- Il sindaco sogna di abbassare il limite a 30 km all’ora, i report spiegano però che in centro la velocità di marcia è già più bassa. Tra i taxi che non si trovano (e costano tanto) e i rincari del trasporto pubblico, muoversi a Milano sta diventando impossibile.
- Riccardo Ruggeri: «È il Sessantotto dell'estremismo verde».
Il sindaco sogna di abbassare il limite a 30 km all’ora, i report spiegano però che in centro la velocità di marcia è già più bassa. Tra i taxi che non si trovano (e costano tanto) e i rincari del trasporto pubblico, muoversi a Milano sta diventando impossibile.Riccardo Ruggeri: «È il Sessantotto dell'estremismo verde».Lo speciale contiene due articoli.Ormai la nomea di Milano come città-trappola zeppa di zone a traffico limitato, di aree a pagamento e telecamere spia pronte a spiccare sanzioni ha varcato i confini nazionali. Una ricerca sul web mostra che l’idea di venire in macchina a Milano ormai spaventa chi abita in provincia come chi vorrebbe farlo arrivando da altri Paesi. Se poi nulla si fa per tranquillizzare i cittadini sul fatto che il costo per l’accesso all’Area C, almeno per adesso, non aumenterà, e non diverrà entro breve a pagamento anche l’immensa Area B, quindi che non aumenterà nuovamente il costo dei biglietti per il trasporto pubblico, il detto «Milano con il cuore in mano» lascerà il posto a «Milano con la multa in mano», perché il record nazionale degli automobilisti più tartassati dalle gabelle punitive è saldamente dei meneghini.Sia chiaro: se, come pare, l’Area B non ha affatto portato i risultati attesi in fatto di diminuzione del numero di automezzi che arrivano ogni giorno in città, ci manca soltanto che si abbassi il limite di velocità a 30 all’ora e il capolavoro dell’immobilità sarà completo. Perché sotto sotto ci sono sempre la faccenda del «fare cassa» e quella della presunzione dei benpensanti sul fatto che chi abita a Milano non debba aver bisogno dell’automobile, come se un residente non possa pensare di fare gite nel weekend o andare a trovare parenti in montagna... Insomma si gioca sempre sul fatto che siccome un milione di automezzi entra in città dal lunedì al venerdì, e altri 60.000 o più orbitano nelle tangenziali, chi lo fa abitando fuori dall’Area B dovrebbe smettere di usare l’auto e chi abita all’interno neppure possederla. Se poi si considera che sono stati eliminati 100.000 parcheggi, ridotte le corsie di vie che dall’essere a scorrimento veloce sono diventate l’incubo di chi incrocia un autobus non stupisce come nella città metropolitana la velocità media nelle ore di punta non superi i 20 km/h, come rileva un reportage di Internazionale; fatto che rende i taxi molto costosi oltre che piuttosto rari, poiché di nuove licenze non se parla. E su tutto a essere maggiormente ignorata è la condizione dei residenti che subiscono senza appello sia l’invasione infrasettimanale dalle province attigue, sia i provvedimenti locali dei quali pagano le conseguenze con il portafogli senza però vedere alcun miglioramento. La giunta Sala è continuamente ambigua sul problema mobilità perché mischia secondo convenienza due faccende distinte: l’inquinamento da una parte e la congestione dall’altra. Ma poi, nel giorno in cui a San Siro suonano i Coldplay davanti a 60.000 persone, la metro chiude troppo presto. Nella settimana appena trascorsa è stato anche reso noto lo studio sulle abitudini degli automobilisti realizzato da Politecnico di Milano insieme con UnipolTech, eseguito analizzando le cosiddette scatole nere che la compagnia assicurativa propone di installare sui mezzi dei suoi clienti. Ebbene: la grande scoperta (dell’acqua calda) è stata che una vettura Euro 4 usata per poche ore la settimana, tipicamente come fanno le persone anziane per la spesa e il giro parenti-cimitero, inquina comunque meno di una Euro 6 che viaggi ogni giorno sul tragitto casa-ufficio, anche qualora percorra le tangenziali con velocità ottimistiche da quarta marcia. Allora c’è da chiedersi a che cosa serva davvero l’Area B se non a far cassa in un futuro ormai prossimo, ed anche quale sia lo scopo di tutta la manfrina del monte chilometri massimo assegnato con il sistema Move-In (comunque 50 euro il primo anno e 30 al rinnovo), che non distingue i giorni di limitazione da quelli liberi e scala comunque le percorrenze, finendo per essere, nella maggioranza dei casi, più limitante dell’aspettare le 19.30 e gli weekend per girare liberamente. La presunzione è quella di voler risolvere un problema locale senza considerare che tutto il traffico che transita da Torino a Trieste e viceversa lambisce il capoluogo lombardo a poca distanza da un’urbanistica monocentrica, poiché seppure definita metropoli, la sola città ha un diametro di circa dieci chilometri (anche meno) da qualsiasi parte la si misuri. Ci consoli il fatto che in Europa siamo in ottima compagnia: da Parigi centro all’aeroporto di LeBourget, che è in città, in una mattina infrasettimanale servono 55 minuti, la velocità media è 9 km/h e il costo di un taxi circa 80 euro. Eppure ce la vendono come esempio. E per demagogia, spesso ci confondono tra velocità media e velocità massima. Intanto a Milano di nuove tangenziali esterne non se ne parla più, i grandi tunnel per attraversarla da parte a parte sono fantascienza, così restano poche opzioni: esasperare gli automobilisti fino a rinunciare, distruggere la mobilità privata delle nuove generazioni – e ci stanno riuscendo, ci vogliono anni di stipendio per un’utilitaria a batterie - e sperare nei taxi, ma quelli volanti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/beppe-sala-traffico-milano-disagi-2662121492.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-il-sessantotto-dellestremismo-verde-ai-nipoti-dico-lontani-dagli-eco-invasati" data-post-id="2662121492" data-published-at="1688205473" data-use-pagination="False"> È il Sessantotto dell’estremismo verde. Ai nipoti dico: lontani dagli eco invasati Noi cittadini comuni siamo nuovamente minacciati da bande di muscadins-ztl che imbrattano il nostro vivere civile in nome di una loro ideologia malata (cancel&woke). Nati al tempo della Rivoluzione francese, hanno assunto via via nomi diversi a seconda della loro collocazione politica (destra, sinistra, centro, nulla cambia, sempre birbanti sono): jeunesse dorée, incroyable e merveilleuses, sessantottini, centri sociali versione comunista o fascista, e ora muscadins-ztl. Nessun colloquio è possibile con chi protesta imbrattando di minestrone (sic!) il quadro Seminatore al tramonto di Vincent Van Gogh o non permette di andare al lavoro a chi se non lavora non mangia, o non fa parlare chi scrive libri. Il tutto ripetendo pappagallescamente frasi fatte, scritte dai soliti perdigiorno colti, in versione cattivi maestri. Mi rifiuto di pensare che l’Occidente, caduto così in basso con i muscadins-ztl, non sappia rialzarsi. Contro costoro ho trovato un vaccino: scoprire storie di giovani benestanti come loro, che però usano la ricchezza in modo diverso. Per esempio, una storia etiope-romana: Babajé (Gremise Editore) di Francesco Romagnoli. È l’autobiografia di un commercialista romano di famiglia agiata, che ha il privilegio a un certo punto di non trovare più piacere nella sua vita piena di lussi. Nell’anno 2000, dopo un viaggio turistico nel Corno d’Africa, fa «l’incontro della vita», quello con i cosiddetti «bambini invisibili». L’impatto è per lui (meravigliosamente) devastante, al punto che decide di trasferirsi in un remoto villaggio del Nord dell’Etiopia, dedicandosi a loro. Da quel momento i bimbi lo chiamano Babajé, cioè papà mio. Questi «bambini invisibili» li ho conosciuti anch’io, li conosciamo in tanti, da sempre, viaggiando, leggendo, vedendo documentari. Sono quelli scheletrici e con la pancia gonfia, con le mosche che banchettano sui loro occhi, vestiti di stracci. Molti in Occidente li usano per cercare donazioni (orrore markettaro!). Li abbiamo visti con le madri che offrono loro un seno avvizzito, vuoto per denutrizione. Sono bebè che muoiono mentre cercano di succhiare una vita che pare non esserci più. Molti muoiono in uno dei più bei paesaggi che io abbia mai visto, l’Etiopia, tanto bella quanto devastata da infinite guerre, spesso esportate da noi occidentali. Sotto un cielo che in molte notti è una preziosa trapunta di stelle, di un blu talmente intenso che solo Jan Vermeer è riuscito a ricrearlo sulla tela, miscelando poesia e pregiati lapislazzuli. Un libro meraviglioso. Babajé Francesco con il suo patrimonio, con quello dei suoi genitori e dei suoi amici ha costruito un villaggio modello, con scuole, ospedale, pronto soccorso, campi, stalle, ma anche piccole attività imprenditoriali, per dare lavoro e futuro alla comunità. Il racconto è struggente ed emozionante, devi leggerlo di un fiato, fino a esserne stremato. Felice. Babajé Francesco si rivela un fior di scrittore, e come ogni grande libro, che ha al centro la generosità, c’è una frase che lo connota: «Il tempo non va risparmiato, piuttosto va speso con parsimonia, perché è la ricchezza più grande che abbiamo». Confesso che provo tristezza e pena verso le nostre classi dominanti, genitori o nonni, che hanno allevato questi poveri ignoranti (nel senso che ignorano le cose più elementari della vita). Sembrano essere stati allevati in un germogliatore, che ha subito un black out durante il processo. Giovani-vecchi pieni di cattive abitudini, di contraddizioni, gonfi di rabbia sul nulla, seguaci di credenze assurde e assolute, odiatori della bellezza e della cultura. Eppure questi ragazzi un giorno andranno al potere. Com’è successo con i sessantottini, che ormai a fine ciclo stanno consuntivando solo fallimenti, dandosi la colpa gli uni con gli altri. Che fossero degli arroganti inetti lo si vedeva già allora. Nel libro Una Storia Operaia 1934-2022 racconto una delle peggiori umiliazioni della mia vita. Un gruppo di giovani universitari alto borghesi (alcuni futuri assassini di Potere Operaio) che spingono con violenza giovani operai come me della Grandi Motori in cortei diretti ai Palazzi del Potere torinese, dove dentro c’erano i loro (loschi) padri o nonni. Vorrei che i miei nipoti non rivivessero quei tristi tempi. Zafferano.news
Ansa
Il gip respinge la richiesta della Procura: «Quelle esistenti sono rigorose». Archiviazione vicina per Lenoci.
Ansa
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- Valerio Daprà e Marco Piffari erano i veterani, Davide Bernardello il più giovane.
Lo speciale contiene tre articoli
Leone XIV e Sergio Mattarella (Ansa)
Ieri la visita ufficiale al Quirinale del Pontefice. Al centro dei colloqui la pace e la giustizia. Prevost ribadisce: «Vita da rispettare dal concepimento alla morte».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)
Dopo aver fatto il «piacione» a Sharm, il presidente americano rinnova la stima verso il premier italiano e invita gli americani a leggere «Io sono Giorgia». Lei ringrazia: «Molto gentile, amico mio».