2020-01-23
«Bezos è stato hackerato dai sauditi». Guerra di 007 tra Amazon e gli emiri
Bandar Algaloud/Anadolu Agency/Getty Images
Secondo gli analisti Onu, il telefono del tycoon venne infettato da un video inviatogli dal principe Mohammed Bin Salman. Pochi mesi dopo, il giornalista Jamal Khashoggi sarà massacrato. Sullo sfondo, un possibile spionaggio industriale.Il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman avrebbe hackerato lo smartphone di Jeff Bezos, fondatore di Amazon, proprietario del Washington Post e uomo più ricco del mondo con un patrimonio stimato superiore a 115 miliardi di dollari. È questo l'esito, emerso ieri, di due inchieste distinte, una del Guardian e l'altra del Financial Times. Ecco come sarebbero andate le cose: il primo maggio del 2018 l'erede al trono di Riad avrebbe inviato, da un account WhatsApp a lui riconducibile, a Bezos, conosciuto alcune settimane in una cena a Hollywood, un video in formato Mp4; quel filmato nascondeva però un virus in grado di hackerare l'iPhone del fondatore di Amazon e di mettere a disposizione degli intrusi grandi quantità di file e informazioni presenti sul dispositivo. Non si sa quali e quanti dati siano stati rubati ma si sa che il flusso illegale di dati dal telefono di Bezos è continuato per almeno un mese dopo l'attacco. Come sarebbe avvenuto l'hackeraggio? Due possibilità. La prima risponde al nome di Pegasus-3, un malware dell'azienda israeliana Nso Group acquistato nel novembre 2017 (cioè sei mesi prima dell'attacco al patron del Washington Post) dal regime saudita, esattamente dalla Guardia reale, cioè l'unità dell'esercito che garantisce la sicurezza della famiglia Saud. La seconda, invece, a quella di Galileo, spyware dell'italiana Hacking Team, azienda milanese che l'editorialista David Ignatius del Washington Post ha accusato nel dicembre 2018 di aver contribuito a potenziare l'arsenale cybernetico dei sauditi: armi usate contro i terroristi ma anche contro i rivali politici.Lo scoop del Guardian è il frutto di un'analisi forense condotta da FTI Consulting sul telefono di Bezos confermata ieri anche da Agnès Callamard, relatrice speciale per le esecuzioni extragiudiziali, sommarie o arbitrarie delle Nazioni Unite, e da David Kaye, relatore per la libertà d'espressione. Il risultato è medium to high confidence (fiducia medio-alta) sul fatto che il kingmaker del Golfo, che con la sua Vision 2030 vuole aprire l'Arabia Saudita al mondo superando la dipendenza dal petrolio, abbia giocato un ruolo dell'hackeraggio. Ieri le Nazioni Unite, attraverso Callamard e Kaye hanno invitato gli Stati Uniti a indagare immediatamente. E pare che alcuni funzionari siano al lavoro per redigere un rapporto più completo che dovrebbe essere presentato ai vertici di Ginevra a giugno. Callamard e Kaye sostengono, si legge nella nota diffusa ieri, che «le informazioni ricevute suggeriscono il possibile coinvolgimento del principe ereditario nella sorveglianza di Bezos, nell'intento di influenzare, se non silenziare, le cronache del Washington Post sull'Arabia Saudita».L'ambasciata saudita a Washington ha smentito tutto spiegando via Twitter che «i recenti resoconti dei media che suggeriscono che il Regno sia alla base di una violazione del telefono di Jeff Bezos sono assurdi» e chiedendo «un'indagine su queste affermazioni». Va tuttavia rilevato che è la stessa sede diplomatica che un anno e mezzo va, dopo aver inizialmente dichiarato di non essere coinvolta nel massacro del giornalista Jamal Khashoggi del Washington Post, aveva poi fatto un clamoroso passo indietro ammettendo che a uccidere il reporter erano stati soggetti dei servizi segreti deviati sauditi. Era il 2 ottobre 2018, quando Khashoggi fu fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul, ossia cinque mesi dopo l'hackeraggio ai danni di Bezos, cioè dell'editore del giornale statunitense per cui lavorava il dissidente, che in passato aveva diretto il quotidiano saudita di area riformista e progressista Al Watan. Nello stesso mese dell'attacco allo smartphone del fondatore di Amazon, cioè nel maggio 2018, anche il telefono dell'attivista saudita per i diritti umani Yahya Assiri, persona con cui Khashoggi era spesso in contatto, era stato hackerato.«Penso che “assurdo" sia la parola giusta», ha dichiarato ieri alla Reuters il principe Faisal Bin Farhan Al Saud, ministro degli Esteri saudita, commentando il caso. «L'idea che il principe ereditario abbia hackerata il telefono di Jeff Bezos è assolutamente una follia», ha aggiunto. Le accuse rischiano di danneggiare ulteriormente le relazioni tra Bezos e Riad ma anche la reputazione del regno con potenze e investitori stranieri. Anche perché non è la prima volta che sembra essere lo zampino saudita dietro un attacco a Bezos. Già un anno fa Gavin de Becker, consulente sulla sicurezza del magnate, aveva sostenuto che fosse stata l'Arabia Saudita a consegnare al National Enquirer (giornale di David J. Pecker, amico di lunga data del presidente Donald Trump e già indagato per una presunta attività di lobby per conto del regime saudita) le foto e i messaggi privati di Bezos con l'obiettivo di colpire il lavoro del Washington Post attorno all'omicidio di Khashoggi. Ma potrebbero esserci altre ragioni dietro l'hackeraggio oltre lo spionaggio politico: quello aziendale. Basti pensare, infatti, che il fondo sovrano saudita Pif ha investito tre anni e mezzo fa 3,5 miliardi in Uber, società in cui ha creduto anche Bezos attraverso la Bezos Expeditions, ma anche che l'Arabia Saudita, all'epoca dell'attacco, stava discutendo con Amazon un accordo da un miliardo di dollari per costruire tre data center nel Paese del Golfo, progetto poi bloccato dopo l'assassinio di Khashoggi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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