2020-07-18
Benetton piange, ma intasca 12,5 miliardi
Il gruppo descrive l'operazione come un esproprio, i grillini si vantano di averli presi a schiaffi. La realtà però è che l'azienda ha fatto un affare. E forse, alla fine, sarebbe stato meglio revocare subito la concessione e far scattare la buonuscita da 23 miliardi.Su Autostrade i giornali filogovernativi si sono bevuti tutte le balle del governo. Ma a distanza di due giorni, la polvere sollevata da Palazzo Chigi sta cominciando a depositarsi e dunque è possibile veder meglio che cosa sia successo e quali siano i vincitori e i perdenti.Cominciamo con il mettere in fila alcuni numeri. Dopo il crollo del ponte Morandi, Giuseppe Conte aveva minacciato «la caducazione della concessione», cioè di togliere la gestione della rete autostradale alla famiglia Benetton. I magliai veneti a questo punto avevano replicato che, da contratto, una simile decisione avrebbe fatto scattare una buonuscita da 23 miliardi, assicurando al gruppo di Ponzano una plusvalenza stellare. Per tutta risposta, l'esecutivo aveva deciso di modificare per legge la penale prevista dal contratto, inserendo nel decreto Milleproroghe un articolo che di fatto faceva scendere di oltre due terzi la liquidazione: 7 miliardi invece di 23. Certo, si può discutere della legittimità di un provvedimento che modifica a posteriori le clausole, ma la via imboccata dal governo era quella e sulla base dei 7 miliardi - che già sono una cifra mostruosa - è stata intavolata la trattativa. Ora andiamo a vedere che cosa alla fine porteranno a casa i Benetton. Cominciamo col dire che l'operazione messa a punto da quei cervelloni del ministro dell'Economia e del presidente del Consiglio prevede un passaggio di mano, dalla famiglia veneta allo Stato, in più mosse. Si comincia con un aumento di capitale riservato a Cassa depositi e prestiti del valore di oltre 3 miliardi, che consentirà a Cdp, cioè alla società che investe il risparmio postale, di diventare azionista di Autostrade con il 33 per cento. I Benetton, a questo punto, potranno vendere a investitori graditi a Cassa depositi e prestiti il 22 per cento della società e, calcolando un valore di circa 9 miliardi, si può supporre che il valore oscilli intorno ai 2 miliardi o poco meno. Soldi che verrebbero intascati da Atlantia, ossia dal gruppo veneto. Sostenere che nemmeno un euro andrà nelle tasche dei magliai di Ponzano è dunque una balla. Non è finita. Dopo l'ingresso di Cdp e la vendita del 22 per cento, rimane un 37 per cento nelle mani di Atlantia, che la holding dovrebbe girare direttamente ai suoi azionisti. Visto che i Benetton detengono circa il 30 per cento, alla fine si troveranno direttamente in mano l'11 per cento di Autostrade, che, quando la società sarà collocata in Borsa come da piano del governo, potrà essere venduta direttamente al mercato e, considerando come detto un valore intorno ai 9 miliardi, per il gruppo veneto significa portarsi a casa un altro miliardino. Al momento dunque, per quello che Luciano Benetton ha definito, per poi smentirlo, un esproprio, a Ponzano si mettono in tasca 3 miliardi. Attenzione però, non è tutto qui. Già, perché separando i destini di Atlantia e Autostrade, si separa anche il debito, nel senso che questo segue la società che gestisce la rete e non la holding. All'incirca stiamo parlando di 9,5 miliardi, 5 dei quali erano direttamente garantiti da Atlantia che così si trova più leggera e con 3 miliardi tondi tondi. Già così, il vantaggio per gli «espropriati» assomma a 12,5 miliardi, che è un bel modo di farsi risarcire per essere presi a schiaffi (copyright di Alessandro Di Battista). Ma poi c'è da tener presente che Aspi, se vorrà mettere in sicurezza la rete autostradale, dovrà sostituirsi ai Benetton, cioè investire i 14,5 miliardi previsti nei prossimi anni. Dunque, tradotto in soldoni, con la nazionalizzazione lo Stato e i nuovi azionisti che subentreranno si faranno carico di 9,5 miliardi di debiti, 14,5 di opere di manutenzione e 3 miliardi da regalare ai Benetton. Totale: 27 miliardi. Certo, non vanno tutti alla famiglia veneta, ma quasi quasi conveniva mettersi d'accordo sui 23 richiesti e si risparmiava anche qualche cosa.Di sicuro, un risparmio i Benetton lo hanno già fatto. A prescindere dai destini giudiziari di natura penale che riguardano i manager di Autostrade, Atlantia, separandosi da Aspi, non deve temere ricadute di alcun tipo in termini di responsabilità aziendale e di risarcimenti. D'ora in poi, grazie a Roberto Gualtieri e a Giuseppe Conte, di queste cose si farà carico la nuova gestione.Ultimo punto: visto che i nomi dei partner che circolano per la nazionalizzazione sono fondi d'investimento, i quali hanno come missione l'acquisto di quote azionarie che rendono, meglio scordarsi la riduzione delle tariffe autostradali. Tagliando i pedaggi non ci sarebbe spazio per distribuire i dividenti e investire 14,5 miliardi in sicurezza. A meno di non fare altro debito. È vero che in questo la maggioranza giallorossa è rodata, prova ne sia l'ultimo bollettino di Banca d'Italia in cui l'esposizione dell'Italia ha toccato il record, ma Autostrade sarà quotata e rischia di finire nel listino dei titoli spazzatura. Dunque, dopo la maxi balla dell'esproprio, siamo alla maxi balla delle tariffe. Un governo che va di balla in balla.