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2022-01-23
Berlusconi rinuncia a candidarsi e prova a bloccare la corsa di Draghi
Ansa
Silvio Berlusconi si ritira dalla corsa, dice no a Mario Draghi al Quirinale e annuncia una proposta condivisa del centrodestra per la presidenza della Repubblica. È questa la conclusione della giornata della verità, a 36 ore dalla prima votazione, in programma domani. La decisione del Cav viene comunicata alle 19 di ieri sera da Licia Ronzulli e Antonio Tajani agli alleati di centrodestra in apertura del vertice di coalizione che si svolge da remoto, in collegamento video. Insieme al passo indietro, Tajani e Ronzulli comunicano anche agli alleati che secondo Berlusconi «Draghi deve restare a Palazzo Chigi». La coalizione dunque si compatta, il passo di lato di Berlusconi consente ora di aprire una riflessione approfondita sui nomi da proporre per la successione di Sergio Mattarella. Berlusconi non partecipa alla riunione, affida alla Ronzulli e a Tajani il compito di leggere un comunicato: «Sono davvero grato, dal profondo del cuore», scrive Berlusconi, «alle molte migliaia di italiane e italiani che, in questi giorni, mi hanno manifestato affetto, sostegno e incoraggiamento da quando il mio nome è stato indicato per la presidenza della Repubblica. Sono grato in particolare alle forze politiche del centrodestra che hanno voluto formulare la mia candidatura, ai tanti parlamentari di tutti gli schieramenti che hanno espresso il loro appoggio e il loro consenso. Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali», aggiunge Berlusconi, «anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centrodestra, ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione. Ponendo sempre l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale», sottolinea Berlusconi, «ho riflettuto molto, con i miei familiari ed i dirigenti del mio movimento politico, sulla proposta ricevuta. L’Italia oggi ha bisogno di unità», sottolinea il Cav, «al di là della distinzione maggioranza-opposizione, intorno allo sforzo per combattere la gravissima emergenza sanitaria, per far uscire il paese dalla crisi».
Poi, lo stop a Mario Draghi: «Per queste ragioni sono stato il primo a volere un governo di unità nazionale», afferma ancora Berlusconi, «che raccogliesse le migliori energie del paese, e che, con il concorso costruttivo anche dell’opposizione, è servito ad avviare un percorso virtuoso che oggi più che mai, alla luce della situazione sanitaria ed economica, deve andare avanti. Per questo considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr», argomenta il leader di Forza Italia», proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia. In questo stesso spirito, ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la presidenza della Repubblica. Da oggi lavoreremo quindi con i leader del centro-destra», si legge ancora nel comunicato, «che rappresenta la maggioranza nel paese ed a cui spetta l’onere della proposta , per concordare un nome in grado di raccogliere un consenso vasto in Parlamento. Occorre individuare una figura capace di rappresentare con la necessaria autorevolezza la nazione nel mondo e di essere garante delle scelte fondamentali del nostro paese», conclude Berlusconi, «nello scenario internazionale, l’opzione europea e quella atlantica, sempre complementari e mai contrapponibili, essenziali per garantire la pace e la sicurezza e rispondere alle sfide globali». Immediato il commento del leader della Lega, Matteo Salvini: «Scelta decisiva e fondamentale», argomenta Salvini, «Berlusconi rende un grande servizio all’Italia e al centrodestra, che ora avrà l’onore e la responsabilità di avanzare le sue proposte senza più veti dalla sinistra». Prima della riunione del centrodestra, c’era stato un summit dei dirigenti di Forza Italia, al quale Berlusconi non aveva preso parte. Dal vertice trapela la contrarietà di Fratelli d’Italia, che come noto vorrebbe le elezioni anticipate dopo l’elezione del Capo dello Stato, alla indicazione di Berlusconi sulla necessità che il governo Draghi concluda la legislatura. «Riunione decisiva del centrodestra», commentano fonti del Carroccio al termine della riunione, «e gesto fondamentale di Silvio Berlusconi per il bene del Paese e della coalizione. Nonostante il Cavaliere avesse i numeri, ha deciso un passo di lato con grande senso di responsabilità. Il centrodestra è compatto ed è pronto a formulare diverse proposte di alto profilo su cui la sinistra non potrà porre veti come fatto nelle ultime settimane». Intanto, Fratelli d’Italia si smarca dal «no» a Draghi: «Durante la riunione», si legge in una nota diffusa dal partito di Giorgia Meloni, «Fratelli d’Italia ha insistito affinché fosse chiaro che non auspica in alcun modo che la legislatura prosegua. La questione di Mario Draghi al Quirinale, sulla quale non abbiamo espresso alcun giudizio, non è stata posta e sarebbe semmai problema che possono avere le forze che partecipano al suo governo».
Comincia a girare il nome di Casini
Grande, anzi grandissima è la confusione sotto il cielo. Anche alla luce di quanto avvenuto nel centrodestra, col ritiro della candidatura di Silvio Berlusconi, si fa sempre piu insistente il nome di Pierferdinando Casini per il Quirinale. La candidatura dell’ex democristiano era sin da subito circolata, ma finora sotto traccia. Con il cambio di scenario maturato ieri, il nome è ufficialmente sul tavolo. Anche sul versante centrosinistra appare quasi scontato che le trattative per l’individuazione di un candidato unitario (o quantomeno maggioritario) per il Quirinale andranno in parallelo con le prime votazioni a Montecitorio. Il cui inizio, come è noto, è fissato per domani alle 15. Non tradendo la tradizionale attitudine della politica italiana, ciò che poteva essere fatto settimane o addirittura mesi prima con tempi decisamente meno compressi, sarà fatto nelle prossime ore in modo inevitabilmente convulso. E così, nel giro di 12 ore si terranno una serie di vertici incrociati, incontri virtuali e riunioni dei leader coi rispettivi grandi elettori, nel tentativo arduo di andare a boccino già nelle prime tre votazioni.
L’impressione, al momento, è che ciò difficilmente possa avvenire, anche perché, a differenza che nel centrodestra, nel recinto dell’ex-maggioranza giallorossa pende un’ulteriore ed enorme incognita: la capacità di un leader di controllare i propri parlamentari. Si parla ovviamente di Giuseppe Conte, che rivedrà oggi il segretario del Pd Enrico Letta e Roberto Speranza in un vertice a tre, per poi confrontarsi di nuovo coi suoi grandi elettori. L’impressione, come rivelato dalla vicenda del presunto pacchetto di voti messi sul mercato dal grillino Riccardo Fraccaro, è che la parola di Conte non sarà presa in grande considerazione dai suoi omologhi, i quali avranno bisogno di sondare i vari capibastone della galassia pentastellata (o il leader -ombra Luigi Di Maio) per avere un quadro verosimile della situazione. Ieri mattina, in una cabina di regia grillina Conte avrebbe ribadito le proprie perplessità su Draghi presidente, ma quest’ultimo è stato già e più volte bruscamente sconfessato dai suoi parlamentari. Per questo l’appuntamento importante sarà quello di stasera coi grandi elettori pentastellati.
Andando al sodo, sulla rive gauche c’è Enrico Letta che sta continuando a tessere la propria tela per portare Mario Draghi sul Colle più alto, avendo - pare - incassato nell’ultimo faccia a faccia un ok di massima da Matteo Renzi. Al quale, si sa, interessa assai di più la soluzione sul governo che eviti le elezioni anticipate e una legge elettorale che consenta la sopravvivenza del suo partito.
Ma Letta sembra l’unico nel centrosinistra che si stia dando seriamente da fare per il trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Colle, visto che i rumors vedono una parte degli stessi dem tiepida su questa prospettiva, a partire dagli ex-renziani e dai franceschiniani, allettati da profili più casalinghi. Prima di incontrare Matteo Salvini (probabilmente domani mattina), Letta dovrà dunque avere un quadro esaustivo della situazione dentro il partito e dentro la coalizione. È per questo che oggi ci sarà il bailamme degli incontri: si dovrebbe partire in mattinata con l’incontro a tre Letta-Conte-Speranza alla Camera, prima della riunione del segretario del Pd coi suoi grandi elettori. Poi, dovrebbe essere la volta dell’incontro del ministro della Salute coi grandi elettori di Leu, per chiudere, alle 21, con quello (che come detto si preannuncia molto teso) tra Conte e i parlamentari di M5s. Contemporaneamente, si dovrebbe tenere l’atteso faccia a faccia tra i due maggiori azionisti della partita, vale a dire Letta e Salvini, in cui salterà fuori la short-list dei realmente papabili.
Quanto alle operazioni di voto vere e proprie, tutto è pronto a Palazzo Montecitorio, dove per giorni gli operai si sono dati da fare per adeguare gli spazi interni della Camera alle norme igieniche e di distanziamento previste dall’emergenza Covid. Sarà possibile procedere a una sola votazione al giorno, a partire da quella di domani alle 15 e anche i tradizionali catafalchi, sotto i quali i grandi elettori esprimono la propria preferenza, quest’anno resteranno in soffitta, lasciando il posto a moderne cabine singole anti-contagio.
Alle votazioni prenderanno parte 321 senatori (315 eletti e sei a vita), 630 deputati e 58 delegati regionali, per un totale di 1009 grandi elettori. Nelle prime votazioni (quindi da domani a mercoledì) potrà essere eletto presidente della Repubblica solo chi otterrà la maggioranza qualificata, ovvero i due terzi degli aventi diritto, equivalente a 673 voti. Qualora - e sembra questo essere il caso - questa quota non dovesse essere raggiunta, dalla quarta votazione sarà sufficiente la maggioranza assoluta, vale a dire la metà più un voto degli aventi diritto, coincidente con la fatidica quota 505.
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Il Cav diserta il vertice di centrodestra e si ritira «per responsabilità nazionale». Ma congela il premier: «Rimanga a Chigi fino al 2023». Giorgia Meloni si smarca: «Nessun veto, auspichiamo la fine della legislatura».L’ipotesi dell’ex democristiano prende forma. Oggi riunione tra Giuseppe Conte, Roberto Speranza e Enrico Letta: il dem spinge per Super Mario, col placet di Renzi. Domani il primo voto.Lo speciale contiene due articoliSilvio Berlusconi si ritira dalla corsa, dice no a Mario Draghi al Quirinale e annuncia una proposta condivisa del centrodestra per la presidenza della Repubblica. È questa la conclusione della giornata della verità, a 36 ore dalla prima votazione, in programma domani. La decisione del Cav viene comunicata alle 19 di ieri sera da Licia Ronzulli e Antonio Tajani agli alleati di centrodestra in apertura del vertice di coalizione che si svolge da remoto, in collegamento video. Insieme al passo indietro, Tajani e Ronzulli comunicano anche agli alleati che secondo Berlusconi «Draghi deve restare a Palazzo Chigi». La coalizione dunque si compatta, il passo di lato di Berlusconi consente ora di aprire una riflessione approfondita sui nomi da proporre per la successione di Sergio Mattarella. Berlusconi non partecipa alla riunione, affida alla Ronzulli e a Tajani il compito di leggere un comunicato: «Sono davvero grato, dal profondo del cuore», scrive Berlusconi, «alle molte migliaia di italiane e italiani che, in questi giorni, mi hanno manifestato affetto, sostegno e incoraggiamento da quando il mio nome è stato indicato per la presidenza della Repubblica. Sono grato in particolare alle forze politiche del centrodestra che hanno voluto formulare la mia candidatura, ai tanti parlamentari di tutti gli schieramenti che hanno espresso il loro appoggio e il loro consenso. Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali», aggiunge Berlusconi, «anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centrodestra, ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione. Ponendo sempre l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale», sottolinea Berlusconi, «ho riflettuto molto, con i miei familiari ed i dirigenti del mio movimento politico, sulla proposta ricevuta. L’Italia oggi ha bisogno di unità», sottolinea il Cav, «al di là della distinzione maggioranza-opposizione, intorno allo sforzo per combattere la gravissima emergenza sanitaria, per far uscire il paese dalla crisi». Poi, lo stop a Mario Draghi: «Per queste ragioni sono stato il primo a volere un governo di unità nazionale», afferma ancora Berlusconi, «che raccogliesse le migliori energie del paese, e che, con il concorso costruttivo anche dell’opposizione, è servito ad avviare un percorso virtuoso che oggi più che mai, alla luce della situazione sanitaria ed economica, deve andare avanti. Per questo considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al Pnrr», argomenta il leader di Forza Italia», proseguendo il processo riformatore indispensabile che riguarda il fisco, la giustizia, la burocrazia. In questo stesso spirito, ho deciso di compiere un altro passo sulla strada della responsabilità nazionale, chiedendo a quanti lo hanno proposto di rinunciare ad indicare il mio nome per la presidenza della Repubblica. Da oggi lavoreremo quindi con i leader del centro-destra», si legge ancora nel comunicato, «che rappresenta la maggioranza nel paese ed a cui spetta l’onere della proposta , per concordare un nome in grado di raccogliere un consenso vasto in Parlamento. Occorre individuare una figura capace di rappresentare con la necessaria autorevolezza la nazione nel mondo e di essere garante delle scelte fondamentali del nostro paese», conclude Berlusconi, «nello scenario internazionale, l’opzione europea e quella atlantica, sempre complementari e mai contrapponibili, essenziali per garantire la pace e la sicurezza e rispondere alle sfide globali». Immediato il commento del leader della Lega, Matteo Salvini: «Scelta decisiva e fondamentale», argomenta Salvini, «Berlusconi rende un grande servizio all’Italia e al centrodestra, che ora avrà l’onore e la responsabilità di avanzare le sue proposte senza più veti dalla sinistra». Prima della riunione del centrodestra, c’era stato un summit dei dirigenti di Forza Italia, al quale Berlusconi non aveva preso parte. Dal vertice trapela la contrarietà di Fratelli d’Italia, che come noto vorrebbe le elezioni anticipate dopo l’elezione del Capo dello Stato, alla indicazione di Berlusconi sulla necessità che il governo Draghi concluda la legislatura. «Riunione decisiva del centrodestra», commentano fonti del Carroccio al termine della riunione, «e gesto fondamentale di Silvio Berlusconi per il bene del Paese e della coalizione. Nonostante il Cavaliere avesse i numeri, ha deciso un passo di lato con grande senso di responsabilità. Il centrodestra è compatto ed è pronto a formulare diverse proposte di alto profilo su cui la sinistra non potrà porre veti come fatto nelle ultime settimane». Intanto, Fratelli d’Italia si smarca dal «no» a Draghi: «Durante la riunione», si legge in una nota diffusa dal partito di Giorgia Meloni, «Fratelli d’Italia ha insistito affinché fosse chiaro che non auspica in alcun modo che la legislatura prosegua. La questione di Mario Draghi al Quirinale, sulla quale non abbiamo espresso alcun giudizio, non è stata posta e sarebbe semmai problema che possono avere le forze che partecipano al suo governo». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/berlusconi-rinuncia-a-candidarsi-e-prova-a-bloccare-la-corsa-di-draghi-2656460538.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="comincia-a-girare-il-nome-di-casini" data-post-id="2656460538" data-published-at="1642893414" data-use-pagination="False"> Comincia a girare il nome di Casini Grande, anzi grandissima è la confusione sotto il cielo. Anche alla luce di quanto avvenuto nel centrodestra, col ritiro della candidatura di Silvio Berlusconi, si fa sempre piu insistente il nome di Pierferdinando Casini per il Quirinale. La candidatura dell’ex democristiano era sin da subito circolata, ma finora sotto traccia. Con il cambio di scenario maturato ieri, il nome è ufficialmente sul tavolo. Anche sul versante centrosinistra appare quasi scontato che le trattative per l’individuazione di un candidato unitario (o quantomeno maggioritario) per il Quirinale andranno in parallelo con le prime votazioni a Montecitorio. Il cui inizio, come è noto, è fissato per domani alle 15. Non tradendo la tradizionale attitudine della politica italiana, ciò che poteva essere fatto settimane o addirittura mesi prima con tempi decisamente meno compressi, sarà fatto nelle prossime ore in modo inevitabilmente convulso. E così, nel giro di 12 ore si terranno una serie di vertici incrociati, incontri virtuali e riunioni dei leader coi rispettivi grandi elettori, nel tentativo arduo di andare a boccino già nelle prime tre votazioni. L’impressione, al momento, è che ciò difficilmente possa avvenire, anche perché, a differenza che nel centrodestra, nel recinto dell’ex-maggioranza giallorossa pende un’ulteriore ed enorme incognita: la capacità di un leader di controllare i propri parlamentari. Si parla ovviamente di Giuseppe Conte, che rivedrà oggi il segretario del Pd Enrico Letta e Roberto Speranza in un vertice a tre, per poi confrontarsi di nuovo coi suoi grandi elettori. L’impressione, come rivelato dalla vicenda del presunto pacchetto di voti messi sul mercato dal grillino Riccardo Fraccaro, è che la parola di Conte non sarà presa in grande considerazione dai suoi omologhi, i quali avranno bisogno di sondare i vari capibastone della galassia pentastellata (o il leader -ombra Luigi Di Maio) per avere un quadro verosimile della situazione. Ieri mattina, in una cabina di regia grillina Conte avrebbe ribadito le proprie perplessità su Draghi presidente, ma quest’ultimo è stato già e più volte bruscamente sconfessato dai suoi parlamentari. Per questo l’appuntamento importante sarà quello di stasera coi grandi elettori pentastellati. Andando al sodo, sulla rive gauche c’è Enrico Letta che sta continuando a tessere la propria tela per portare Mario Draghi sul Colle più alto, avendo - pare - incassato nell’ultimo faccia a faccia un ok di massima da Matteo Renzi. Al quale, si sa, interessa assai di più la soluzione sul governo che eviti le elezioni anticipate e una legge elettorale che consenta la sopravvivenza del suo partito. Ma Letta sembra l’unico nel centrosinistra che si stia dando seriamente da fare per il trasloco di Draghi da Palazzo Chigi al Colle, visto che i rumors vedono una parte degli stessi dem tiepida su questa prospettiva, a partire dagli ex-renziani e dai franceschiniani, allettati da profili più casalinghi. Prima di incontrare Matteo Salvini (probabilmente domani mattina), Letta dovrà dunque avere un quadro esaustivo della situazione dentro il partito e dentro la coalizione. È per questo che oggi ci sarà il bailamme degli incontri: si dovrebbe partire in mattinata con l’incontro a tre Letta-Conte-Speranza alla Camera, prima della riunione del segretario del Pd coi suoi grandi elettori. Poi, dovrebbe essere la volta dell’incontro del ministro della Salute coi grandi elettori di Leu, per chiudere, alle 21, con quello (che come detto si preannuncia molto teso) tra Conte e i parlamentari di M5s. Contemporaneamente, si dovrebbe tenere l’atteso faccia a faccia tra i due maggiori azionisti della partita, vale a dire Letta e Salvini, in cui salterà fuori la short-list dei realmente papabili. Quanto alle operazioni di voto vere e proprie, tutto è pronto a Palazzo Montecitorio, dove per giorni gli operai si sono dati da fare per adeguare gli spazi interni della Camera alle norme igieniche e di distanziamento previste dall’emergenza Covid. Sarà possibile procedere a una sola votazione al giorno, a partire da quella di domani alle 15 e anche i tradizionali catafalchi, sotto i quali i grandi elettori esprimono la propria preferenza, quest’anno resteranno in soffitta, lasciando il posto a moderne cabine singole anti-contagio. Alle votazioni prenderanno parte 321 senatori (315 eletti e sei a vita), 630 deputati e 58 delegati regionali, per un totale di 1009 grandi elettori. Nelle prime votazioni (quindi da domani a mercoledì) potrà essere eletto presidente della Repubblica solo chi otterrà la maggioranza qualificata, ovvero i due terzi degli aventi diritto, equivalente a 673 voti. Qualora - e sembra questo essere il caso - questa quota non dovesse essere raggiunta, dalla quarta votazione sarà sufficiente la maggioranza assoluta, vale a dire la metà più un voto degli aventi diritto, coincidente con la fatidica quota 505.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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