
Palazzo Chigi pronto a difendere la sua posizione: la Bolkestein non si applica perché non c’è scarsità.«L’autorizzazione rilasciata al prestatore non ha durata limitata»; «Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento»: recitano così gli articoli 11 e 12 della direttiva Bolkestein, in base alla quale l’Unione europea vorrebbe costringere l’Italia a mettere a gara le concessioni balneari. Proprio questi articoli, in particolare il 12, saranno al centro della interlocuzione tra il nostro governo e l’Europa: entro il 16 gennaio, l’esecutivo dovrà fornire delle risposte alle osservazioni dell’Ue in materia di uso degli arenili, con la Commissione europea che potrebbe deferire l’Italia alla Corte di giustizia europea. In riferimento alla questione, in conferenza stampa, Giorgia Meloni ha sottolineato che «questo governo ha fatto per la prima volta un lavoro che curiosamente nessuno aveva fatto prima, ovvero la mappatura delle nostre coste per stabilire se esista o non esista il principio della scarsità del bene, che è fondamentale per l’applicazione della Bolkestein. Da quanto la direttiva è entrata in vigore», ha aggiunto, «nessuno ha ritenuto di doverlo fare, mentre noi abbiamo proceduto molto velocemente e con un lavoro serio». Quel «qualora» col quale inizia l’articolo 12 della direttiva, infatti, è lo scudo che potrebbe proteggere le 300.000 famiglie italiane che lavorano, producono e pagano le tasse gestendo stabilimenti balneari. La scarsità delle risorse naturali, infatti, è un presupposto che in Italia, per il governo, non sussiste: l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha verificato che, senza considerare laghi e fiumi, solo il 33% delle coste italiane è stato assegnato in concessione. Dal totale sono già stati esclusi i porti commerciali e delle riserve naturali. Chi vuole a tutti i costi far passare gli imprenditori del settore come privilegiati sottolinea come nel conteggio totale siano state inserite anche le coste rocciose, come se non ci fossero stabilimenti balneari, a volte pure assai prestigiosi, poggiati appunto sulle rocce, realizzati in modo compatibile con l’ambiente e assai suggestivi (l’acqua del mare, nelle zone rocciose, è mediamente più pulita). Altro che scarsità di risorse: la concorrenza nel settore balneare è assicurata da quel quasi 70% di costa disponibile, al di là, come abbiamo detto, di laghi e fiumi, neanche inseriti nel conteggio. È prevedibile che questi dati verranno utilizzati dal governo per scongiurare la procedura di infrazione. Purtroppo, anche in questa vicenda, così come in tante altre, ha un peso la disinformazione, dolosa o colposa che sia: si dipinge l’imprenditore balneare come un miliardario alle prese con una clientela Vip, che fa pagare un lettino 500 euro al giorno e magari paga pure le tasse all’estero. Chi però, come milioni di italiani, ha a che fare ogni estate con i gestori degli stabilimenti balneari, sa benissimo che la stragrande maggioranza di questi hanno aziende a conduzione familiare, i cui proprietari si spaccano la schiena per pulire la spiaggia, montare e smontare lettini e ombrelloni, servire bibite e pasti ai clienti, oltre a curare la spiaggia o il tratto di costa rocciosa avuta in concessione anche in inverno. Tutto questo per 15 o 20 euro per due lettini o un ombrellone: la concorrenza esiste eccome, le località turistiche non hanno un solo stabilimento che opera in regime di monopolio, e quindi gli operatori devono guadagnarsi la clientela attraverso i due parametri che reggono l’economia: costi più bassi possibile, qualità più alta possibile. Un’altra polemica di questi giorni riguarda la riduzione del 4,5% del canone 2024, che alcuni hanno definito un regalo ai balneari, senza sapere, o probabilmente facendo finta di non sapere, che questo calo deriva dall’automatico adeguamento all’inflazione di qualsiasi contratto di locazione: l’anno scorso il canone era aumentato del 25%, nel 2022 dell’11%. «Il nostro auspicio», dice alla Verità Fabrizio Licordari, presidente di Assobalneari, che aderisce a Federturismo di Confindustria, «è che sia proprio Giorgia Meloni in persona a confrontarsi con la Commissione europea. Dagli incontri che abbiamo avuto, abbiamo verificato come la Meloni sia perfettamente a conoscenza di tutti gli aspetti della questione e che abbia una ferrea determinazione».
Silvia Salis (Imagoeconomica)
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