2020-01-19
Il deficit del 2019 sarà il più basso da 12 anni
Secondo le stime, il rapporto deficit/Pil 2019 si attesterà poco sotto il 2,2%, il più basso dal 2007. Giù anche il costo del credito. Ricordate lo stato di perenne agitazione costellato da annunci apocalittici che accompagnò la trattativa sulla manovra tra Bruxelles e il governo gialloblù sul finire del 2018? Lega e M5s avevano osato sfidare Jean-Claude Juncker e soci, fissando al 2,4% il rapporto deficit/Pil per il 2019. Apriti cielo: minacce, avvertimenti e pizzini si sono susseguiti dalla pubblicazione della bozza programmatica di bilancio, consegnata ai commissari a metà ottobre, fino a ridosso delle festività natalizie. Partiamo con il raccontarvi un fatto che, rispetto a quanto avvenuto in quelle concitate settimane, ha dell'incredibile. Secondo le stime contenute nel Bollettino economico pubblicato da Banca d'Italia venerdì, nel 2019 il rapporto deficit/Pil dovrebbe attestarsi a un livello di poco inferiore al 2,2% registrato nel 2018. Il più basso da oltre un decennio, scrive Bankitalia (e l'agenzia Reuters sottolinea che l'ultima volta che l'Italia ha registrato un disavanzo inferiore al 2,2% è stata nel 2007). Un valore che lo scorso settembre il governo giallorosso aveva fissato come obiettivo per l'anno appena trascorso. Secondo Palazzo Koch, infatti, «le informazioni preliminari disponibili per il 2019 segnalano una lieve flessione dell'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil».Le buone notizie non finiscono qui. Nonostante la congiuntura economica tutt'altro che favorevole («la crescita globale è rimasta contenuta») e le tensioni sul piano del commercio internazionale («le prospettive rimangono incerte e sono in aumento le tensioni geopolitiche»), l'occupazione è cresciuta (si parla del terzo trimestre, quando era ancora in carica l'esecutivo gialloblù) e le prospettive di crescita migliorate. Per Via Nazionale, infatti, nel 2019 il Pil dovrebbe crescere dello 0,5%, con effetti positivi sul 2020 (+0,9%) e 2021 (+1,1%). Deliziosa la ciliegina sulla torta: a dispetto dei tifosi del «forza spread», Bankitalia fa notare che «il costo del credito è sceso, in modo significativo per le famiglie».Un ceffone per chi, come Pier Carlo Padoan, aveva definito «irresponsabile» la scelta di premere sull'acceleratore del deficit. Nel suo editoriale pubblicato per Democratica del 28 settembre 2018, il predecessore di Giovanni Tria non ne azzeccava praticamente una: «Il debito rispetto al Pil smetterà di scendere e ricomincerà a salire. I tassi di interesse sui titoli di Stato schizzeranno in alto, come già sta avvenendo. Spread più elevati impatteranno negativamente sui bilanci delle banche, deprimendone le quotazioni, come pure sta già avvenendo. Aumenteranno i costi del finanziamento per famiglie e imprese».Ma più dell'opposizione, a lasciare di sasso in quel periodo fu l'atteggiamento dei media. Con un vero e proprio coup de théâtre, il 1° novembre di quell'anno il Corriere della Sera - il più venduto quotidiano italiano - titolava così: «Deficit, pronta la procedura Ue». Consegnando alla penna del vicedirettore Federico Fubini, con ben venti giorni di anticipo sulla decisione ufficiale, la responsabilità di quell'infausto proclama. «Visto l'andamento del debito pubblico», scriveva Fubini, «il 21 novembre, a meno di cambi di rotta sostanziali, l'Europa aprirà una procedura di infrazione contro l'Italia. Non accade da cinque anni. E se per Tria l'allarme non è giustificato, il presidente Sergio Mattarella rimarca la necessità di tutelare il risparmio». E sempre sulla paura più concreta, quella cioè di perdere i propri soldi, faceva leva il fondo di Nicola Saldutti («Le famiglie da tutelare»). All'interno del giornale, Ignazio Visco metteva in guardia dai «gravi effetti» legati all'aumento dello spread.Per certi versi, quella edizione e alcune altre dei giorni successivi passarono alla storia del giornalismo italiano. Il 31 dicembre 2018, l'inviato del Corriere a Bruxelles, Ivo Caizzi, decide di inviare una lettera ai colleghi del comitato di redazione del quotidiano. Nella missiva, Caizzi lamentava l'annuncio di una «“procedura d'infrazione" Ue contro l'Italia inesistente, oltre che tecnicamente impossibile, in quella data». L'inviato confessava poi di non ricordare nella sua carriera trentennale «un'altra “notizia che non c'è" simile», e puntava il dito contro il direttore Luciano Fontana accusato di «aver dato il massimo risalto possibile a quello “scoop" pur sapendo che non si era mai arrivati nemmeno alla fase iniziale della proposta tecnica dei commissari Ue».Nonostante i disperati tentativi da parte di Palazzo Chigi di rassicurare cittadini e investitori, ormai la frittata era fatta. La punizione da parte della Commissione europea veniva data ormai per scontata, e già ci si preparava a dover pagare lo scotto di quella imperdonabile alzata di testa. Come andò a finire lo sappiamo tutti. Poche settimane dopo, il negoziato mai interrotto con Bruxelles permise di evitare la procedura di infrazione, e il governo acconsentì a ridurre l'obiettivo del rapporto deficit/Pil al 2,04%. Nei mesi successivi, però, l'esecutivo rimase sotto attacco a seguito della scelta di portare avanti le due misure più contestate, ovvero il reddito di cittadinanza e «quota 100», entrambe accusate di mettere a repentaglio i conti pubblici. Come confermato dai dati diffusi da Bankitalia, almeno nel breve periodo sappiamo che non è così. Nel frattempo, proprio in questi giorni la Francia ha confermato che chiuderà il 2019 con un indebitamento sul Pil pari al 3,1%. Forse sarebbe convenuto anche a noi fare orecchie da mercante e sparare in alto con il deficit.
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