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2023-08-18
Benzina su per 17 giorni consecutivi. Nuovo record estivo a 2,019 euro
Pare non esserci più fine alla corsa al rialzo dei prezzi dei carburanti. Secondo i dati diffusi dall’aggiornamento quotidiano del ministero delle Imprese e del made in Italy, la giornata di ieri ha fatto registrare il diciassettesimo aumento consecutivo nella rete autostradale. Il prezzo medio della benzina, per il self service, è salito infatti a 2,019 euro al litro, mentre quello del gasolio è aumentato fino a 1,928. Stabili, seppure alti, i prezzi del Gpl e del metano per il servito, rispettivamente a 0,842 e 1,528 euro al litro. Una situazione ai limiti del sostenibile, per la quale la Guardia di finanza ha intensificato i controlli per fare in modo che le norme sulla trasparenza dei prezzi vengano rispettate. Sempre secondo i dati diffusi dal Mimit, nei primi 15 giorni di agosto sono stati eseguiti 1.230 interventi, che hanno portato a scoprire 789 violazioni, di cui 363 per mancata esposizione dei prezzi e 426 per inosservanza degli obblighi di comunicazione all’osservatorio dei prezzi sul carburante. Il problema, però, è che questa pur meritoria attività sia un po’ come fermare il vento con le mani, se è vero che nulla è riuscito ad arrestare la corsa al rialzo.
Tanto che, prevedibilmente, la questione è divenuta da economica a politica, dopo i ripetuti interventi del ministro Adolfo Urso, cui sono seguite reazioni polemiche dell’opposizione e di sostegno della maggioranza. Mercoledì Urso era intervenuto una prima volta con una nota siglata dal suo ministero, nel tentativo di spiegare che «il prezzo industriale della benzina, depurato dalle accise, è inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come Francia, Spagna e Germania» e che «è falso quanto affermano alcuni esponenti politici che il prezzo di benzina e gasolio sia fuori controllo, anzi vero il contrario: l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi europei». Parole che hanno innescato l’immediata reazione polemica di tutti i partiti dell’opposizione, i quali hanno battuto proprio sul tasto delle accise, incalzando l’esecutivo di ripristinare il taglio delle stesse, deciso dal governo Draghi, confermato dal governo Meloni per poi essere sospeso nell’ultima legge di Bilancio per dare priorità ad altri interventi. E ieri Urso è intervenuto una seconda volta, sempre per difendere il suo operato e quello dell’intero esecutivo e rivendicare l’efficacia delle norme sulla trasparenza e dei controlli. «Ci hanno mandato la foto di un distributore», ha detto, «che vendeva la benzina a 2,7 euro al litro e noi abbiamo mandato la Guardia di finanza. Questo dimostra che il cartello con il prezzo medio dei carburanti che i distributori devono esporre dallo scorso primo agosto funziona. I prezzi», ha proseguito, «sono saliti meno di quanto avvenuto alla fonte. E se si tolgono le accise», ha ribadito, «si vede che il prezzo industriale dei carburanti in Italia è inferiore a quello di Francia, Germania e Spagna».
Prevedibilmente, anche il secondo intervento del ministro ha rinfocolato la polemica politica agostana che si sta concentrando, per la verità, sul caro prezzi in generale, ivi compresi settori come la ristorazione, l’alberghiero o il balneare, oltre ovviamente ai voli. Il responsabile economia del Pd, Antonio Misiani, chiede al governo «atti concreti», alludendo all’implementazione di una serie di norme messe in cantiere negli scorsi mesi, come «l’app pubblica che era prevista dal decreto Trasparenza per informare gli italiani sull’andamento dei prezzi» o «la norma sull’accisa mobile prevista che dovrebbe scattare in caso di aumenti sopra determinate soglie per contenere i prezzi dei carburanti». Per i pentastellati ha parlato il senatore Stefano Patuanelli, che in passato si è seduto sulla stessa poltrona di Urso e rinfaccia all’esecutivo di aver «perfino eliminato gli sconti sulle accise decisi dai governi che l’hanno preceduto», mentre dal fronte Terzo polo Matteo Richetti chiede al premier Giorgia Meloni di «intervenire con un provvedimento urgente».
Nel perimetro della maggioranza si fa quadrato attorno a Urso: il presidente della commissione Lavoro del Senato, Francesco Zaffini (di Fdi), ha controbattuto all’opposizione che «le accise sulla benzina servono per tagliare il cuneo fiscale a favore dei salari più bassi e a sostenere le famiglie bisognose», e il leader di Noi moderati Maurizio Lupi sprona l’esecutivo a proseguire sulla strada del «sostegno a famiglie e imprese». Nel dibattito si sono inserite anche le associazioni dei consumatori: per Federcontribuenti «il prezzo della benzina potrebbe essere ridotto di 20 centesimi al litro senza nessuna conseguenza negativa sulle casse dello Stato», aggiungendo che serve «una risposta seria e concreta mettendo per fermare questo tsunami», mentre Assoutenti fa notare che «l’aumento degli ultimi giorni si verifica nonostante il calo del petrolio, le cui quotazioni sono scese sia per il Brent che per il Wti».
Firme taroccate sul salario minimo
Quando si parla di «grande partecipazione» o di «successo popolare», bisogna sempre essere cauti, perché dietro l’angolo della retorica può nascondersi il più classico dei boomerang. Così pare essere per la sinistra con la tanto sbandierata petizione per l’introduzione del salario minimo nel nostro Paese, che fa da sponda alla proposta di legge presentata qualche settimana fa in Parlamento da tutti i partiti dell’opposizione, eccezion fatta per Italia viva. Ebbene, come ha fatto notare il quotidiano Libero, la procedura per apporre una firma online alla petizione stessa è abbastanza «allegra», poiché sostanzialmente priva di alcun controllo degno di questo nome sull’identità dei firmatari.
La cosa sarebbe talmente all’acqua di rose che non solo si può mettere un nome falso, ma addirittura un nome di fantasia, come per esempio quello di un supereroe dei fumetti o di un personaggio storico. E dallo stesso indirizzo mail la petizione può essere sottoscritta quante volte si vuole. Così è consentito a ciascuno di votare più di una volta, incrementando in maniera esponenziale i numeri della petizione stessa.
Negli ultimi giorni, molti esponenti dei partiti promotori della raccolta di firme hanno diffuso più di un comunicato nel quale si aggiornava il conto trionfale delle adesioni: 100.000 dopo il primo giorno, più di 200.000 ieri. Il più attivo al pallottoliere è senz’altro il duumviro dell’Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli, che dopo aver suonato la grancassa a quota 100.000 l’ha suonata una seconda volta: «Siamo tra i pochi Paesi in Europa che non applicano il salario minimo», ha detto, «per questo continua la nostra mobilitazione con più di 240.000 firme raccolte dalle opposizioni». Intuendo forse la mala parata sulla raccolta online, i grillini sudtirolesi hanno voluto mettere in rilievo il fatto che loro hanno approntato dei banchetti, dove l’inganno è sempre possibile ma in presenza appare molto più arduo.
E di inganno parlano a gran voce i parlamentari della maggioranza, soprattutto quelli di Fdi, accusati dall’opposizione di voler affossare la loro proposta di legge: dal capogruppo alla Camera Tommaso Foti arriva un’accusa sull’aspetto politico: per Foti «nella proposta dell’opposizione c’è la truffa: si firma per il salario minimo “subito” ma c’è scritto che va in vigore il 15 novembre del 2024. E non è finanziato, perché sono previsti benefici a favore delle imprese ma si demanda alla legge di bilancio di reperirne i fondi. Tutto subito», aggiunge Foti, «è un retaggio del ‘68 dei comunisti mal maturi. Noi», prosegue, «agiremo più in fretta dell’opposizione, vogliamo una soluzione che preveda il salario minimo attraverso l’estensione dei contratti in essere anche a quelli pirata e sui salari troppo bassi vanno rinnovati i contratti collettivi alla scadenza». Il capogruppo in commissione Lavoro alla Camera, Marta Schifone, di Fdi, stuzzica l’opposizione sulla vicenda delle firme farlocche, parlando di uno «psicodramma»: «Il tanto sbandierato successo della petizione », afferma, «è una fake news. Chiedono agli italiani in buona fede di firmare per il salario minimo, ma il sistema di raccolta delle firme non verifica nulla; tanto che tra i firmatari risultano anche Stalin, Sbirulino e l’Ape Maia. Per non parlare della proposta di legge che abbiamo smontato pezzo per pezzo: dall’esclusione dall’ambito di applicazione del lavoro domestico, alla improbabile richiesta di coperture al governo per finanziare i benefici da accordare alle imprese; fino alla più grave “dimenticanza” che si scrive salario minimo “subito” e si legge 15 novembre 2024».
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Aumenta anche il diesel. Adolfo Urso difende il decreto Trasparenza mentre Pd e 5 stelle attaccano il governo chiedendo sconti sulle accise. Fdi fa quadrato intorno al ministro: «Servono a tagliare il cuneo fiscale».Firme taroccate sul salario minimo: l’opposizione si vanta di aver superato le 240.000 adesioni alla propria petizione. Ma il sistema non blocca partecipazioni multiple con la stessa mail e identità false.Lo speciale contiene due articoli.Pare non esserci più fine alla corsa al rialzo dei prezzi dei carburanti. Secondo i dati diffusi dall’aggiornamento quotidiano del ministero delle Imprese e del made in Italy, la giornata di ieri ha fatto registrare il diciassettesimo aumento consecutivo nella rete autostradale. Il prezzo medio della benzina, per il self service, è salito infatti a 2,019 euro al litro, mentre quello del gasolio è aumentato fino a 1,928. Stabili, seppure alti, i prezzi del Gpl e del metano per il servito, rispettivamente a 0,842 e 1,528 euro al litro. Una situazione ai limiti del sostenibile, per la quale la Guardia di finanza ha intensificato i controlli per fare in modo che le norme sulla trasparenza dei prezzi vengano rispettate. Sempre secondo i dati diffusi dal Mimit, nei primi 15 giorni di agosto sono stati eseguiti 1.230 interventi, che hanno portato a scoprire 789 violazioni, di cui 363 per mancata esposizione dei prezzi e 426 per inosservanza degli obblighi di comunicazione all’osservatorio dei prezzi sul carburante. Il problema, però, è che questa pur meritoria attività sia un po’ come fermare il vento con le mani, se è vero che nulla è riuscito ad arrestare la corsa al rialzo.Tanto che, prevedibilmente, la questione è divenuta da economica a politica, dopo i ripetuti interventi del ministro Adolfo Urso, cui sono seguite reazioni polemiche dell’opposizione e di sostegno della maggioranza. Mercoledì Urso era intervenuto una prima volta con una nota siglata dal suo ministero, nel tentativo di spiegare che «il prezzo industriale della benzina, depurato dalle accise, è inferiore rispetto ad altri Paesi europei, come Francia, Spagna e Germania» e che «è falso quanto affermano alcuni esponenti politici che il prezzo di benzina e gasolio sia fuori controllo, anzi vero il contrario: l’Italia ha fatto meglio di altri Paesi europei». Parole che hanno innescato l’immediata reazione polemica di tutti i partiti dell’opposizione, i quali hanno battuto proprio sul tasto delle accise, incalzando l’esecutivo di ripristinare il taglio delle stesse, deciso dal governo Draghi, confermato dal governo Meloni per poi essere sospeso nell’ultima legge di Bilancio per dare priorità ad altri interventi. E ieri Urso è intervenuto una seconda volta, sempre per difendere il suo operato e quello dell’intero esecutivo e rivendicare l’efficacia delle norme sulla trasparenza e dei controlli. «Ci hanno mandato la foto di un distributore», ha detto, «che vendeva la benzina a 2,7 euro al litro e noi abbiamo mandato la Guardia di finanza. Questo dimostra che il cartello con il prezzo medio dei carburanti che i distributori devono esporre dallo scorso primo agosto funziona. I prezzi», ha proseguito, «sono saliti meno di quanto avvenuto alla fonte. E se si tolgono le accise», ha ribadito, «si vede che il prezzo industriale dei carburanti in Italia è inferiore a quello di Francia, Germania e Spagna».Prevedibilmente, anche il secondo intervento del ministro ha rinfocolato la polemica politica agostana che si sta concentrando, per la verità, sul caro prezzi in generale, ivi compresi settori come la ristorazione, l’alberghiero o il balneare, oltre ovviamente ai voli. Il responsabile economia del Pd, Antonio Misiani, chiede al governo «atti concreti», alludendo all’implementazione di una serie di norme messe in cantiere negli scorsi mesi, come «l’app pubblica che era prevista dal decreto Trasparenza per informare gli italiani sull’andamento dei prezzi» o «la norma sull’accisa mobile prevista che dovrebbe scattare in caso di aumenti sopra determinate soglie per contenere i prezzi dei carburanti». Per i pentastellati ha parlato il senatore Stefano Patuanelli, che in passato si è seduto sulla stessa poltrona di Urso e rinfaccia all’esecutivo di aver «perfino eliminato gli sconti sulle accise decisi dai governi che l’hanno preceduto», mentre dal fronte Terzo polo Matteo Richetti chiede al premier Giorgia Meloni di «intervenire con un provvedimento urgente».Nel perimetro della maggioranza si fa quadrato attorno a Urso: il presidente della commissione Lavoro del Senato, Francesco Zaffini (di Fdi), ha controbattuto all’opposizione che «le accise sulla benzina servono per tagliare il cuneo fiscale a favore dei salari più bassi e a sostenere le famiglie bisognose», e il leader di Noi moderati Maurizio Lupi sprona l’esecutivo a proseguire sulla strada del «sostegno a famiglie e imprese». Nel dibattito si sono inserite anche le associazioni dei consumatori: per Federcontribuenti «il prezzo della benzina potrebbe essere ridotto di 20 centesimi al litro senza nessuna conseguenza negativa sulle casse dello Stato», aggiungendo che serve «una risposta seria e concreta mettendo per fermare questo tsunami», mentre Assoutenti fa notare che «l’aumento degli ultimi giorni si verifica nonostante il calo del petrolio, le cui quotazioni sono scese sia per il Brent che per il Wti».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/benzina-su-per-17-giorni-2664045402.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="firme-taroccate-sul-salario-minimo" data-post-id="2664045402" data-published-at="1692360188" data-use-pagination="False"> Firme taroccate sul salario minimo Quando si parla di «grande partecipazione» o di «successo popolare», bisogna sempre essere cauti, perché dietro l’angolo della retorica può nascondersi il più classico dei boomerang. Così pare essere per la sinistra con la tanto sbandierata petizione per l’introduzione del salario minimo nel nostro Paese, che fa da sponda alla proposta di legge presentata qualche settimana fa in Parlamento da tutti i partiti dell’opposizione, eccezion fatta per Italia viva. Ebbene, come ha fatto notare il quotidiano Libero, la procedura per apporre una firma online alla petizione stessa è abbastanza «allegra», poiché sostanzialmente priva di alcun controllo degno di questo nome sull’identità dei firmatari. La cosa sarebbe talmente all’acqua di rose che non solo si può mettere un nome falso, ma addirittura un nome di fantasia, come per esempio quello di un supereroe dei fumetti o di un personaggio storico. E dallo stesso indirizzo mail la petizione può essere sottoscritta quante volte si vuole. Così è consentito a ciascuno di votare più di una volta, incrementando in maniera esponenziale i numeri della petizione stessa. Negli ultimi giorni, molti esponenti dei partiti promotori della raccolta di firme hanno diffuso più di un comunicato nel quale si aggiornava il conto trionfale delle adesioni: 100.000 dopo il primo giorno, più di 200.000 ieri. Il più attivo al pallottoliere è senz’altro il duumviro dell’Alleanza Verdi-Sinistra Angelo Bonelli, che dopo aver suonato la grancassa a quota 100.000 l’ha suonata una seconda volta: «Siamo tra i pochi Paesi in Europa che non applicano il salario minimo», ha detto, «per questo continua la nostra mobilitazione con più di 240.000 firme raccolte dalle opposizioni». Intuendo forse la mala parata sulla raccolta online, i grillini sudtirolesi hanno voluto mettere in rilievo il fatto che loro hanno approntato dei banchetti, dove l’inganno è sempre possibile ma in presenza appare molto più arduo. E di inganno parlano a gran voce i parlamentari della maggioranza, soprattutto quelli di Fdi, accusati dall’opposizione di voler affossare la loro proposta di legge: dal capogruppo alla Camera Tommaso Foti arriva un’accusa sull’aspetto politico: per Foti «nella proposta dell’opposizione c’è la truffa: si firma per il salario minimo “subito” ma c’è scritto che va in vigore il 15 novembre del 2024. E non è finanziato, perché sono previsti benefici a favore delle imprese ma si demanda alla legge di bilancio di reperirne i fondi. Tutto subito», aggiunge Foti, «è un retaggio del ‘68 dei comunisti mal maturi. Noi», prosegue, «agiremo più in fretta dell’opposizione, vogliamo una soluzione che preveda il salario minimo attraverso l’estensione dei contratti in essere anche a quelli pirata e sui salari troppo bassi vanno rinnovati i contratti collettivi alla scadenza». Il capogruppo in commissione Lavoro alla Camera, Marta Schifone, di Fdi, stuzzica l’opposizione sulla vicenda delle firme farlocche, parlando di uno «psicodramma»: «Il tanto sbandierato successo della petizione », afferma, «è una fake news. Chiedono agli italiani in buona fede di firmare per il salario minimo, ma il sistema di raccolta delle firme non verifica nulla; tanto che tra i firmatari risultano anche Stalin, Sbirulino e l’Ape Maia. Per non parlare della proposta di legge che abbiamo smontato pezzo per pezzo: dall’esclusione dall’ambito di applicazione del lavoro domestico, alla improbabile richiesta di coperture al governo per finanziare i benefici da accordare alle imprese; fino alla più grave “dimenticanza” che si scrive salario minimo “subito” e si legge 15 novembre 2024».
Il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, risponde al Maestro Riccardo Muti e si impegna a lavorare con il ministero degli Esteri per avviare contatti ai più alti livelli con la Francia per riportare a Firenze le spoglie del grande compositore Cherubini.
Michele Emiliano (Ansa)
Fino ad oggi, però, nessun risultato. Forse la comunicazione non è stata così «forte» come fu la lettera che proprio l’allora governatore dem inviò a tutti i dirigenti e dipendenti della Regione, delle sue agenzie e società partecipate, invitandoli a interrompere i rapporti con il governo di Netanyahu «a causa del genocidio di inermi palestinesi e con tutti quei soggetti ad esso riconducibili che non siano apertamente e dichiaratamente motivati dalla volontà di organizzare iniziative per far cessare il massacro nella Striscia di Gaza».
Ora, dopo l’addio di Emiliano e l’arrivo del neo governatore Antonio Decaro, gli sprechi non sarebbero stati eliminati dalle sette società nel mirino, parzialmente o interamente controllate dalla Regione Puglia: Acquedotto spa, InnovaPuglia, Aeroporti di Puglia, Puglia valore immobiliare, Terme di Santa Cesarea, Puglia sviluppo e Aseco. Infatti, secondo il report approdato in giunta regionale nel corso dell’ultima seduta, è stato evidenziato che non c’è stata riduzione di spesa di funzionamento in nessuna di queste, anzi in tre hanno addirittura superato i limiti per consulenze (Puglia sviluppo, Acquedotto e Terme di Santa Cesarea), mentre il dato peggiore è sulle spese di acquisto, manutenzione, noleggio delle auto o di acquisto di buoni taxi. Quattro società non hanno comunicato alcun dato, mentre Aeroporti ha certificato lo sforamento. Nel dettaglio, Acquedotto pugliese, anziché contenere le spese di funzionamento, le ha incrementate di 17 milioni di euro rispetto al 2024. La giustificazione? Il maggior costo del personale «riconducibile al rinnovo del contratto collettivo nazionale», ma pure «l’incremento delle risorse in forza alla società, spese legali, assicurazioni, convegni, pubblicità e marketing, buoni pasto, costi postali non ribaltabili all’utenza nell’ambito della tariffa del Servizio idrico integrato».
Per quanto riguarda le consulenze, invece, Aqp sostiene che, essendo entrati i Comuni nell’assetto societario, nella fase di trasformazione sono stati necessari 639.000 euro per le consulenze.
Aeroporti di Puglia attribuisce l’aumento di spese all’organizzazione del G7, anche se l’incremento dell’8,44%, secondo la società, «è comunque inferiore all’aumento del traffico registrato nel 2024 rispetto al 2023 (+10,51%) e quindi dei ricavi. Spese superate, alla faccia del risparmio, anche per auto e taxi: 120.000 euro in più. Costi lievitati anche per InnovaPuglia, la controllata che si occupa di programmazione strategica a sostegno dell’innovazione: 12 milioni di euro nel 2024 a fronte dei 7 milioni del 2023, passando, in termini percentuali sul valore della produzione, dal 18,21% al 43,68%. Di Aseco, la società in house controllata da Aqp e Ager che si occupa di smaltimento di fanghi e frazione organica dei rifiuti urbani, non si hanno dati aggiornati al punto che è stata sollecitata dalla stessa Regione a comunicarli.
Insomma, secondo la Regione, se aumentano i costi vanno ridotti i servizi poiché il Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica prevede quella di contenere le spese di funzionamento individuando specifici obiettivi di spesa come quelli per il personale e quelli per consulenze, studi e ricerche. E la stessa Regione, che ha potere di vigilanza e di controllo, dove accerta «il mancato e ingiustificato raggiungimento degli obiettivi di contenimento della spesa» può «revocare gli incarichi degli organi di direzione, amministrazione e controllo nominati nelle società». La palla passa a Decaro.
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