
Il riordino degli incentivi «green» causa un cortocircuito nel dl fiscale. Per continuare a godere delle tariffe agevolate si dovrà versare una cifra. Gettito stimato 123 milioni di euro: spremuti da chi straparla di ambiente.L'ambiente è ormai una coperta che chi ci governa può tirare a piacimento per coprire le magagne, per tappare i buchi e creare nuove tasse. Pensate semplicemente alle disposizione inserite nel documento programmatico di bilancio che andranno a impedire la detrazione delle auto aziendali se considerate vecchie e inquinanti. Quali aziende, se potessero cambiare parco auto, non l'avrebbero già fatto? È chiaro che rimandando l'investimento a tempi migliori si troveranno più costi sul groppone. E lo Stato avrà più gettito per finanziare il debito pubblico. Ancora più emblematico è il balzello frutto di una sanatoria che compare nell'ultima bozza del decreto fiscale. L'articolo 35 è tutto dedicato agli incentivi del conto energia validi per aziende e privati. Da anni esistono contenziosi legati alle norme introdotte da Giulio Tremonti negli anni Duemila. Si trattava di agevolazioni per compensare gli investimenti sul fotovoltaico e su altre forme di energia rinnovabile. Con il passare degli anni le leggi si sono evolute e anche sovrapposte, tanto che molti contribuenti si sono trovare a usufruire di un cumulo di incentivi. Secondo le disposizioni più recenti (vedi i comunicati del Gse datati 2017) quel vecchio incentivo non si può sommare ai benefici fiscali dei Conti energia più recenti. Per uscire dall'impaccio, il governo ha pensato bene di tirare un linea e fare una specie di sanatoria, salvo chiedere a «chi intenderà godere delle tariffe incentivanti riconosciute dal gestore il pagamento di una somma», che sarà frutto di un media ponderata tra la variazione effettuata in dichiarazione e l'aliquota ponderata. Tecnicismi molto complessi che il governo sintetizza alla fine del paragrafo. Dove stima di incassare nel 2020 dalla disposizione 123 milioni di euro. Che sia un condono o un balzello (legittimo dal punto di vista tecnico), ciò che stride (dal punto di vista politico) è che a parole i giallorossi si riempiono la bocca di ambiente e Green new deal, nella sostanza se c'è margine di prelievo si sceglie di penalizzare chi in anni non sospetti ha scelto le rinnovabili. Senza dimenticare che i costi del settore e di tutti gli altri incentivi sono già spalmati nelle bollette degli italiani. Se proprio qualcuno dovesse pagare un extra (questi 123 milioni), non dovrebbe certo versarlo allo Stato ma a chi fino ad oggi ha finanziato (tramite bolette) l'intero settore. Le bugie politiche, d'altronde, hanno le gambe corte. Così come la schizofrenia degli interventi. Nel decreto fiscale (arrivato alla sua quinta bozza) e nel testo inviato a Bruxelles non c'è alcun riferimento al bonus verde, una misura introdotta lo scorso anno. Il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, avrebbe spinto al contrario per inserire il bonus Facciata. Un incentivo a ristrutturare gli immobili integrandoli nel contesto urbano. «È importante che il bonus verde venga confermato anche per gli anni 2020 e 2021 nell'ambito dei provvedimenti connessi alla manovra economica. Si deve dare continuità a uno strumento che ha permesso di far crescere il verde privato, in giardini, terrazzi e balconi, con un positivo effetto a favore delle imprese vivaistiche e della manutenzione del verde, ma anche dell'ecosistema e del contrasto dei cambiamenti climatici», ha sottolineato il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, mentre i florovivaisti, che rappresentano 100.000 posti di lavoro, temono licenziamenti. Evidentemente i giallorossi preferiscono erogare incentivi all'edilizia, salvo poi scoprire che nella bozza del decreto ambiente sono stanziati circa 30 milioni di euro per la piantumazione delle aree urbane. Anzi, per la precisione, il testo in uscita dal ministero di Sergio Costa parla di «forestazione nelle aree urbane» che coinvolge però gli enti locali e non i singoli cittadini. In sostanza, si scombussola i piani dei privati e dei condomini che avevano programmato interventi a favore dei giardini, si dirottano i fondi per le facciate e al tempo stesso si spendono soldi per gli enti locali che dovranno piantare alberi per poi partecipare al concorso che eleggerà il Comune più verde d'Italia (non è una battuta). Negli anni successivi i medesimi Comuni dovranno spendere soldi per la manutenzione, ma saranno privi di fondi. Così quegli alberi seccheranno e non daranno alcun beneficio all'ambiente. Al contrario i giardini dei privati, come dice il termine stesso, sono a carico dei proprietari. La manutenzione avrebbe portato più fatturato e lavoro per i 100.000 addetti. Tradotto: più Pil e più gettito per lo Stato e meno C02 per l'ambiente. Ma se si ragiona a slogan e sotto l'effetto della droga delle tasse si finisce solo con il creare circoli viziosi.
John Grisham (Ansa)
John Grisham, come sempre, tiene incollati alle pagine. Il protagonista del suo nuovo romanzo, un avvocato di provincia, ha tra le mani il caso più grosso della sua vita. Che, però, lo trascinerà sul banco degli imputati.
Fernando Napolitano, amministratore delegato di Irg
Alla conferenza internazionale, economisti e manager da tutto il mondo hanno discusso gli equilibri tra Europa e Stati Uniti. Lo studio rivela un deficit globale di forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero, elementi chiave che costituiscono il dialogo tra imprese e decisori pubblici.
Stamani, presso l’università Bocconi di Milano, si è svolta la conferenza internazionale Influence, Relevance & Growth 2025, che ha riunito economisti, manager, analisti e rappresentanti istituzionali da tutto il mondo per discutere i nuovi equilibri tra Europa e Stati Uniti. Geopolitica, energia, mercati finanziari e sicurezza sono stati i temi al centro di un dibattito che riflette la crescente complessità degli scenari globali e la difficoltà delle imprese nel far sentire la propria voce nei processi decisionali pubblici.
Particolarmente attesa la presentazione del Global 200 Irg, la prima ricerca che misura in modo sistematico la capacità delle imprese di trasferire conoscenza tecnica e industriale ai legislatori e agli stakeholder, contribuendo così a politiche più efficaci e fondate su dati concreti. Lo studio, basato sull’analisi di oltre due milioni di documenti pubblici elaborati con algoritmi di Intelligenza artificiale tra gennaio e settembre 2025, ha restituito un quadro rilevante: solo il 2% delle aziende globali supera la soglia minima di «fitness di influenza», fissata a 20 punti su una scala da 0 a 30. La media mondiale si ferma a 13,6, segno di un deficit strutturale soprattutto in tre dimensioni chiave (forza settoriale, potere mediatico e leadership di pensiero) che determinano la capacità reale di incidere sul contesto regolatorio e anticipare i rischi geopolitici.
Dai lavori è emerso come la crisi di influenza non riguardi soltanto le singole imprese, ma l’intero ecosistema economico e politico. Un tema tanto più urgente in una fase segnata da tensioni commerciali, transizioni energetiche accelerate e carenze di competenze nel policy making.
Tra gli interventi più significativi, quello di Ken Hersh, presidente del George W. Bush Presidential Center, che ha analizzato i limiti strutturali delle energie rinnovabili e le prospettive della transizione energetica. Sir William Browder, fondatore di Hermitage Capital, ha messo in guardia sui nuovi rischi della guerra economica tra Occidente e Russia, mentre William E. Mayer, chairman emerito dell’Aspen Institute, ha illustrato le ricadute della geopolitica sui mercati finanziari. Dal fronte italiano, Alessandro Varaldo ha sottolineato che, dati alla mano, non ci sono bolle all’orizzonte e l’Europa ha tutti gli ingredienti a patto che si cominci un processo per convincere i risparmiatori a investire nelle economia reale. Davide Serra ha analizzato la realtà Usa e come Donald Trump abbia contribuito a risvegliarla dal suo torpore. Il dollaro è molto probabilmente ancora sopravvalutato. Thomas G.J. Tugendhat, già ministro britannico per la Sicurezza, ha offerto infine una prospettiva preziosa sul futuro della cooperazione tra Regno Unito e Unione Europea.
Un messaggio trasversale ha attraversato tutti gli interventi: l’influenza non si costruisce in un solo ambito, ma nasce dall’integrazione tra governance, innovazione, responsabilità sociale e capacità di comunicazione. Migliorare un singolo aspetto non basta. La ricerca mostra una correlazione forte tra innovazione e leadership di pensiero, così come tra responsabilità sociale e cittadinanza globale: competenze che, insieme, definiscono la solidità e la credibilità di un’impresa nel lungo periodo.
Per Stefano Caselli, rettore della Bocconi, la sfida formativa è proprio questa: «Creare leader capaci di tradurre la competenza tecnica in strumenti utili per chi governa».
«L’Irg non è un nuovo indice di reputazione, ma un sistema operativo che consente alle imprese di aumentare la protezione del valore dell’azionista e degli stakeholder», afferma Fernando Napolitano, ad di Irg. «Oggi le imprese operano in contesti dove i legislatori non hanno più la competenza tecnica necessaria a comprendere la complessità delle industrie e dei mercati. Serve un trasferimento strutturato di conoscenza per evitare policy inefficaci che distruggono valore».
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