
Il presidente alimenta la pista del «nemico» e chiede, con Hezbollah, un'inchiesta «libanese» sulle cause della catastrofe della capitale. Ma la popolazione è alla fame e accusa i leader del Paese: «Impiccateli».A distanza di tre giorni dalle due esplosioni che martedì hanno devastato il porto di Beirut causando almeno 157 vittime, oltre 5.000 feriti e 300.000 senza casa (tra le vittime anche una donna italiana, di 92 anni, e almeno dieci connazionali sono rimasti lievemente feriti) ieri la politica libanese è tornata a farsi sentire. Mercoledì era sceso in piazza l'ex premier Saad Hariri, provando a sfruttare l'onda di malcontento popolare. Ma nemmeno lui è stato risparmiato dalla critiche. La sua mossa aveva consigliato ai leader del Paese di evitare le piazze, offrendo allo stesso tempo l'occasione al presidente francese Emmanuel Macron di presentarsi giovedì a Beirut promettendo alla popolazione che invoca la «rivoluzione» un «nuovo accordo politico». Che altro non sarebbe che una revisione del Patto nazionale su cui dal 1943 (anno in cui scadde il mandato francese sulla scia degli accordi Sykes Picot e il Libano divenne uno Stato indipendente) si basa la politica libanese: un accordo tribale secondo cui il presidente della Repubblica è maronita, il primo ministro è sunnita e il presidente del Parlamento è sciita.Ieri, dicevamo, è stato il turno della politica. Il presidente Michel Aoun, accusato di eccessiva vicinanza al gruppo sciita filoiraniano Hezbollah, ha respinto le richieste di un'indagine internazionale sulla duplice esplosione: mira a disperdere la verità, ha detto. Inoltre, ha rivelato di aver chiesto personalmente al presidente Macron «di fornire le immagini aeree (al momento della deflagrazione) in modo da poter determinare se ci fossero aerei o missili nell'aria. Se queste immagini non sono disponibili da parte dei francesi, le richiederemo ad altri Paesi». Perché richiedere le immagini aeree? Perché il presidente Aoun non è convinto delle cause dell'esplosione. «Ci sono due possibilità per quello che è successo, a causa di negligenze o per interferenza esterna tramite un missile o una bomba». Rimane da capire se i suoi dubbi siano legati a interrogativi dell'intelligence libanese o se le sue dichiarazioni siano motivate dalla necessità di non apparire debole: in questo schema rientrano un'altra dichiarazione di Aoun, secondo cui «la sovranità libanese non sarà influenzata sotto il mio mandato», ma soprattutto la ricerca dell'«avversario esterno» (leggasi il più delle volte: Israele, che nega ogni coinvolgimento nelle esplosioni e che ieri è finito nel mirino del ministero degli Esteri iraniano per gli aiuti offerti al Libano).Le dichiarazioni del presidente maronita sono da leggere assieme a quelle di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, gruppo che diversi Paesi classificano come organizzazione terroristica (alcuni, tra cui Stati Uniti e Israele, senza neppure distinguere tra il braccio armato e quello politico). Tema centrale del suo intervento di ieri: i sospetti esterni. In particolare, quelli di Israele (accusato dalle milizie di cyberattacco alle infrastrutture del porto). «Sono tutte bugie e menzogne», ha detto Nasrallah in un discorso rivolto alla nazione dal canale tv Al Manar per smentire che l'esplosione sia stata causata dalla deflagrazione di armi depositate nel porto di Beirut dal suo partito (che gestisce lo scalo). È arrivato a negare non soltanto la presenza di armi (tema su cui molte intelligence sono al lavoro), ma anche quella di nitrato d'ammonio (che è l'unica certezza dell'accaduto): «Non abbiamo nulla al porto: né un deposito di armi, né un deposito di missili, né fucili, né bombe, né proiettili né nitrato d'ammonio». Anche Nasrallah vuole un'inchiesta: la vuole libanese (come Aoun) ma condotta dall'esercito: «Tutte le parti politiche dicono che l'esercito libanese è l'unica istituzione del Paese su cui c'è piena fiducia. Bene, che sia allora l'esercito a condurre l'inchiesta», ha detto a proposito della scarsa credibilità delle istituzioni libanesi.Ma neppure Hezbollah sembra ormai godere di molto sostegno popolare. Alle crisi economica, politica e sanitaria che già avevano ridotto il Libano a uno Stato fallito si è aggiunto un disastro che paralizzerà la capitale per molti mesi. A un punto tale che si teme una carestia. Le proteste di ieri potrebbero continuare anche oggi. Sui social network circolano appelli per una manifestazione contro il governo con lo slogan «impiccateli». Alcuni attivisti hanno eretto per protesta un patibolo nella piazza dei Martiri, nel centro della capitale Beirut. Perfino Mohamad Al Amin, l'imam della moschea nel cuore della città, nel sermone del venerdì ha accusato la leadership libanese di portare su di sé la responsabilità dell'esplosione.
Un frame del video dell'aggressione a Costanza Tosi (nel riquadro) nella macelleria islamica di Roubaix
Giornalista di «Fuori dal coro», sequestrata in Francia nel ghetto musulmano di Roubaix.
Sequestrata in una macelleria da un gruppo di musulmani. Minacciata, irrisa, costretta a chiedere scusa senza una colpa. È durato più di un’ora l’incubo di Costanza Tosi, giornalista e inviata per la trasmissione Fuori dal coro, a Roubaix, in Francia, una città dove il credo islamico ha ormai sostituito la cultura occidentale.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.






