2023-04-11
Truffa dei bavagli di Zinga, spuntano un falso avvocato e un pluripregiudicato
Abbiamo ricostruito i retroscena del raggiro costato ben 11 milioni alla Regione Lazio. La pista dei soldi da Praga porta in Campania e Toscana. Compare la mafia kosovara.Nel pasticciaccio delle mascherine mai arrivate alla Regione Lazio a un certo punto abbiamo incrociato anche un giovanotto di nome Arsenio. Non il ladro gentiluomo ideato da Maurice Leblanc, ma altrettanto sfuggente. La verità è che dietro alle notizie sinora emerse sulla sòla presa dalla giunta presieduta dall’ex governatore Nicola Zingaretti ci sono retroscena per cui non basterebbe un libro. Un racconto costellato di grassatori, finti avvocati, oscuri imprenditori russi e persino presunti mafiosi kosovari. Un circo Barnum che potrebbe persino strappare un sorriso se non fosse che le istituzioni a questi signori hanno consegnato diversi milioni di euro di anticipo, mai restituiti. La trama si svolge tra Roma, Castelfranco veneto (Treviso) e Praga. Anche se, come vedremo, l’epicentro di tutto è in Toscana. Riassumiamo i vecchi fatti di cronaca per chi non li ricordasse: nel marzo 2020, in piena pandemia, la Regione Lazio per l’approvvigionamento di mascherine, si affida alla Ecotech Srl, una società che opera nel settore delle lampadine e che non ha esperienza nel campo dei dispositivi medici. A guidarla è il bellunese Sergio Mondin, il quale assicura a Zingaretti & C. di essere in grado di recuperare milioni di protezioni facciali e per questo ottiene, unico in Italia a livello regionale, un acconto da 14,68 milioni di euro per una fornitura «fantasma» da 9,5 milioni di dpi. A oggi ne sono stati consegnati solo 2 milioni di tipo chirurgico e mancano all’appello quasi 11,8 milioni di euro.Tre anni fa Mondin garantisce di essere in grado di portare le mascherine a Roma nel giro di pochi giorni (in un contratto si parlava di 72 ore) e per questo si rivolge alla cinquantasettenne padovana Stefania Cazzaro, una designer all’epoca coinvolta in un procedimento penale per bancarotta, e invia 4,7 milioni di euro alla Giosar, ditta inglese della donna. Quest’ultima e un suo collaboratore sono adesso accusati dalla Procura della Capitale di aver riciclato gran parte di quei soldi, 3,7 milioni di euro. Noi abbiamo incontrato la signora Cazzaro a Castelfranco, dove ha accettato di offrirci la sua versione nella hall di un albergo del centro, all’ombra della torre civica con l’orologio e il leone di San Marco. La signora, look da creativa, ha giurato di essere stata ingannata a sua volta e di non conoscere nemmeno la vera identità delle persone che avrebbero dovuto aiutarla nella missione e a cui ha inviato i bonifici contestati dai magistrati. «Mondin è arrivato a me tramite una persona che collabora con una nota banca e che era stato cercato da un advisor…» ci spiega la donna. La quale, a questo punto, si sarebbe rivolta a una broker di Varese, F.Z., che la avrebbe messa in contatto con un presunto avvocato, Ennio D’Andrea, e questi, a sua volta, avrebbe fatto da «intermediario» con un imprenditore originario di Prato di stanza a Praga, un certo Antonio Ferrante, la persona che, a detta del legale, avrebbe avuto la disponibilità dei dispositivi di protezione. Una catena di Sant’Antonio che ha fallito miseramente la missione. Infatti, la Cazzaro ha inviato quasi subito 1,545 milioni di euro di anticipo alla Noleggio car Sro di Ferrante, ma dalla Repubblica ceca non è arrivata neppure una mascherina. Tra il 2020 e il 2021 Mondin fa numerose conference call con questi soggetti e negli audio si sente il sedicente avvocato D’Andrea condurre le danze. Il legale parla a nome del fantomatico Antonio, il quale, però, non si sente mai nei vocali registrati dall’imprenditore bellunese. Nell’autunno 2020 la banda, quando la Regione aveva finalmente interrotto tutte le trattative, aveva provato a chiedere ulteriori 500.000 euro, per sbloccare il carico di mascherine (1,5 milioni di Ffp3, 3,5 di Ffp2), che, a loro dire, era fermo in Russia e per cui occorreva saldare il conto. Stefania Cazzaro Dopo alcuni giorni di febbrili ricerche ci convinciamo che l’avvocato D’Andrea e l’imprenditore Ferrante non esistano. La Cazzaro ribadisce di non aver mai conosciuto Ferrante di persona, mentre D’Andrea le avrebbe raccontato di avere origini napoletane e di essere figlio di un console. L’unica garanzia che, a un certo punto, il duo D’Andrea-Ferrante offre è un elenco di 79 auto che farebbero parte del parco macchine della Noleggio car. In un audio, Ennio, per tranquillizzare i suoi interlocutori, riporta le parole dell’enigmatico imprenditore trapiantato a Praga: «Puoi dargli tutto che vogliono, l’importante è che risolviamo questa situazione». Segue chiosa del legale: «Antonio non è stupido, ma è una persona talmente onesta e perbene che è disposto anche a questo, pur di chiudere questa cosa», ha continuato D’Andrea.La Cazzaro ci mostra i messaggi scambiati con D’Andrea e con Ferrante. Nelle lunghissime chat il signor Antonio annuncia in più occasioni svolte che non arrivano. Prima per la consegna della merce, poi per la restituzione degli anticipi. «Buongiorno Stefania, la guerra tra Russia e Ucraina ha messo in seria difficoltà Vladimir» si legge in una comunicazione. «Le banche ucraine non autorizzano nessuna transazione. Questo è quello che riferisce Svetlana. In questo momento non riesce a mandarmi nemmeno il minimo acconto. Chiede di aspettare che tutto sarà risolto. Speriamo che intervenga la Nato così la crisi finirà presto».Vladimir è il fornitore russo che avrebbe dovuto procurare le mascherine, Svetlana la sua segretaria. Ferrante nomina anche un presunto mafioso, Faton o Fatim, a cui si sarebbe rivolto per ottenere un prestito e completare l’acquisto.«Intanto Vladimir ha restituito a Fatim» scrive Ferrante a un certo punto. Ma i soldi della Ecotech, quelli restano all’estero. D’Andrea dà ulteriori dettagli sulle difficoltà incontrate dal suo «principale» e invia l’immagine di un uomo di mezza età in due diversi momenti, in una è circondato da uomini armati: «La persona che gli ha dato i soldi (a Ferrante, ndr) si chiama Faton Gashi. Quello con gli occhiali nella foto. Sono delle persone molto pericolose che hanno in mano tutta Praga e parte di Bratislava. Sono kosovari. Una storia di droga, omicidi, usura, ecc. ecc. Ha gente a disposizione e guardie del corpo. E soprattutto la Polizia pagata qua. È un intoccabile. Operano anche in Italia, questo è il problema e bisogna pagarli, cascasse il cielo». Il senso del messaggio è chiaro: il denaro va consegnato in fretta per evitare ritorsioni su Antonio. Ma le foto inviate da D’Andrea non raffigurano un bandito kosovaro: una, risalente al 2005, immortala «il quarantaseienne croato Faton Gaši, considerato uno dei massimi boss della narcomafia europea», arrestato in Repubblica ceca, l’altra ritrae un uomo molto somigliante al primo, questa volta un attore di teatro praghese, Zleva Pavel Hromádka. Nella chat D’Andrea si fa prendere la mano paventando un possibile «scontro con i kosovari». Quindi, mostrandosi agitato per la guerra in corso tra Antonio e i criminali originari dei Balcani, aggiunge: «Io cancello il messaggio perché non si sa mai Antonio se mi prende il tel o me lo chiede».Ci troviamo in un vicolo cieco. L’unico elemento che abbiamo in mano che ancora non è stato polverizzato dalle verifiche è l’origine pratese di Ferrante. Ma la Cazzaro sul suo conto non sa molto di più. Anche perché, quando minaccia D’Andrea di essere pronta a prendere iniziative contro l’imprenditore «toscano» per ottenere la restituzione del dovuto, viene scoraggiata con motivazioni che rendono lo scenario ancora più inquietante. Noi abbiamo assistito a una telefonata fa tra la Cazzaro e D’Andrea e vale la pena di riportarne alcuni passaggi, per capire in che mani siano finiti i soldi della Regione, soldi pubblici. A quasi tre anni dalla richiesta delle mascherine, D’Andrea ricorda alla Cazzaro che a Londra sono disponibili intere scorte di Ffp3: «Non possiamo mandare quelle e far finta che siano dell’altra posizione?» chiede. La Cazzaro inorridisce di fronte alla proposta di questa ennesima patacca e ripete di volere il denaro indietro. D’Andrea insiste, definendo i dispositivi «certificatissimi»: «Ma perché no, Stefania? Ma tu hai visto che stanno aumentando i contagi di Covid?» azzarda, «andresti anche a risparmiare… perché il prezzo che abbiamo adesso… e io te lo faccio fare ancora più basso…». La Cazzaro ricorda all’interlocutore che c’è un procedimento penale in corso e che non c’è da scherzare.Ennio non si arrende: «Metti caso che noi ce le prendiamo e tu dici “guardate che sono ancora là…”». La donna sbotta: «Dopo tutto quello che è successo io non dico mica una cosa del genere… non posso dirlo… Antonio deve uscire allo scoperto. Abbiamo bisogno che venga e parli». D’Andrea assicura che «è ancora a Praga al 100 per cento» e prova a giustificare la mancata restituzione dei soldi: «Secondo me Antonio per sistemare le cose con quegli altri zingari, a Praga, qualcosa gli ha dovuto dare a questi. Io aspettavo che pagasse il debito, poi è successa la guerra…». Il presunto avvocato spiega anche il vero lavoro di Antonio & C.: «Questi qua si vanno a prendere le auto, le immatricolano a Praga e poi le noleggiano in Italia […] chi se le noleggia gliele paga per contanti all’estero» e in realtà diventa «proprietario». La Cazzaro ipotizza di far bloccare le macchine che si trovano nel nostro Paese e D’Andrea concorda, dicendo che è l’unico modo di recuperare i soldi e di mettere Antonio alle strette. Allora la donna chiede all’interlocutore di prendere lui l’iniziativa: «Perché non vai tu a trattare con questi scappati di casa e gli dici “guardate che se a testa non ci date tot soldi noi vi blocchiamo le auto”?». A questo punto D’Andrea fa marcia indietro, con una motivazione decisamente allarmante: «Le auto sono tutte nell’Agro nocerino… Stefania, ma sai chi sono queste persone? Là non puoi andare a dire una cosa del genere, quella è una delle zone a più alto tasso di criminalità…». La Cazzaro cambia tono di voce, da buona veneta poco pratica di certi mondi: «E tu vuoi che vada io a bloccargli le macchine come Giosar, così poi questi mi vengono a trovare a casa dopodomàn mattina?». D’Andrea capisce che la conversazione sta diventando bollente: «Io non posso parlare per telefono cazzo… io non posso parlare… devo far chiamare qualcuno là». La Cazzaro redarguisce il giovanotto: «Se avessi saputo Ennio… sai che io non mi metto in certe situazioni, non ne voglio neanche sapere casso… questa si chiama criminalità… non ha un altro nome e tu volevi mandare me a fermare le auto così questi da Nocera superiore, inferiore, dove casso son, me vengono a trovare a casa?». L’indagata si rende conto di non conoscere nemmeno la vera identità di Antonio, di essere l’unica concretamente a rischio: «Quello non ha nemmeno utilizzato il suo nome… qui l’unica che ha usato i propri dati, indirizzo e capitale sociale compresi, sono stata io ovviamente». I due riparlano di russi, di fornitori, di Nocera inferiore e D’Andrea chiude il discorso: «Secondo me Antonio non li ha più i soldi, li ha persi».La nebbia avvolge ogni cosa e i protagonisti, a parte la Cazzaro e Mondin, sono tutti fantasmi. Ad aiutarci a trovare il bandolo della matassa è il decreto di perquisizione eseguito dal Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma nell’ottobre scorso. Contiene informazioni che a prima vista possono sembrare insignificanti, ma che in realtà sono preziose. Antonio FerranteNell’atto giudiziario sono indicate le direzioni prese dai soldi della Regione. Appuriamo che la pista campana regge dal momento che 67.000 euro sono finiti in Italia sul conto del ventisettenne Giuseppe Rendina, originario di Pompei, uno dei due amministratori di fatto (sono entrambi indagati per riciclaggio) delegati a operare sui conti della Noleggio car. Ma troviamo un’informazione ancora più importante ed è quella che porta all’altro amministratore di fatto, il cinquantaduenne Donato Ferrara. È originario di Nocera inferiore e con una carta a lui intestata sono stati effettuati prelievi per 8.000 euro a Prato, due località, una in Campania e una in Toscana, che ci riportano ad Antonio Ferrante. Nel decreto si fa riferimento anche a un certo Arsenio Ippolito, quarantenne nativo di Polla, paesino in provincia di Salerno, e residente nella vicina Teggiano, in un’anonima casetta persa tra i vicoli. Sotto l’abitazione è parcheggiata una Audi con targa bulgara. Facendo un po’ di ricerche su di lui abbiamo scoperto che è amministratore e intestatario di una «micro company» londinese, la Giadastar, con zero dipendenti, ma un giro di affari dichiarato di circa 334.000 sterline al 28 febbraio 2022. Mentre in Italia l’ultimo impiego di cui si ha notizia è un contratto da poco più di 15.000 euro annui in una piccola ditta di raccolta di rifiuti non pericolosi. L’uomo ha diverse segnalazioni di polizia, non particolarmente significative, per reati che vanno dalle lesioni personali alla truffa (per una vendita su Ebay) alla guida di auto priva di assicurazione o con targa contraffatta. Abbiamo trovato una sua foto su Facebook e la abbiamo mostrata alla Cazzaro. E lei ha esclamato: «Ma questo è l’avvocato D’Andrea!». Abbiamo così capito di essere sulla strada giusta. Allora abbiamo telefonato al finto professionista (che aveva creato anche un indirizzo mail in cui si fregiava del titolo di «avv»), ma D’Andrea-Ippolito non si è scomposto e ha continuato a recitare la parte businessman affermato: «Vuole il nome della mia società di Dubai? Di quella a Londra? Vuole copia del mio documento britannico? Secondo me la stanno mal informando sul mio conto». Poi ha estratto il tariffario per un’intervista: «Diecimila euro con fattura ovviamente. Purtroppo il mio tempo è valorizzato minuto per minuto. Il paese dove abito anche questi tre minuti che le sto dedicando si pagano». Testo e sintassi sono quelli del messaggio originale. Ma quando la Cazzaro lo ha contattato sul cellulare ha smesso gli abiti del professionista in carriera: «Non posso più stare a Milano perché c’è un costo molto elevato e io non ho tutti questi soldi da poter spendere qua».A questo punto abbiamo iniziato a cercare gli altri uomini della rete, indicati nel decreto di perquisizione.Quando abbiamo chiamato l’amministratore legale della Noleggio car, il quarantaseienne Giovanni Franzese (indagato e pratese, pure lui), questi ci ha risposto: «Antonio? Non lo conosco. Se vuole informazioni, cerchi Donato Ferrara, anche se non so che cosa faccia esattamente nella Noleggio car». Franzese, con noi, ha sostenuto di sapere poco di tutta la vicenda, ma ha ammesso di aver «prestato» il suo nome e di essersi «pentito», come avrebbe spiegato anche alla Guardia di finanza. Inizialmente Ferrara non è stato molto più utile: «Io sono solo un collaboratore non dipendente della Noleggio car» ha tagliato corto.Facendo una veloce ricerca su Internet scopriamo che un omonimo del nostro Ferrara era citato in un articolo della Stampa del 2010 in cui si parlava di un truffatore di stanza a Prato: «Aveva due identità. Ricercato con quella falsa» si leggeva nel titolo. Il sottotitolo aggiungeva: «La doppia vita del bancarottiere Donato Ferrara. Preso per una strana coincidenza dopo un mese di latitanza». I precedenti penali dell’uomo sono moltissimi: negli anni ‘90 è stato arrestato per furto d’auto, poi è stato indagato per associazione per delinquere, bancarotta fraudolenta, truffa, uso e emissione di fatture per operazioni inesistenti, sostituzione di persona e attestazione di false generalità, appropriazione indebita, contraffazione di sigilli, distruzione di documenti, applicazione di targhe false su auto rubate, falso ideologico, tentata estorsione. Nel 2010 è stato nuovamente arrestato, scarcerato dopo un anno e sottoposto all’obbligo di dimora. Nel 2016 è passata in giudicato una condanna per bancarotta. E, successivamente, ha ricevuto due ordini di carcerazione per ricettazione, l’ultimo nel 2019. Di fronte a un simile cv decidiamo di metterci sulle tracce di Donato Ferrara, «dichiarato irreperibile dal Comune di Prato nel 2020», come si legge nel decreto. In realtà non si è mai spostato e noi lo abbiamo scovato proprio lì. Quando lo raggiungiamo ha parcheggiato la sua Mercedes station wagon blu davanti a un’anonima palazzina anni ‘70 di tre piani ed è indaffarato a portare alcuni abiti in casa. Di fronte alla visita a sorpresa del cronista, mostra un certo savoir faire. Ha il fisico asciutto, capelli rasati, un filo di barba e indossa una camicia azzurra a pois. Ammette subito di essere lui il quasi inafferrabile Antonio Ferrante. Arsenio Ippolito«Lei fa il suo e non le dico nulla finché c’è il rispetto reciproco» ci avverte. «C’è un avvocato, c’è un’indagine in corso. Parli con il mio legale». Poi passa al contrattacco: «La Giosar non ha saldato il conto. La Cazzaro ha nascosto i soldi…». Di più non dice. Salvo contattarci telefonicamente più tardi: «Le volevo chiedere una cortesia: di non divulgare il mio indirizzo perché ho avuto delle minacce da parte della Stefania che ha soci calabresi appartenenti alla ‘ndrangheta e in più mi ha mandato a cercare da uno slavo a Praga e questo mi ha cercato tante volte e mi ha minacciato… il nome glielo faccio avere… non ho mai denunciato e non intendo denunciare, ma la Finanza le minacce le troverà sul mio cellulare. Io sono una persona molto tranquilla».Perché Ferrara e Ippolito hanno usato nom de plume ce lo spiega lo stesso «Antonio»: «Ennio mi chiama Totò come io chiamo lui “prof”. Quando lui mi ha chiesto di parlare con la Cazzaro era già venuto fuori il discorso di questi calabresi per cui dissi a Ennio: “Siccome la signora non conosce il mio vero nome e cognome continuiamo così, visto che io non voglio avere a che fare con le persone da lei nominate, con gente di quella categoria…”. E allora sono rimasto “Antonio”». Chiediamo a Ferrara quali «calabresi» abbia citato la Cazzaro e lui cincischia: «Devo vedere nei messaggi se mi ha fatto qualche nome. Comunque la Finanza ha tutto, visto che mi ha sequestrato il cellulare ed è tutto tracciato, anche questo slavo… mi ha chiamato più volte… mi ha inviato messaggi, mi ha mandato la foto del mio ufficio. Tornando ai calabresi non ricordo se me ne ha parlato direttamente Stefania, però, dagli atti emergono delle amicizie sue di origine calabrese che hanno precedenti».In realtà dal decreto risulta che sia un altro indagato a essere collegato, seppur indirettamente, con un calabrese in odor di ‘ndrangheta.La Cazzaro, che più che della malavitosa ha il phisique du role della zia specializzata nelle torte di mele, sotterra le accuse di Ferrante sotto una risata: «La verità è che io, come risulta dalle carte con gli ‘ndranghetisti calabresi non ho nulla a che vedere e quanto allo slavo, si tratta di un professionista croato, C.J., che si occupa di finanza e non di recupero crediti che ho mandato a Praga per capire che cosa ci fosse dietro a questa storia. Io volevo solo avere indietro i soldi della Ecotech, ma abbiamo verificato che all’indirizzo di Praga, indicato da Ferrante, erano domiciliate molte altre società». Parrebbe di capire che il quartiere generale della Noleggio car fosse uno di quegli uffici che fungono da domicilio per aziende senza una vera struttura. E la lista di auto che la Cazzaro a un certo punto ha ricevuto come garanzia? «Il documento con tutti i timbri me l’ha inviato il sedicente avvocato D’Andrea, ma visto quello che avete scoperto non mi fido più di nulla, neanche di quella carta, su cui farò fare le dovute verifiche». Ricerche che oggi potrebbero essere fuori tempo massimo e che in Lazio nessuno ha ritenuto di dover fare prima di gettare nel bidone dell’immondizia quasi 15 milioni di euro di denari pubblici. Uno spreco per cui la Corte dei conti ha contestato a Zingaretti un danno erariale da circa 11,7 milioni di euro. A febbraio, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il procuratore generale Pio Silvestri ha sottolineato l’«incauto affidamento» e la «tardiva denuncia» da parte della Regione.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.