2020-10-23
«Becciu ha voluto il mio arresto A causa sua ho pensato al suicidio»
Francesca Immacolata Chaouqui, (Ansa)
L'ex membro della commissione di studio sulle finanze vaticane Francesca Immacolata Chaouqui,: «Il cardinale passava notizie ai giornali per screditare il nostro lavoro. Ho indagato su di lui e sugli affari dei suoi parenti fatti coi soldi dell'Obolo»Il Tribunale pontificio l'ha condannata a 10 mesi di prigione (con pena sospesa) per il mancato rispetto dell'impegno di fedeltà. Eppure la Papessa non ha mai smesso di frequentare il Vaticano. Francesca Immacolata Chaouqui, 39 anni, è originaria di San Sosti, un paesino di 1500 abitanti in provincia di Cosenza. Il papà, di origini marocchine, lasciò la madre sei mesi dopo il matrimonio, quando la donna era incinta di tre. Uno scandalo per la Calabria rurale di allora. Figlia unica di uno straniero è cresciuta da «diversa». «Il solo modo per uscire da quella prigione era studiare» ci ha confessato. Così a 22 anni era già laureata in giurisprudenza alla Sapienza e a 30 anni era membro della Commissione di studio e di indirizzo per gli affari economici della Santa Sede, la Cosea. «L'unica donna e l'unica italiana» ricorda con orgoglio. Oggi è titolare di un'agenzia di comunicazione a Roma con 14 dipendenti. «Ho due figli e un marito, sempre lo stesso, dal 2004» aggiunge. È considerata la più grande nemica del cardinale Angelo Becciu e della sua collaboratrice Cecilia Marogna, arrestata a Milano per appropriazione indebita e peculato. Signora Chaouqui il caso di Cecilia Marogna ricorda molto il suo…«La prego, non mi accosti a quella donna. L'unica cosa che condivido con lei è l'età. Io non sono mai stata sospettata di aver rubato alcunché. Anzi ho portati milioni di euro di offerte». Però siete entrambe protagoniste di due scandali vaticani...«Io in Vaticano sono entrata voluta da Papa Francesco e con un chirografo pontificio, non con un'irrituale lettera di accreditamento firmata dal cardinale Becciu che mai era stata utilizzata per nessuno a memoria di chi lavora per la Segreteria di Stato». A noi la Marogna ha detto che aveva un fascicolo con i suoi messaggi a Becciu, che sono poi usciti sulla stampa. Lei scriveva: «Ti sto offrendo la mia alleanza, ti serve e lo sai bene». E gli consigliava di darsi «una regolata» e di non volere «stravincere» altrimenti rischiava di perdere tutto. Parole un po' minacciose…«È necessario contestualizzare quelle comunicazioni. Venivano dopo la mia condanna in Vatileaks. Io sono stata punita per avere presentato dei giornalisti a monsignor Lucio Angel Vallejo Balda, segretario della commissione di cui facevo parte. Ma io i cronisti li ho portati da lui per rispondere a una campagna denigratoria. L'allora sostituto alla segreteria di Stato, Becciu, aveva la delega alla comunicazione che egli ha utilizzato dal primo istante della costituzione della Cosea per screditarla. Per le notizie che passava ai giornalisti contro di noi, ho quasi fatto a botte con un vaticanista. Dovette intervenire il comandante della Gendarmeria a separarci».Per tutta risposta ha violato il segreto vaticano…«No. È stato Balda, dopo avermi estromesso dal rapporto con questi cronisti, a incontrarli e a consegnare loro materiale riservato. Balda per questo è stato due anni in carcere».Hanno arrestato anche lei.«Il promotore di giustizia non voleva farlo, fu Becciu a convincerlo, tanto è vero che rimasi chiusa nella cella di un convento un solo giorno. Il Papa appena seppe del mio arresto da incinta inorridì e mi fece liberare all'istante. Non mi ha nemmeno mai revocato il ruolo di commissario pontificio. Motivo per cui non sono stata sciolta dal segreto e sono ancora oggi obbligata a tacere».Lei al cardinale ha scritto di aver fatto «una cazzata» a presentare Balda ai giornalisti e ha chiesto scusa…«Dopo Vatileaks il mio padre spirituale mi consigliò di non mettermi contro il più fidato collaboratore del Papa, perché altrimenti avrei danneggiato il pontefice. Così ho cercato un dialogo con lui e confesso di averlo fatto anche per stargli vicino e indagare su di lui. Avevo la sensazione che stesse derubando e strumentalizzando il pontefice. Per questo chiesi consiglio ai vertici della Gendarmeria. Anche perché ero ancora destinataria di notizie sensibili e avevo da parte il vero archivio completo della Cosea, che conservo presso uno studio notarile».E dalla Gendarmeria che cosa le consigliano?«Prima di tutto di abbassare i toni nei confronti del cardinale e di cercare una forma di dialogo con lui. Come in un confessionale. Per questo lui quei messaggi non può rivelarli, altrimenti rischia di essere spretato».E la missione di pace come va?«Male. Dopo Vatileaks il cardinale, con qualunque interlocutore, mi descriveva come carne putrida, feccia. La gente usciva dai colloqui con Becciu ritenendomi la peste. Questo mi aveva annichilito. Anche se nessuno sapeva che reato avessi commesso. Nel frattempo io gli scrivevo su Messenger, gli parlavo di me, gli mandavo la foto della mia famiglia e di mio figlio…».E il cardinale?«Ogni tanto commentava le foto del bambino, metteva dei like. Dopo di che era il comandante Domenico Giani che continuava a consigliarmi».In un messaggio lei descrive Becciu quasi come un sadico: «Ti ho chiesto incontri, dialogo, perdono, ti ho implorato. Ma perché questo odio? Quando preghi cosa dici a Dio? Distruggo la vita di una persona? È questo che Dio vuole da te?».«A causa sua il pensiero di ammazzarmi mi è passato dal cervello... poi io sono una combattente e mi sono buttata sul lavoro, ma è difficile senza averlo vissuto capire quanto sia stato brutto quello che mi ha fatto Becciu».Un giorno lo ha minacciato di andare in Procura e di passare da «vittima» a «carnefice».«Io sto alle costole del cardinale dal 2013, quando venni a conoscenza della lettera con la quale Becciu voleva affidare a Raffaele Mincione la realizzazione di un investimento in una piattaforma petrolifera in Angola. Denunciai al Santo Padre l'opacità di questo tipo di affare nel novembre di quell'anno. L'accordo non si realizzò, ma la Cosea venne sciolta. Becciu mi considerava un vero pericolo per i suoi business perché non avevo nulla perdere, non cercavo soldi e conoscevo il mondo della finanza e, di fama, i faccendieri a cui si affidava».Nel 2017 scrive a Becciu «l'unica cosa che può nuocerti davvero (gli affari con Tirabassi, Crasso, Mincione, a Zurigo ecc. con i soldi dell'obolo) la tengo per me»? Non era un messaggio un po' ricattatorio?«Tutto sommato, sticazzi».Cosa sapeva di preciso?«Da anni indagavo sugli affari di Becciu, sono andata al suo paese d'origine, Pattada, e in giro per l'Europa. Sapevo tutto del suo inner circle. Dopo il tentativo di pace fallito, ogni giorno che mi svegliavo, cercavo di scoprire i latrocini del cardinale. Mi feci una rete di informatori all'interno delle società che Becciu utilizzava. E nel 2017 venni a sapere di uno strano affare a Londra».Perché invece di denunciarlo gli propone per la seconda volta la pace?«Perché lui in quel momento era il potente numero tre della Santa Sede e io una condannata».Cito un altro suo messaggio: «Vedi don Angelo, sono stata nella tua terra ad informarmi su di te» e «a Pattada ti amano, non hai lasciato indietro nessuno». Faceva riferimento agli affari dei parenti?«Assolutamente sì. Avevo visto come prosperava la cooperativa del fratello, la falegnameria dell'altro fratello, che sembra una gioielleria, gli affari del terzo fratello psicologo, con l'olio Donum Dei. Un nome che suonava come una presa in giro visto che era stato fatto con i soldi dei poveri… comunque in questa storia non ci sono solo i fratelli, ma pure sedicenti nipoti…».A chi si riferisce?«A tale Andrea (omettiamo il cognome, ndr). Tre persone in questi giorni mi hanno mostrato i messaggi con cui, ritenendo che io fossi la disgrazia per gli affari del presunto zio, l'uomo cercava notizie da pubblicare contro di me sui giornali “anche a pagamento"».Avevamo già appreso questa notizia. Ma il signor Andrea ci ha detto di non saperne nulla.«Non c'è problema, ne risponderà ai magistrati perché ho intenzione di querelarlo».Le sue indagini come sono andate a finire?«A fine 2018 ho riferito davanti ai magistrati vaticani l'esito delle mie investigazioni. Ero assistita dall'avvocato Alessandro Sammarco. In quella deposizione parlai della Sogenel, la società creata dal finanziere indagato Enrico Crasso per fare gli investimenti in Vaticano e delle attività dei fratelli del cardinale. Le mie due deposizioni contro Becciu sono agli atti dell'inchiesta».Quando scopre dell'esistenza della Marogna?«Il suo vero nome pochi giorni prima dello scoop della Verità. Però sapevo che c'era una donna, vicina al cardinale, che si aggirava per il Vaticano con il nome di Cecilia Zulema. Si accreditava come capo delle relazioni esterne della Segreteria di Stato, mostrava sul suo telefono le foto delle stanze della Segreteria e Becciu la presentava come se fosse l'astro nascente della diplomazia vaticana».Era gelosa del suo ruolo?«Non ero gelosa. Ero disgustata. Nessuno di noi si permette di fotografare le sacre stanze e di postarle suoi social con commenti come “sentirsi a casa"».Le indagini raccontano che la Marogna aveva un ruolo praticamente da 007…«Becciu era ossessionato dalla politica italiana e dai rapporti con i servizi segreti».Va ancora Oltretevere?«Spessissimo».A fare che cosa?«Le istituzioni che devono saperlo lo sanno. Io sono un soldato del Santo Padre. Il Vaticano che mi appartiene non è quello di Becciu e della Marogna, ma di Papa Francesco e dei minutanti della segreteria di Stato che si occupano di diplomazia vera e non di diplomazia parallela».Ha più scritto a Becciu?«La sera che è stato “scardinalato" gli ho inviato un messaggio e gli ho detto che lo perdonavo perché dopo tutti questi anni era stato sconfitto. Non l'ho fatto per vendetta, ma perché capisse quello che avevo provato. Un'altra donna non avrebbe resistito».