l’artiglieria, nessun carro armato e soprattutto nessun supporto dall’Aviazione, praticamente sparita dai cieli del Nord Italia). Gli americani invece avevano il dominio assoluto del cielo, con i cacciabombardieri che potevano decollare dai vicini aeroporti della Toscana occupata, come quelli di Grosseto e Rosignano. Tra il 27 e il 30 dicembre 1944 i P-47 Thunderbolt dell’Usaf bombardarono a tappeto, mietendo vittime soprattutto tra la popolazione civile. La linea difensiva dell’Asse ritornò nei giorni successivi alle posizioni di partenza, mentre il fronte si assestava fino all’inizio del febbraio 1945 quando gli alleati lanciarono l’operazione «Fourth Term», che portò in pochi giorni alla conquista della Garfagnana. Durante l’operazione «Wintergewitter» lo scontro più violento si verificò nell’abitato di Sommocolonia dove la guarnigione americana perse quasi tutti gli uomini, compreso il proprio comandante tenente John R. Fox che, vistosi ormai circondato dai tedeschi, chiese all’artiglieria della 92ª di sparare sull’abitato nel tentativo disperato di rallentare l’attacco a sorpresa. Morì sotto le macerie della sua postazione e solamente nel 1997 fu insignito della medaglia d’onore.
Continua a leggereRiduci
Lee Raybon avrebbe ambizioni da detective. Non da investigatore tout court. Piuttosto, vorrebbe essere un reporter, di quelli capaci - forti solo delle proprie risorse - di portare a termine indagini e inchieste, di dar forma alle notizie prima ancora che queste vengano diffuse dalle autorità competenti.
L'ambizione, tuttavia, è rimasta tale, nel corso di un'esistenza che ha costretto Raybon a ripiegare su altro per il mero sostentamento. Si è reinventato libraio, Lee Raybon, gestendo di giorno un negozio di libri rari. La notte, però, ha continuato a seguire il cuore, dando spazio alle sue indagini scalcagnate. Qualcuna è riuscito a trasformarla in articolo di giornale, venendola alle pagine di cronaca locale di Tulsa, città che ospita il racconto. E sono i pezzi ritagliati, insieme ai libri ormai giallognoli, ad affollare l'apportamento di Raybon, che la moglie ha mollato su due piedi, quando ben ha realizzato che non ci sarebbe stato spazio per altro nella vita di quell'uomo. Raybon, dunque, è rimasto solo. Non solo come il crime, per lo più, ha raccontato i suoi detective. Non è, cioè, una solitudine disperata, quella di Raybon. Non c'è tristezza né emarginazione. C'è passione, invece: quella per un mestiere cui anche la figlia dell'uomo sembra guardare con grande interesse.
Francis, benché quattordicenne, ha sviluppato per il secondo mestiere del padre una curiosità quasi morbosa, in nome della quale ha cominciato a seguirlo in ogni dove, partecipando lei pure alle indagini. Cosa, questa, che si ostina a fare anche quando la situazione diventa insolitamente complicata. Lee Raybon ha messo nel mirino i Washberg, una tra le famiglie più potenti di Tulsa. Ma uno di loro, Dale, si è tolto la vita, quando l'articolo di Raybon sulle faccende losche della dinastia è stato pubblicato su carta. Perché, però? Quali segreti nascondo i Washberg? Le domande muovono la nuova indagine di Raybon, la sostanziano. E, attorno alla ricerca di risposte, si dipana The Lowdon, riuscendo a bilanciare l'irrequietezza del suo protagonista, il suo cinismo, con il racconto di una dinamica familiare di solito estranea al genere crime.
Continua a leggereRiduci
Secondo i calcoli di Facile.it, il 2025 si chiuderà con un calo di circa 50 euro per la rata mensile di un mutuo variabile standard, scesa da 666 euro di inizio anno a circa 617 euro. Un movimento coerente con il progressivo rientro delle componenti di costo indicizzate (Euribor) e con l’aspettativa di stabilizzazione di breve periodo.
Sul versante dei mutui a tasso fisso, il 2025 è stato invece caratterizzato da un lieve aumento dei costi per i nuovi mutuatari, in larga parte legato alla risalita dell’indice IRS (il riferimento tipico per i fissi). A gennaio 2025 l’IRS a 25 anni è stato in media pari a 2,4%; nell’ultimo mese è arrivato al 3,1%. L’effetto, almeno parziale, si è trasferito sulle nuove offerte: per un finanziamento standard la rata risulta oggi più alta di circa 40 euro rispetto a inizio anno.
«Il 2025 è stato un anno positivo sul fronte dei tassi dei mutui: i variabili sono scesi a seguito dei tagli della Bce, mentre i fissi, seppur in lieve aumento, offrono comunque buone condizioni per chi vuole tutelarsi da possibili futuri aumenti di rata. Oggi, quindi, l’aspirante mutuatario può godere di un’ampia offerta di soluzioni: scegliere il tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», spiegano gli esperti di Facile.it
Guardando in avanti, un’indicazione operativa sui variabili arriva dai Futures sugli Euribor (aggiornati al 10 dicembre 2025): per il 2026 non vengono prezzate grandi variazioni. L’Euribor a 3 mesi, oggi sotto il 2,1%, è atteso su livelli simili anche nel prossimo anno.
«In questo momento il mercato non prevede ulteriori tagli da parte della BCE nel 2026 e al netto di qualche piccola oscillazione al rialzo verso fine anno, nei prossimi 12 mesi le rate dovrebbero rimanere tendenzialmente stabili», continuano gli esperti di Facile.it
Lo snodo resta l’inflazione: se dovesse tornare ad accelerare, non si potrebbero escludere nuove mosse restrittive della Bce, con un impatto immediato sugli indici e quindi sulle rate dei variabili. Più difficile, invece, «leggere» i fissi: finché i rendimenti dei titoli europei resteranno in salita, è complicato immaginare una traiettoria diversa per gli Irs e, a cascata, per i mutui collegati.
Per chi deve scegliere adesso, lo scenario è nettamente diverso rispetto a inizio anno. Nel 2025, il tasso variabile è tornato mediamente più conveniente. Secondo l’analisi** di Facile.it sulle migliori offerte online, per un mutuo da 126.000 euro in 25 anni (LTV 70%) i variabili partono da un TAN del 2,54%, con rata di 554,5 euro. A parità di profilo, i fissi partono da un TAN del 3,10%, con rata di 604 euro: circa 50 euro in più al mese.
«Scegliere oggi un tasso variabile significa partire con una rata più contenuta, ma il vantaggio economico iniziale può essere ritenuto da molti ancora non sufficiente per giustificare il rischio connesso a questo tipo di finanziamento. Per chi non è disposto a rischiare, invece, i fissi garantiscono comunque condizioni favorevoli, oltre alla certezza che la rata resti uguale per tutte la durata del mutuo. Non esiste in assoluto una soluzione giusta o sbagliata, la scelta va presa da ciascun richiedente secondo le proprie caratteristiche; un consulente esperto può essere d’aiuto per valutare pregi e difetti di ciascuna proposta e identificare quella più adatta», concludono gli esperti di Facile.it.
Continua a leggereRiduci
Brahim Diaz esulta dopo aver segnato un gol durante la partita inaugurale della 35ª Coppa d'Africa tra Marocco e Comore allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat (Getty Images)
Serve a spostare l’immaginario: non più periferia, non più frontiera, ma piattaforma. Il governo marocchino non lo nasconde. «La Coppa d’Africa è una prova generale per il Mondiale 2030 e un simbolo della nostra capacità di organizzare eventi globali con standard elevati», ha dichiarato recentemente un portavoce del governo di Rabat, sottolineando l’utilizzo dello sport come leva di soft power e di consolidamento di immagine internazionale. Il re Mohammed VI ha insistito pubblicamente sul ruolo dello sport come strumento di dialogo e cooperazione regionale, definendo iniziative come Afcon e il Mondiale 2030 parte integrante della «strategia marocchina di apertura e modernizzazione». Questa visione è stata ripresa anche dai media di Stato come elemento di legittimazione politica e di promozione dell’identità nazionale. I numeri aiutano a capire la traiettoria. Il Marocco conta oggi circa 37 milioni di abitanti e una crescita demografica relativamente contenuta dell’1 per cento annuo circa, molto più bassa rispetto a molte economie subsahariane.
Questo rallentamento demografico consente una pianificazione a medio-lungo termine più sostenibile. Sul piano economico, il pil ha superato i 140 miliardi di dollari nel 2023, con un pil pro capite attorno ai 3.700 dollari, superiore a molti Paesi dell’Africa subsahariana e stabile negli ultimi anni. Il calcio entra qui. La Coppa d’Africa diventa una vetrina perché cade in un momento preciso. Il Paese è nel pieno di un ciclo di investimenti pubblici legati a grandi eventi. Strade, aeroporti, linee ferroviarie ad alta velocità, stadi. Secondo stime ufficiali, tra infrastrutture sportive e opere collegate il Marocco ha messo sul piatto investimenti nell’ordine di oltre 21 miliardi di dirham — quasi 2 miliardi di euro — per modernizzare stadi e città in vista di Afcon 2025 e del Mondiale 2030. Questa spinta è percepita anche a livello diplomatico.
Nel corso degli ultimi anni Rabat ha promosso nuove alleanze economiche in Africa occidentale, con piani di investimento in energia, telecomunicazioni e infrastrutture. La Coppa d’Africa è intesa come un elemento di “soft power” che attraversa i confini: non solo uno spettacolo sportivo, ma un’occasione per creare reti di relazioni, far visita a delegazioni internazionali e mostrare un’immagine di stabilità e apertura. Il messaggio è rivolto prima di tutto al continente africano. Il Marocco si propone come modello alternativo: africano per storia e geografia, ma sempre più occidentale per governance, modelli economici e partner strategici. “Lo sport è parte integrante della nostra politica estera e interna”, ha detto un consigliere politico marocchino parlando della Coppa d’Africa come di un evento che rafforza l’influenza regionale di Rabat. La Coppa d’Africa serve anche a rafforzare una narrativa interna. Il Paese viene da anni di riforme graduali, non sempre popolari, tra cui la promozione di miglioramenti nei servizi pubblici. Il consenso passa anche dalla capacità di offrire orgoglio nazionale e visibilità internazionale.
Dopo il quarto posto al Mondiale 2022, la nazionale è diventata un moltiplicatore emotivo, un simbolo di successo collettivo. Ma non mancano le critiche. In un anno segnato da proteste giovanili e richieste di maggiori investimenti in sanità ed educazione, alcuni osservatori ricordano che infrastrutture sportive e servizi sociali competono per risorse limitate. «Vogliamo ospedali, non stadi» è stato lo slogan di manifestazioni che hanno investito diverse città marocchine nei mesi scorsi, sottolineando il rischio di disallineamento tra spesa per eventi e bisogni sociali. Nel contesto internazionale il torneo assume un ulteriore significato. La Coppa d’Africa 2025 arriva pochi anni prima del Mondiale 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Non come semplice partecipante, ma come Paese co-organizzatore, una delle prime volte che un Paese africano riveste questo ruolo congiunto nel calcio globale. Il Marocco conta di vincere la Coppa D'Africa. Il risultato sportivo conterà. Ma conterà meno del messaggio lasciato. Rabat vuole usare il calcio per ribadire che il centro può spostarsi, che l’Africa non è solo luogo di risorse e problemi, ma anche piattaforma, regia e snodo geopolitico. E nel 2030, quando il mondo guarderà lo stesso pallone rimbalzare tra Europa e Africa, quella storia sarà già stata scritta.
Continua a leggereRiduci