2018-06-27
«Basta aperture e liberalizzazioni. Con me riparte la lotta alla droga»
Il ministro rilancia la battaglia agli stupefacenti: «Contrasto e prevenzione sono la strada giusta da seguire Cannabis light? Ascoltiamo i timori degli esperti. E occhio ai siti che spiegano come fabbricare sostanze»Per la prima volta, dopo tanti anni, abbiamo un esecutivo che non teme di affrontare questioni drammatiche come la droga. Gli ultimi governi, di fatto, hanno ignorato il problema. E quando se ne parla sui media, di solito, lo si fa per sostenere la liberalizzazione delle droghe leggere. Lorenzo Fontana, ministro per la Famiglia e le disabilità, ha una visione diversa. Secondo lui, «il fenomeno delle dipendenze da sostanze stupefacenti ha assunto ormai proporzioni importanti» e «rischia di attirare sempre più le nuove generazioni». Motivo per cui, ha spiegato ieri, «è nostra ferma intenzione valorizzare l’importante esperienza del Dipartimento per le politiche antidroga che potenzierà, sia a livello nazionale che internazionale, le azioni di prevenzione, in collaborazione con le amministrazioni centrali e periferiche, per offrire servizi di supporto sempre più capillari sul territorio nazionale».«Credo che sia importante il contrasto al traffico di droga», spiega Fontana alla Verità, «perché stiamo parlando dell’attività illecita più redditizia al mondo. Ma c’è anche un problema culturale. Sembra quasi che negli ultimi tempi, siccome si parla meno della droga rispetto per esempio agli anni Ottanta, allora il problema sia scomparso. In realtà, i dati che emergono sono molto preoccupanti. Una fetta sempre maggiore della popolazione fa uso di droghe, e in età sempre più giovane. Sappiamo che gli effetti di queste dipendenze sono devastanti per i ragazzi e anche per le famiglie. Dunque la politica se ne deve occupare, sia con attività di contrasto allo spaccio sia con la prevenzione». Come intendete procedere? «Ovviamente ci sarà massima collaborazione con le forze dell’ordine e con il ministero dell’Interno. La settimana scorsa sono andato al Dipartimento antidroga e abbiamo fatto il punto su varie questioni. Oltre al grande traffico internazionale, che dobbiamo combattere, ci sono altri problemi a cui prestare attenzione. Ad esempio esistono numerosi siti Web che spiegano come crearsi una droga in casa utilizzando prodotti facilmente reperibili sul mercato. È una faccenda di cui occuparsi, perché stiamo parlando di droghe sintetiche molto pericolose, quindi è necessaria una specifica azione di contrasto. Poi, c’è da attuare un’importante azione a livello educativo e di sensibilizzazione». A proposito di educazione, nei giorni scorsi ha fatto discutere la «lezione» che Roberto Saviano ha tenuto su Rai 2 a favore della liberalizzazione delle droghe leggere. Un argomento di cui si parla spesso... «Guardi, io ho una concezione di questo tipo: se una cosa fa male, come fanno male le droghe, applico l’approccio del buon padre di famiglia. Il quale immagino non si auguri che i suoi figli facciano uso di stupefacenti. Qui è l’approccio culturale ad essere sbagliato. Bisogna capire che le droghe fanno male e fare di tutto perché i ragazzi (e non solo) non le assumano. Con la legalizzazione, il rischio è di far passare l’idea che il consumo di droghe non faccia male. Secondo me è un approccio sbagliato alla questione. Ciò non significa che l’approccio da me proposto sia facile. Anzi, probabilmente quella del contrasto e della prevenzione è la via più difficile. Ma credo che sia il buon senso a indicarcela». Che cosa pensa della cosiddetta cannabis light?«Il Consiglio superiore di sanità non ha escluso che possa fare male. Anche perché le quantità che se ne assumono possono essere anche notevoli. Io credo che bisognerebbe tenere in seria considerazione il parere degli esperti del Consiglio superiore di sanità e non consentire la vendita di questi prodotti». Avete in mente di organizzare iniziative di prevenzione nelle scuole?«Penso che verranno fatte. Ne discuterò con il ministro dell’Istruzione, proprio perché, come dicevo prima, il problema delle dipendenze è ancora grave. Non solo non è stato risolto, ma aumenta e questo può compromettere il nostro futuro». Che non sia risolto lo dimostrano vicende come quelle di Pamela Mastropietro. «Già, una ragazza giovanissima che purtroppo aveva un problema di dipendenza. La sua storia fa capire quanto sia grave la situazione e quanto il contrasto alla droga vada attuato al massimo delle possibilità». Nell’azione di contrasto coinvolgerete anche gli enti locali?«Sì, il loro coinvolgimento è indispensabile. Un’azione di sensibilizzazione è necessaria a ogni livello, ma è importantissimo rapportarsi con chi conosce le singole realtà e le loro problematiche specifiche». Insomma, la sua linea è chiara: contrasto, educazione, prevenzione e nessuna apertura alle liberalizzazioni. «Da parte mia nessuna apertura. Un buon padre non vuole che i suoi figli si droghino».
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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