
Il controverso collaboratore di Emmanuel Macron si difende atteggiandosi a parvenu colpito per invidia dai colleghi. Del presidente dice: «Ha carisma. Con lui ci si sente subito a proprio agio». Poi si fa scappare una notizia sul video che lo ha incriminato.«Hanno cercato di uccidermi», dice Alexandre Benalla. Professionalmente, si intende. Ma in questa storia di detti e non detti, di sottintesi e spifferi, sarebbe meglio cominciare a lasciare da parte gli artifici retorici. Il controverso collaboratore di Emmanuel Macron per la prima volta dà la sua versione dei fatti parlando a Le Monde in un'intervista. Per farla breve, è stato tutto un complotto, secondo lui: volevano farlo fuori. E con lui, anche e soprattutto il suo mentore, il presidente della Repubblica. Benalla sta in realtà regolando i conti con le strutture ufficiali incaricate della protezione dell'inquilino dell'Eliseo. A sentir lui, è tutta una questione di gelosie professionali contro il parvenu della situazione. «Perché un ragazzo di 25 anni, che non ha fatto l'Ena (la scuola dell'alta amministrazione francese, ndr), che non è sottoprefetto - sono il solo di tutta la squadra a non esserlo, sono l'extraterrestre della banda - e che, in più, dice le cose in faccia in un luogo in cui regnano i non detti, evidentemente suscita rancori». Il raccomandato, l'arrogante cocco del presidente improvvisamente si atteggia a vittima, secondo la più classica delle strategie mediatiche. È un argomento, tuttavia, che conferma più dubbi di quanti non ne diradi: come ha fatto quel ragazzo di 25 anni, che non ha fatto l'Ena etc etc ad arrivare lì? Benalla ricostruisce gli esordi della sua carriera in modo piuttosto scolastico. Solo quando parla di lui, di Macron, il tono sembra cambiare sensibilmente. Il suo approccio iniziale con l'allora candidato di En marche? «Molto amichevole. Amichevole nel senso largo del termine. Macron è uno che dà facilmente confidenza, che ha un carisma. Con lui, ci si sente subito a proprio agio. Ho incontrato non pochi idioti in politica, ma con lui emerge qualcos'altro. Io gli ho sempre dato del voi, è il presidente della Repubblica, niente familiarità tra noi. Lui mi dà del tu o del voi, dipende dalla situazione». Il tema del rapporto personale tra il presidente e il suo collaboratore è importante su almeno due differenti livelli. Il primo è quello della eventuale «polizia parallela» (Marine Le Pen dixit) che Macron avrebbe installato all'Eliseo: un cerchio magico di persone di sua personale fiducia, con poteri smisurati e al di fuori di ogni controllo, con tutto quel che ne consegue anche in termini di rischi per la sicurezza nazionale. Il secondo è più torbido e ha a che fare con quello spiffero pruriginoso, privo di alcun riscontro, ma, evidentemente, abbastanza pervasivo da costringere l'inquilino dell'Eliseo a una pubblica smentita, per quanto ironicamente iperbolica: «Benalla non è il mio amante e non ha i codici nucleari». Non è la prima volta che Macron prende in contropiede il gossip velenoso: nel febbraio del 2017, in un discorso improvvisato al teatro Bobino, a Parigi, aveva evocato egli stesso «la mia doppia vita con Mathieu Gallet», ironizzando sui rumors di una sua relazione con il presidente di Radio France. Anche allora, aveva reagito alle malignità rilanciando e dicendo per primo ciò che nessuno osava dire ad alta voce, ma tutti avevano già sentito sussurrare. Qualche giorno fa, per dire, sui social francesi è circolato un finto screenshot di Le Monde in cui a Benalla veniva attribuito questo virgolettato: «Manu e io siamo più che amici». Articolo e relativa dichiarazione, ovviamente, non sono mai esistiti, ma nella bufala è caduta persino Nadine Morano, eurodeputata repubblicana ed ex ministro, che l'ha rilanciata mettendoci del suo: «Ecco perché Benalla beneficia di tali privilegi e di tale protezione».Tornando all'intervista, va segnalato come non manchi qualche scivolone, come quando, parlando del ministro dell'Interno Gérard Collomb, che ha dichiarato di non conoscerlo, Benalla spiega che «in alcuni casi mi dà del tu» e che «posso incontrarlo due, tre, quattro volte a settimana». O, peggio, come quando ha detto di aver ricevuto sotto banco dalla prefettura di Parigi un video della sua aggressione ai due manifestanti del Primo maggio e di averlo trasmesso all'Eliseo, il quale avrebbe, secondo lui, «tentato di diffonderlo e di fornirlo a delle persone per mostrare la realtà dei fatti». Il che significa che la presidenza della Repubblica avrebbe cercato di promuovere mediaticamente una propria versione dei fatti, al di fuori di ogni procedura ufficiale. Nel frattempo, Macron ha parlato per la prima volta pubblicamente della vicenda (le altre dichiarazioni erano state fatte davanti ai parlamentari della maggioranza). Dai Pirenei, ha ironizzato sul «calore e la fatica che, a Parigi, danno alla testa». Ci sono state, ha aggiunto, «reazioni sproporzionate» rispetto a quella che resta la vicenda di un solo uomo «che io sono fiero di aver assunto all'Eliseo, perché era una persona devota e con un percorso differente. Lui ha fatto molte buone cose all'Eliseo. E ha fatto un errore. Reale. Grave. Io l'ho vissuto come un tradimento e gliel'ho detto». Cose che capitano, in un rapporto di amicizia. Nel senso largo del termine.
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