
Massimo Camisasca scrive al giornale della Cei criticando «l'interruzione traumatica» imposta dal Vaticano all'istituto per la famiglia con la cacciata dei professori fedeli a Karol Wojtyla. Ma le sue parole vengono modificate e ritorte contro chi ha sollevato lo scandalo.Sfumature. Un verbo al posto di un altro, una manina sapiente che ammorbidisce un concetto, una montagna himalaiana che diventa collina dolce, quasi insignificante nel contesto di una narrazione potente come può essere quella di monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, una delle menti più illuminate della Chiesa. Sfumature che anestetizzano il pensiero e trasformano una critica a papa Francesco (educata, rispettosa, ma non per questo mitigabile) in un biasimo fasullo a chi ha scoperchiato l'ultima botola vaticana: l'intento di azzerare, anzi sciogliere nell'acido l'esperienza formativa e il simbolico magistero dell'Istituto Giovanni Paolo II.Sfumature, cosa vuoi che sia nell'era del gran rumore dei social? Basta cambiare una parola, trasformare un «segnare» in un «rappresentare» dentro una lettera firmata dal vescovo al quotidiano Avvenire e il mondo è più tranquillo, il fiume è più navigabile. Soprattutto il Gran cancelliere Vincenzo Paglia, autore di una riforma con epurazioni (nel senso di allontanamento di docenti legati al pontefice polacco) che somigliano a una damnatio memoriae del Papa santo, può dormire sonni tranquilli. L'evoluzione della faccenda è curiosa ma non stupefacente e si inserisce nel panorama di consenso plastificato, di facciata, che i trombettieri vaticani vogliono dipingere attorno al pontificato di Jorge Bergoglio.Accade che lo smantellamento dell'istituto così com'era stato pensato e strutturato faccia rumore, che i firmatari della lettera contro la riforma diventino oltre 900 (compresi i 183 studenti attuali) e che un prelato del calibro di Camisasca decida di prendere carta e penna, e scrivere il suo pensiero ad Avvenire. La lettera viene pubblicata sabato scorso, è lunga e articolata, e non potrebbe essere diversamente perché il vescovo di Reggio Emilia fu studente, docente, vicepreside nell'istituto durante gli anni della presidenza di Carlo Caffarra e di Angelo Scola. Caffarra era uno dei quattro cardinali che espressero i «dubia» sulla Amoris Laetitia.Nel passaggio incriminato, Camisasca dice: «La continuità del magistero è la chiave ermeneutica fondamentale della vita della Chiesa. Perché allora rappresentare oggi un'interruzione profonda e traumatica nei confronti del lavoro svolto dall'Istituto Giovanni Paolo II? Perché offrire agli studenti l'impressione di una novità radicale che preoccupa e confonde, come alcuni di essi hanno manifestato?». La lettura è semplice, sembra che il vescovo critichi chi rappresenta la contrapposizione e la polemica all'interno di un'evoluzione naturale. Quindi i media scettici, quelli che hanno sollevato il problema, anche La Verità. Le sue parole danno buona sponda al giornale della Cei per sottolineare - mentre la vicenda lascia per strada vittime come nell'abbazia del Nome della rosa - che «non c'è alcuna resa dei conti all'interno dell'istituto». il gioco di prestigioPoi accade qualcosa di stupefacente. Due giorni dopo lo stesso Camisasca rilascia un'intervista a Matteo Matzuzzi del Foglio, nella quale tiene a precisare, con santa e curiale perfidia: «È vero che ogni Papa porta un proprio accento e delle proprie sottolineature. E questa è anche la grandezza di ogni singolo pontificato. Ma è anche vero che si tratta di una comprensione sempre nuova dell'unico mistero. “Perché allora - scrivevo su Avvenire - segnare oggi un'interruzione così profonda e traumatica nei confronti dell'Istituto Giovanni Paolo II? Perché offrire agli studenti l'impressione di una novità radicale che preoccupa e confonde, come molti di essi hanno manifestato" nella lettera agli studenti?». Segnare, ma non aveva scritto rappresentare? Dal nero al bianco, dalle tenebre alla luce. Se «rappresentare» diventa «segnare» (e se «alcuni» diventano «molti», in relazione agli studenti in rivolta) la frase ha un significato ben diverso, addirittura opposto rispetto a quella proposta da Avvenire. Perché l'obiettivo della critica di Camisasca non è più il circo mediatico degli scettici ma monsignor Paglia, autore della riforma. E papa Francesco che l'ha auspicata e benedetta. Et voilà, dicono i prestigiatori dopo aver fatto uscire il coniglio bianco dal cilindro. Il gioco è fatto. I giornalisti fanno la parte dei cattivi e i molti studenti diventano alcuni; come direbbe Emmanuel Macron, quantité négligeable. Sindrome del consensoSembra quasi che il vescovo, per poter divulgare il suo reale pensiero, abbia dovuto rilasciare un'intervista successiva a un altro quotidiano perché la lettera era stata manomessa. Sembra. Ma anche se la sindrome da consenso assoluto alligna ai vertici della comunicazione Oltretevere, riesce difficile pensare che un giornale santo con la morale in tasca giochi con le parole del suo editore. Anche il Foglio sospetta, sottolinea in un corsivo il possibile intervento di uno «zelante correttore di bozze». Modellare il pensiero era uno dei pilastri della cultura marxista e trovava la sua più perfetta applicazione nel socialismo reale. Un giorno monsignor Caffarra disse: «Preferirei che si dicesse che l'arcivescovo di Bologna ha l'amante piuttosto che si dicesse che ha un pensiero contrario a quello del Papa». Non ce n'è bisogno, abbiamo visto che concetti e parole cambiano facilmente. Una volta si chiamava censura, adesso editing.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.