2019-02-11
Gene Gnocchi: «Basta con gli scherzi. Lo dico da comico: la politica torni seria»
Ogni martedì in tv prende di mira i protagonisti del Palazzo: «Ora mi stanno rubando il mestiere. Li vorrei di nuovo onorevoli».Ci chiedevamo come può reagire un comico di fronte alla nomina di Lino Banfi all'Unesco. «Gli ho intitolato una delle mie magliette con dedica che vendo in televisione. Recita così: “Dopo Lino Banfi all'Unesco, mi aspetto premier Dj Francesco"».Questi sono gli ultimi modelli?«L'ultimissimo è questo: “Col governo i cantieri sono tutti bloccati: cosa andranno a vedere adesso i pensionati?". E poi: “Il governo non ha visto arrivare la recessione: forse perché non è arrivata a bordo di un barcone?"». Come le è venuta l'idea delle magliette politicizzate?«Cercavo semplicemente un'idea nuova per uscire dal solito monologo. Ci sono anche i gadget allegati. Come la nuova bevanda energetica per aiutare i navigator nei centri per l'impiego: il “NaviGatorade". Ho già un accordo col governo: con la vendita delle magliette, finanzieremo quota cento». Insomma adesso toccherà a lei scendere in campo?«Ci sto pensando. Per i comici sono tempi duri: ormai i politici vogliono toglierci il lavoro. La nostra categoria si difende come può: adesso con Toninelli e Bonafede c'è davvero troppa concorrenza». Nessun politico le telefona per protestare?«Ma no, gli va bene così. E lo capisco. Oggi qualunque cosa ti procuri visibilità, nel bene o nel male, è ben accetta». Insomma, anche loro cavalcano la satira?«Non è solo questo. Prima i politici erano infastiditi dalla satira, poi hanno cominciato a riderci sopra, ad approfittarne in qualche modo. Oggi però siamo andati oltre: sono loro stessi i primi a far battute. Hanno costruito un mondo a parte, fatto di selfie e post su facebook». Il politico si fa comico; e il comico di professione entra in agitazione. «Oggi quasi tutta la politica vuole dimostrare di essere in grado di scherzare. Anzi, diciamo che punta quasi esclusivamente sullo scherzo. Ma se Toninelli medesimo si mette a far battute sulle sue gaffes, sul tunnel del Brennero, poi per me diventa impossibile anticiparlo sul piano umoristico. Si restringe lo spazio per le caricature, non esiste più lo scarto comico. Il risultato è che oggi sono gli stessi politici, il più delle volte, a dettare la linea alla satira». L'ultimo episodio del genere?«Sicuramente il filmino del ministro Bonafede a Ciampino, mentre sbarca in Italia Cesare Battisti. Quando l'ho visto, con tanto di musichetta in sottofondo, mi sono detto: no, aspetta, ma è il ministro della Giustizia? Qui c'è qualcosa che non va». Quand'è che la realtà politica ha iniziato a superare l'immaginazione umoristica? «Direi con la vicenda del bunga bunga: da lì in poi la follia collettiva è dilagata». Almeno il suo amico e conterraneo piacentino Pierluigi Bersani, lo vogliamo salvare?«Bersani è una persona seria, spesso ci vediamo anche a Faenza, nel ristorante della mia famiglia. Quando era ancora nel Pd l'ho aiutato nella campagna elettorale, nel collegio di Salsomaggiore-Fidenza. Poi a un certo punto anche lui si è fatto prendere la mano con le metafore». Smacchiamo il giaguaro. La mucca nel corridoio. Il tacchino sul tetto. «Ecco queste cose non le accetto, neanche bonariamente. Non puoi fare i siparietti con Crozza. Persino Mario Monti, sotto i riflettori, voleva fare il simpatico col cagnolino sotto braccio. Non esiste. Da un politico mi aspetto altro».Cosa?«Studiare i problemi seriamente, cercare di risolverli, porsi degli obiettivi. Io ti voto perché tu sia migliore di me. Insomma, mi aspetto che siano “onorevoli" nel vero senso della parola». E dunque oggi di chi si fida? «Sono un elettore del Pd, deluso. Mio padre era un sindacalista Cgil, segretario della camera del lavoro di Parma. Da bambino, mi accompagnava ai comizi tenendomi per mano. Ho respirato da sempre la tradizione delle lotte per il lavoro. Ricordo gli operai della Barilla e della Salvarani che mi venivano a trovare a casa. Era il proletariato vero. Si percepiva la passione per le proprie idee e la volontà di difendere gli ultimi».Che fine ha fatto questa passione? «Oggi l'afflato nel Partito democratico si è un po' spento. Prendiamo il problema della sicurezza, o dell'immigrazione: sono grandi temi abbandonati nelle mani di Salvini. Se il Pd avesse avuto ancora il polso della gente, non lo avrebbe consentito». Oggi la sinistra è rappresentata dai Cinque stelle?«Adesso che li vedo al lavoro, direi di no. Un partito che si adagia su Salvini è tutto fuorché di sinistra. Certo, se l'apertura di Bersani ai grillini, nel 2013, avesse avuto successo, chissà come sarebbe finita». Prima della comicità, lei nasce calciatore. «Ho giocato a calcio da semiprofessionista fino ai 33 anni. Ero una buona mezzala. Sono arrivato in serie C con l'Alessandria allenata da Pippo Marchioro». Era incline al cabaret anche sul campo di calcio?«Ho concepito scherzi tremendi che sono rimasti negli annali. A Castiglione delle Stiviere ci facevano allenare quattro giorni a settimana, erano micidiali. Un giorno davvero non avevo voglia, così ho chiuso a chiave tutta la squadra negli spogliatoi. Visto che eravamo sul Garda, sono andato a fare un giro a Sirmione. Tre ore dopo sono tornato e li ho liberati».Gliel'hanno fatta pagare?«Ma no, lo sapevano che ero fatto così. Quando giocavo nel Vigolzone, serie promozione, ricordo un nubifragio spaventoso, con l'arbitro che non si decideva a sospendere la partita. Allora ho preso una seggiola e una canna da pesca e ho raggiunto l'area di rigore, coperta da una pozzanghera terrificante. Mi sono messo a pescare in area per protesta, mentre gli altri giocavano». In effetti un talento sprecato per i campi di gioco. «In quell'occasione alla fine l'arbitro capì e interruppe la partita. Comunque, scherzi a parte, sognavo davvero di fare il calciatore».E poi?«E poi alla fine degli anni Ottanta conobbi Zuzzurro e Gaspare allo Zelig di Milano. Ho fatto un provino per la trasmissione Emilio, e mi hanno preso subito». Un cult di Italia Uno.«Fu una stagione televisiva irripetibile. Ho avuto la fortuna di lavorare con grandi professionisti: Silvio Orlando, Athina Cenci, Giorgio Faletti. Poi Il Gioco dei nove e la grande avventura di Mai dire gol».Era l'epoca mitologica di Teo Teocoli nei panni di Felice Caccamo da Napoli. «Un genio. Con lui c'era un rapporto fantastico. Con la Gialappa's eravamo consapevoli di sperimentare un nuovo genere televisivo. E la gente che ci fermava per strada aveva subito apprezzato». Nostalgico?«Era una tv molto meditata. Oggi corriamo più veloce. C'è molta meno pazienza rispetto ai risultati». Se non ricordo male, nel programma lei interpretava un pittoresco corrispondente sportivo da Bergamo. «Si chiamava Ermes Rubagotti, un personaggio ispirato al mio passato calcistico. Deve sapere che nel Castiglione Football Club, stagione 1984-85, in squadra c'erano due cremonesi, cinque veronesi e sette bresciani».Una rosa multietnica.«E tra i bresciani c'era questo portiere leggendario dal dialetto incomprensibile. Quando doveva piazzare la barriera mi urlava robe del tipo: “Uldaulabal Gene!". Può immaginare: io ero il primo della barriera e non capivo una parola. Quell'anno avremo preso venti gol su punizione». Da qui è nato il personaggio.«Sì, tra l'altro il portiere in questione si chiama Claudio Ghezzi: oggi lavora con me a teatro. Faccio credere a tutti che è un tecnico del suono che arriva da Manchester». Lei non improvvisa mai?«Tutti i giorni, da sempre, giro con un bloc notes. Prendo appunti, qualsiasi pensiero lo metto su carta. Da lì può nascere qualsiasi cosa. Anche chi improvvisa, lo fa sempre sulla base di un canovaccio pensato in precedenza». Difficile fare satira ai tempi di internet?«In qualche modo la rete è diventato un ostacolo perché ciò che vorresti dire, da qualche parte nel web qualcuno potrebbe averlo già scritto. Partorire idee originali è sempre più complicato». A chi si ispira?«Sono molto legato alla scuola lombarda. Quella di Felice Andreasi, Cochi e Renato, Enzo Jannacci. Un genere comico surreale, quasi lunare. Che non tramonta mai».
Kim Jong-un (Getty Images)
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)