2021-11-27
Bianco di Custoza, rivincita di due sconfitte
Le colline di Custoza e nel riquadro la battaglia del 1848 (Getty Images)
Fra i tanti vini con vivace vena patriottica (Barolo, Barbaresco, Chianti, Malvasia, Lambrusco) è il più risorgimentale di tutti. Nasce sulle colline veronesi a Sud del lago di Garda, sulle zolle dove nel 1848 e nel 1866 si combatterono sanguinose battaglie.Anche i vini hanno fatto la loro parte nella costruzione dell'unità d'Italia. Camillo Benso conte di Cavour tesseva la tela politica non allontanandosi mai troppo dal suo Barolo. Coltivava il nebbiolo nella sua tenuta di Grinzane, lo vinificava, lo beveva e raccomandava agli inviati plenipotenziari in partenza per l'estero di mettere una bottiglia di Barolo nel bagaglio diplomatico: un gran vino apre molte porte. Vittorio Emanuele II divideva il suo amore - Rosa Vercellana, la Bela Rosin, sua amante, a parte -, tra il Barolo e il Barbaresco, vini da cacciagione, per appetiti robusti com'era quello del re. Bettino Ricasoli, succeduto a Cavour alla presidenza del Consiglio del neonato Regno d'Italia, spostò la politica del conte verso Firenze e verso il Chianti. Anche il barone di ferro era un vignaiolo. Nei terreni vitati intorno al castello di Brolio coltivava sangiovese, canaiolo e colorino, vitigni che danno ancora oggi al vino toscano nerbo e fama mondiale.Giuseppe Garibaldi, uscito dalle infauste nozze con Giuseppina Raimondi (la ripudiò neppure un'ora dopo la cerimonia, quando seppe che era incinta di un altro), si consolò con il Malvasia nella villa della marchesa Teresa Trecchi Araldi sui colli di Sala Baganza. Si innamorò del vino bianco frizzante delle colline parmensi e contemporaneamente, dicono le malelingue del tempo, 1861, anche della bella nobildonna. Se è vero, fu un'avventura fugace. Dopo tre giorni l'eroe dei due mondi piantò la marchesa e piantò anche, tornato a Caprera, alcune barbatelle di malvasia che aveva portato con sè sull'isola dell'arcipelago maddalenino. Durò più a lungo l'amore per il vino che per la Trecchi Araldi. Vino dotato di spirito patriottico è il Lambrusco che scorre a fiumi nelle opere di Giuseppe Verdi. Il Maestro, che prestò il suo cognome al patriottico acronimo W Verdi (W Vittorio Emanuele Re D'Italia), fece piantare una vigna di lambrusco nei terreni di villa Sant'Agata, dove abitava in provincia di Piacenza e anche quando era lontano da casa si informava dal fattore sulla salute di vigne, uva e vino.Barolo, Barbaresco, Chianti, Malvasia, Lambrusco: sono tutti vini con vivace vena patriottica. Cantano Fratelli d'Italia. Ma il più risorgimentale di tutti è senza dubbio il vino bianco delle colline veronesi a sud del lago di Garda, il Custoza. Le uve che «costruiscono» questo vino - garganega, bianca fernanda, trebbianello... - nascono sulle stesse zolle dove nel 1848 e nel 1866 furono combattute due sanguinose battaglie. È il vino che nasce dal sangue e dalle canzoni dei patrioti volontari che nel 1848 accorsero da tutt'Italia per rinforzare l'esercito di Carlo Alberto. Erano giovani e affrontavano i battaglioni austriaci cantando All'armi all'armi, La bandiera dei tre colori. Cantavano e morivano. Nel 1866 i soldati italiani aggiunsero al repertorio La bella Gigogin («... daghela avanti un passo...»), ma le sorti a Custoza non cambiarono nonostante la schiacciante superiorità numerica dei nostri. Seconda battaglia, seconda sconfitta. Non mancò il valore. E sulle zolle di Custoza ancora sangue e morti, morti e sangue. Il monumentale ossario che svetta sopra i vigneti di Monte Belvedere ne conserva oggi le ossa e il ricordo.Morti e vergogna furono riscattati con gli eroismi raccontati dai libri di scuola e dal Cuore di Edmondo de Amicis.Il secondo riscatto arrivò un secolo dopo, l'8 febbraio1971. Dopo una lunga battaglia i vignaioli del Custoza ottennero finalmente il decreto del presidente della Repubblica che riconosceva la sospirata Doc, la denominazione di origine controllata. Il giornalista e scrittore villafranchese Cesare Marchi fu il trombettiere del tenace esercito di viticultori che aveva sbaragliato un esercito di burocrati con un vino eroico. Marchi proruppe nel grido che, fermentato in cantina, esplose come la cannonata di un tappo che vola in cielo: «Finalmente una vittoria». Con queste tre parole cancellò il nome di Custoza dall'atlante della vergogna militare per consegnarlo, trionfante e liberatorio, a quello dell'enogastronomia.E con il grido di Marchi si alzò l'acuto di Giuseppe Lugo, il grande tenore italiano che a Custoza, finita la carriera di cantante, acquistò Villa Maffei ribattezzandola Villa Vento, col nome della sua celebre canzone La mia canzone al vento («Vento, vento, portami via con te...»). Intorno alla villa Lugo possedeva vigneti. Quando Sante Meneghelli e Roberto Prearo, pionieri del Custoza gli parlarono della battaglia per ottenere la Doc, il tenore afferrò la bandiera della causa intonando il Vincerò. E vinsero. «Custoza», scrisse Cesarino Marchi con la solita fine ironia «vuol dire anche e soprattutto il suo bianco dal profumo delicato, fragrante, dal sapore morbido e sottile, anticamente chiamato “vino delle Dame", ma bevuto gagliardamente anche dalle coltivatrici dirette».Il Custoza deve molto al giornalista e scrittore il quale, a sua volta, doveva molto al vino che in tempo di guerra lo aveva salvato dalla deportazione. Lui e altri studenti furono sorpresi in un casolare di campagna da un sergente nazista che li minacciò con la Luger. Si salvarono versandogli bicchieri di Custoza e ubriacandolo («Ach! Questo essere meglio della birra»). «È una delle poche cose di cui, come utente della penna, mi sento orgoglioso», scrive Marchi raccontando l'episodio in Quando siamo a tavola. «Il Custoza è un vino che non va invecchiato, bisogna berlo giovane, perchè come diceva il poeta greco Mimnermo, muore giovane chi è caro al cielo».Da queste parti, a Sirmione, Catullo produceva il Rethicum, un vino bianco antenato del Custoza. Lo beveva perché gli piaceva e per consolarsi del finito amore con la capricciosa Lesbia: «Versami vino via via più puro... e voi sparite/ dove volete, lontano da qui/ pesti del vino, acque. Tra gli astemi/ esiliatevi...». A quanto pare il Rethicum piaceva anche a Giulio Cesare. Anche Dante in esilio nel palazzo di Cangrande esaltò i vini veronesi: «Guarda il calor del sol che si fa vino,/ giunto al'omor che della vite cola». Gidino da Sommacampagna, retore, grammatico, poeta, nato a Sommacampagna, nel cuore del Custoza, vissuto alla corte dei signori Della Scala (fu il teorico del salto sul carro del vincitore, tanto caro ai politici) cantò il vino delle sue terre, ma con regolatezza. Il suo era un Bacco con il senso della misura: «Chi Bacho adora con moderazione/ lo corpo prima fa di ben contento/ E l'alma trova poscia in ben rifatta./ Lo sobrio Bacho riconforta l'animo/ l'ingegno aguzza e fa l'omo magnanimo».Le vigne del Custoza affondano le radici nella terra portata migliaia di anni fa dalle lingue dei ghiacciai che scendendo dalle Giudicarie srotolavano verso la pianura massi, detriti e ciottoli che formarono le colline a sud del lago di Garda. Il vino risorgimentale, infatti, conserva il fiato algido di quelle ere remote, respira i venti che scendono dal Baldo e immagazzina i tepori del clima sublacuale e i profumi dei fiori di campo. Figlio del sasso e dell'uomo che in tanti secoli di storia lo ha sentito fratello: vicende umane, suolo, clima, cultura, arte vinaria. Tutto questo è quello che noi chiamiamo territorio e i francesi terroir. Voce, a dire il vero, che mi ricorda più Robespierre che Dom Perignon.
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.