2021-06-14
«Bce lontana e burocratica. La sua vigilanza non funziona»
Angelo de Mattia (Youtube)
L'editorialista ed ex direttore centrale di Bankitalia, Angelo de Mattia: «A Francoforte il sistema va rivisto. Da noi il miglior governatore è stato Antonio Fazio, dubitava dell'euro ma rispettò le istituzioni».«La parola d'ordine per vigilare sulle banche è prossimità. Me lo ha insegnato il governatore Antonio Fazio». Ed è qui che l'emozione prende il sopravvento nelle parole di Angelo De Mattia. Oggi apprezzato editorialista su temi economici con un passato in Banca d'Italia fino a ricoprire il ruolo di direttore centrale; vale a dire il massimo grado dirigenziale raggiungibile con un percorso di «carriera interno». Quello cioè percorribile senza nomine che coinvolgano istituzioni quali presidenza della Repubblica o del Consiglio. «Mi unisce a lui un rapporto di stima e lealtà inossidabile. Fazio è “il governatore". Lo scriva».Non il solo che lei ha conosciuto.«Entro in Via Nazionale con Guido Carli ed esco con Mario Draghi. Nel frattempo, Baffi e Ciampi…».Ma è a Fazio che lei è rimasto più legato.«Ho vissuto al suo fianco momenti cruciali della nostra storia repubblicana. E ho avuto modo di imparare da lui prima di tutto cosa significa rispettare le istituzioni».L'ingresso nella moneta unica è stato forse il momento più sofferto… «Non è un mistero che Fazio nutrisse dubbi su questa scelta. (Qui De Mattia soppesa le parole). Ma a lui è toccato l'ingrato compito di difendere questa scelta in ossequio alla volontà politica del governo di allora. Ecco cosa significa rispettare le istituzioni».Cosa successe di preciso?«Non esisteva ancora la Bce ma l'Istituto monetario europeo il cui parere, ancorché non vincolante, era essenziale nel percorso di costruzione della moneta unica. I ministri dell'economia (fra cui Ciampi) e i rispettivi governi non potevano non tenere conto dell'opinione delle banche centrali nazionali riunite appunto dentro l'Ime. Ed il primo responso fu implacabile: Belgio e Italia non avevano le carte in regola per entrare nell'euro».Esattamente quello che pensava il governatore.«Che però in ossequio al mandato ricevuto - anziché compiacersi della circostanza - argomentò con chiarezza una verità incontestabile. Senza l'Italia non sarebbe potuto nascere l'euro. Non era propaganda ma un'analisi lucida».L'opinione del governatore Fazio aveva un peso…«Aveva un grosso peso. Di lui tutti conoscevano la grande preparazione tecnica quale maestro nella politica monetaria e nel governo del cambio. Grande conoscitore delle sue tecnicalità. Nei primi anni del suo mandato Fazio riuscì ad abbassare lo spread fra Btp e Bund di circa 600 punti base. Assestandolo a 200. Nessuno allora era consapevole di questi temi. Ne era cosciente il presidente della Bundesbank, Hans Tietmeyer. Fra di loro ricordo un'illuminante confidenza».Non ci tenga sulle spine.«“Tutti credono che l'euro sarà il paradiso. Ma io penso invece che sarà un inferno", disse il banchiere tedesco. “A noi l'ingrato compito di renderlo almeno come il purgatorio", rispose il governatore Fazio».Visto che siamo in tema ci dica cosa è successo nell'ultima riunione del consiglio direttivo della Bce.«La politica monetaria espansiva prosegue. Ma prima della votazione unanime sono ancora una volta emerse differenze di valutazione in merito al tasso di inflazione attuale e prospettico. La Germania comunque ritiene che la crescita dei prezzi sia un fenomeno strutturale e quindi si dovrà presto abbandonare il quantitative easing. Diversa è la posizione italiana e francese. Siamo di fronte ad un fenomeno transitorio. Cosa che mi trova sostanzialmente concorde».Cosa succede alla politica monetaria della Bce nel prossimo futuro?«La revisione è in corso. Vi sono cambiamenti raggiungibili a dispetto di altri».Tipo?«Potremmo arrivare a imitare la Fed quanto a una minore intransigenza in merito all'inflazione. L'obiettivo del 2% è da considerare nel medio termine. Si è fronteggiato un periodo di bassa inflazione e quasi deflazione. Quindi nessuno scandalo se l'aumento dei prezzi arrivasse quasi al 3%. Non vedo invece spazi per l'inserimento di obiettivi quali piena occupazione e concorso al governo dei cambiamenti climatici. Servirebbero modifiche ai trattati».Dentro la Bce non si fa solo politica monetaria ma anche vigilanza sulle banche.«Trattati alla mano, la Bce è prima di tutto responsabile della politica monetaria. Con un accordo intergovernativo del 2014 le è stata trasferita pure la vigilanza sulle banche. E qui emergono almeno due criticità».La prima?«È di carattere contingente. Non si può avere una politica monetaria espansiva e una vigilanza bancaria ultrarestrittiva. Un raccordo è necessario. Le banche devono essere necessariamente rigorose nella classificazione del credito. Ma occorre intelligenza soprattutto ora che la qualità del credito sta necessariamente peggiorando mentre si esce dalla pandemia».Una vigilanza che rischia di essere prociclica.«Quello che io chiamo “complesso del cerusico". Il medico che nel Cinquecento curava qualsiasi cosa col salasso. Di fronte ai pessimi risultati della terapia concludeva che non se ne era fatta abbastanza. Ce ne voleva di più».Mirabile similitudine che descrive le politiche di austerità imposte in questi anni. La seconda criticità?«La Bce nasce soprattutto con compiti specifici di vigilanza prudenziale. Ma - come dicevo prima - la vigilanza si fa stando sul territorio in prossimità con le banche. E qui devono essere rispettati i principi di adeguatezza, proporzionalità, ragionevolezza e soprattutto sussidiarietà. Quest'ultima è forse la cosa più importante. Non si può fare dall'alto ciò che invece può essere più agevolmente fatto dal basso. Su questo principio il governatore Fazio già nel 2002 aveva raccolto un vasto consenso fra i suoi omologhi colleghi. Sia in Bundesbank che a Parigi».A mente fredda qualche valutazione critica sulla concentrazione delle Bcc in due gruppi è possibile?«Non è stato saggio concentrare le banche di credito cooperativo in due grandi gruppi. Le criticità erano evidenti. La necessità di fare sistema pure. Ma attribuire la vigilanza di banche locali alla Bce non è una buona idea».Un'opinione originale. Si sente solo dire che grande è bello.«Parlerei di biodiversità necessaria. Il pluralismo è un valore anche quando si parla di banche. Soprattutto di Bcc. Cooperazione di credito. E nel credito. Non è uno slogan. È su queste basi che andava immaginata e realizzata l'opera di rafforzamento del settore».Che giudizio dare in merito alle aggregazioni bancarie?«La necessità di banche più grandi è fuori discussione. Sono importanti ma non bastano gli incentivi fiscali quali la trasformazione delle Dta (le partite attive connesse alle cosiddette imposte anticipate) in credito d'imposta. Ma non per questo dobbiamo perdere interlocutori essenziali per le nostre piccole imprese. Quali, appunto, le banche locali. E comunque i processi di aggregazione devono essere disciplinati da una vigilanza bancaria attiva, anticipatoria, intelligente e consapevole. Ciò che la Banca d'Italia è sempre riuscita a fare. Non come quella odierna, incartata nel suo tuziorismo burocratico. Una sintesi equilibrata fra autonomia degli intermediari e indirizzi dell'autorità di vigilanza. Niente lassismo né rigorismo».Già mi sembra di sentirli i teorici del libero mercato.«Con la legge bancaria del 1936 prende forma la vigilanza sugli istituti di credito progressivamente centralizzata in seno alla Banca d'Italia. E trova piena legittimazione con la costituzione repubblicana. La tutela del risparmio esige vi sia una vigilanza sulle banche. E questa ha rafforzato il mercato del credito e del risparmio».In passato nel nostro Paese grazie alla vigilanza di Banca d'Italia nessuno si è accorto di crac bancari come il banco Ambrosiano mentre tanti sono i risparmiatori che hanno sofferto per il bail in…«Il ministro del Tesoro Colombo su proposta dell'allora governatore Carli, a seguito del crac delle banche del gruppo Sindona, promosse il decreto ministeriale volgarmente noto come “legge Sindona". Un provvedimento straordinariamente efficace nel gestire i dissesti bancari. L'istituto che rilevava attività e passività della banca in crisi aveva accesso agevolato al credito in Banca d'Italia. Un'anticipazione su titoli al tasso dell'1% a fronte del conferimento in garanzia di titoli dei quali manteneva la proprietà. Lucrando la differenza fra rendimento dei titoli a garanzia e costo del finanziamento (il cosiddetto carry trade) la banca irrobustiva il conto economico mentre risanava e ristrutturava la banca in dissesto. Una legge che ha consentito numerose operazioni di successo». Oggi la commissione Ue alzerebbe il ditino per definirli aiuti di Stato.«Le dico solo che il risanamento del Banco di Napoli attuato grazie alla legge Sindona ha consentito al Tesoro di incamerare una plusvalenza di 500 milioni di euro circa. Senza considerare tutti i benefici indotti per il sistema bancario nel suo complesso e per i risparmiatori. Cambierei preposizione. Nessun aiuto di Stato. Casomai aiuto “allo" Stato».
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Ernesto Maria Ruffini (Ansa)