2021-06-13
«Bella Ciao», l’inno alla paura della sinistra
I progetti di unità del centrodestra e il nuovo clima politico terrorizzano i «compagni», che prosperano solo se c'è conflitto sociale. Non esistono ragioni storiche per affiancare a «Fratelli d'Italia» un finto canto partigiano a 76 anni dalla caduta del fascismo.I grandi media italiani sono inquieti. I progetti unitari di Silvio Berlusconi e Matteo Salvini (comunque continuino e si evolvano), hanno già svelato, per ora, la grande paura dei sostenitori dell'attuale ceto politico, con il suo variegato contorno istituzionale: associazioni, partiti, movimenti, tutti convinti di essere ancora vivi, anche se di salute non proprio ottima. Una paura che diventa panico di fronte ad ogni progetto di cambiamento e a nuove prospettive politiche.L'avevamo già visto qualche mese fa, con il penoso mercato di deputati e senatori bolliti, organizzato nei locali del Senato della Repubblica per cercare di abborracciare un governo di plurinnegati, evitando così l'incarico a Mario Draghi, ex governatore della Banca d'Italia e della Banca europea. Fu un misto di cinismo, terrore e teatralità, variamente disgustoso. Però fallì, e ciò potrebbe aver segnato l'inizio della fine dell'epoca dell'immobilismo trasformista e l'inizio del cambiamento, del resto non più rinviabile. Ma anche no, come dimostra l'attuale, persistente affezione alle antiche partigianerie.In un Paese vitale ci si aspetterebbe che a nuovi progetti si risponda con altre nuove idee, magari anche quella di unificare l'attuale spezzatino delle sinistre, come propone Matteo Ricci, più vicino alla realtà, in quanto coordinatore dei sindaci Pd. Ma sarebbe imprudente contarci troppo: alle idee nuove e ai progetti unitari del centro destra le star della sinistra rispondono con il vecchio slogan: «All'armi son fascisti!» Chi? Dove? Quando? Cosa c'entra? Niente. D'altra parte è noto che uno dei primi effetti della vecchiaia, se non contrastata con buone pratiche e esercizi, è la perdita del senso del tempo; e molta politica italiana è arcaica, non ha proprio capito che il tempo è cambiato. È questo il lato surreale di gran parte della nostra scena politica. Un'aggregazione di fantasmi il cui programma è soprattutto quello di impedire che nel Paese si crei un clima più unitario e patriottico, per poter continuare a delegittimare e mettere al bando gli avversari di destra.Lo scopo è evitare che si crei anche in Italia quella base comune condivisa, senza steccati settari che lascino fuori «gli altri», i selvaggi, i «fascisti», sterilizzando così le parti dell'elettorato non disposto a votare per la sinistra bollita. (O anche ribollita per qualche anno a Sciences Po). La guerra civile deve sotterraneamente continuare, altrimenti la sinistra dei fantasmi perde il potere, e potrebbe fare molta fatica a tornarci.Allora come è l'idea nuova? Innanzitutto non è, come al solito, gratis. Non viene dunque presentata come una buona pratica proposta a chi lo desideri, ma con l'autoritarismo abituale della sinistra «dei diritti», in realtà appassionata a inventare sempre nuovi «doveri» e obblighi. E per questo presa in giro con feroce garbo anche dal politologo Mark Lilla, liberal e collaboratore del New York Times (in L'identità non è di sinistra, Marsilio ed.). L'idea dovrà quindi venire affermata con una bella legge, che valga per tutti, senza fare storie, o saranno guai e (naturalmente) anatemi. E riguarderà le Istituzioni, il principale oggetto di interesse della sinistra, che su quelle campa dal 1946. Si tratta (novità delle novità) di fare dunque un secondo inno nazionale italiano, da cantare subito dopo quell'altro. Pronto a sostituirlo, se quello attuale fosse per caso stanco, tanto più che porta il nome del partito di Giorgia Meloni, alla quale è meglio non fare pubblicità.Il nuovo inno, a dimostrazione dalla scoppiettante fantasia dei deputati firmatari, capitanati da Laura Boldrini e Emanuele Fiano, è ahimè l'inflazionatissimo canto partigiano Bella Ciao, da anni ormai gadget molto usato dallo spettacolismo di bocca buona in cerca di lustro cultural-politico. Già che ci siamo, e per quel niente che vale, confermo intanto ciò che ha detto più volte Giorgio Bocca: anch'io (bimbo in quegli anni sfollato sul Lago Maggiore, a poca distanza dalla Repubblica dell'Ossola, il primo territorio liberato dai partigiani), non ho mai sentito tra i loro canti Bella Ciao, assai più rock e comparso molto più tardi. Allora era invece più sentito il drammatico e tendente al blues: «fischia il vento/ed urla la bufera/scarpe rotte eppure bisogna andar/», del resto anch'esso preso di peso dalla canzone russa Katjuscia e diventato inno delle Brigate Garibaldi del comunista Cino Moscatelli. Bella Ciao divenne popolare molto dopo, forse perché era il più sanremizzabile tra i motivi partigiano-folkrussi, di cui porta evidenti tratti ritmici e musicali. Come scrisse lo storiografo delle musica Cesare Bermani, Bella Ciao è soprattutto «l'invenzione di una tradizione». Musicalmente banalissima. Il punto, però, non è questo.Che senso ha inserire come secondo inno della Repubblica, da cantare subito dopo il primo, 76 anni dopo la fine del fascismo, uno pseudo canto della Resistenza, se non quello di completare, correggere, aggiungere, qualcosa che evidentemente, secondo i proponenti, non c'è in quell'altro? Cos'è, infatti, il Canto degli Italiani, Fratelli d'Italia? È un disperato canto all'Unità degli italiani, anche allora difficile da costruire. «Noi siamo da secoli/Calpesti, derisi/Perché non siam popolo/Perché siam divisi». Di fronte ai litigi, Goffredo Mameli, spazientito come ogni patriota italiano supplica: «Raccolgaci un'unica/Bandiera, una speme/ Di fonderci insieme/Già l'ora suonò». In effetti è probabilmente così: o si canta tutti insieme, o si muore. E ci sono molti segni che qualcosa si stia avviando: più unità, e meno partigianeria e settarismo (che ci hanno, per giunta, spolpati fino all'osso).Però a Boldrini, Fiano etc. tutto ciò non piace, affatto. Di fronte alla prospettiva dell'«unica bandiera», della fine delle divisioni politico/antropologiche tra «noi», gli «antifa» (come il sindaco di Milano ha voluto definirsi su un cartello sulla porta di casa) e «gli altri», i selvaggi, in loro nasce l'ingiunzione: «Partigiano portami via». La difficoltà, per l'Italia, è quella di trovarlo, quel partigiano che li porti via. Dove, poi, non si sa. Anche se secondo il canto russo-rock la cosa potrebbe finire con una sepoltura «sotto l'ombra di un bel fior». Un culto della sfiga che fa il pendant con il «non è ancora il momento di aprire» del benaugurante ministro della Salute, da cui parrebbe il caso di allontanarsi al più presto.A me parrebbe più interessante e vitale la proposta di Goffredo Mameli: «Uniamoci, amiamoci/l'Unione e l'amore/rivelano ai Popoli/le vie del Signore» (le maiuscole: Unione, Popoli, Signore, non sono enfasi dello scrivente, ma nel testo pubblicato dalla Presidenza della Repubblica). Però, come dice il popolo selvatico e sapiente: «C'è anche chi gli puzza la salute». E, proprio quando (forse) si comincia a stare a galla, vorrebbe affondare la barca.