2020-09-22
Avanza, ma non sfonda. Il centrodestra abbandona il sogno della spallata
Giorgia Meloni e Matteo Salvini (Ansa)
La coalizione (Giorgia Meloni in testa) si gode le Marche. Matteo Salvini: siamo 15 a 5. I flop di Massimo Caldoro e Raffaele Fitto frustrano l'opposizione. La Lega: «Quest'Aula non può votare il capo di Stato».Vincono i governatori, con quei volti nascosti per mesi dietro le mascherine. «Chi ha combattuto il Covid passa all'incasso», è commento più diffuso nelle segreterie dei partiti di centrodestra dove la tornata elettorale non ha il sapore del trionfo di conquista, ma quello pur dolce e vissuto del consolidamento. «Se il voto in Val d'Aosta si conferma abbiamo la leadership in 15 regioni su 20, avanti tutta con i programmi e con la buona amministrazione», è la sintesi di Matteo Salvini che si affida ai numeri (difficile trovare qualcosa di meno opinabile) per spiegare lo scenario. L'alleanza blu ha confermato Liguria e Veneto trionfando senza mai rischiare, con il classico giro di vantaggio, e ha guadagnato la bandierina sulle Marche, regione rossa da mezzo secolo come e più dell'Emilia Romagna, dove non ha avuto alcun seguito il consueto, vuoto allarme antifa.I segnali più eloquenti sono l'uragano di voti di Luca Zaia in Veneto (75,7%) e di Giovanni Toti in Liguria (55,2%), conferme totali di un progetto vincente. E se il governatore del Veneto è una macchina di consensi lanciata verso il terzo mandato (ormai la regione ha il soprannome di Zaiastan), il successo ligure rappresenta un record che lo stesso Toti sottolinea al momento di tirare le somme. «Per la prima volta il centrodestra viene riconfermato, è la più grande vittoria della nostra storia. Soprattutto se pensiamo che qui c'era l'unica alleanza organica Pd-5 stelle, quindi hanno fatto passerella leader e ministri. Abbiamo fatto crollare il grillismo nella regione dov'era nato». Nella foto ricordo entra a buon diritto anche Francesco Acquaroli, che Giorgia Meloni ha fortemente voluto a capo della coalizione marchigiana, e che ha ripagato la fiducia con sobria concretezza, senza mai rischiare.Archiviati i brindisi è tempo di analisi. E i temi nel campo del centrodestra, che si conferma maggioranza nel Paese, sono sostanzialmente tre. Il primo, quello che piace di più ai media govenativi ma che non ha alcuna concretezza, è il ruggito personale di Zaia che metterebbe in difficoltà la leadership di Salvini. La lista del doge ha ottenuto il 47,7%, la Lega il 15,4%, ma nessuno dentro il partito mette questi due dati in contrapposizione. La risposta arriva da Zaia stesso, che in serata chiarisce: «Non ho ambizioni nazionali né di partito»: Il leader leghista l'aveva anticipato: «Non temo competizioni interne con nessuno, Zaia non è solo uno dei governatori più amati d'Italia ma d'Europa. Quella di avere il 60% in consiglio regionale del Veneto è una cosa semplicemente meravigliosa». Poi è fondamentale l'analisi della sconfitta in Campania e Puglia, dove Massimo Caldoro e Raffaele Fitto sono stati travolti. Fino all'ultimo Salvini aveva sperato in nomi diversi, che suscitassero curiosità e apprezzamento. E la batosta la dice lunga su candidati del passato, superati da dialettiche e linguaggi del tutto nuovi. Sopratutto in Forza Italia il vecchio invecchia e il nuovo non è ancora protagonista. E questa valutazione introduce il terzo argomento, la classe dirigente del centrodestra, che può contare su giovani in sorprendente e positiva evoluzione come Susanna Ceccardi (il suo 40% nella roccaforte rossa italiana viene considerato un successo) ma non ha completato il salto generazionale. In questo senso, la coalizione è a metà del guado. Il panorama sembra fermo, l'esito delle regionali ufficializza la palude. E crea nel centrodestra un latente senso di frustrazione. Forse per provare a dare una spallata è proprio Salvini a fare suo un tema che in queste ore piace a molti costituzionalisti. «Questo Parlamento da modificare nei numeri non è più rappresentativo del Paese». Come a dire che solo le elezioni potrebbero consentire un nuovo assetto parlamentare per eleggere il prossimo capo dello Stato. È praticamente impossibile che Sergio Mattarella faccia passi verso lo scioglimento delle Camere. Anzi, il voto senza spallate dà certamente forza al governo, che può mettere in cantiere la nuova legge elettorale con assoluta calma. Sul referendum, Salvini ribadisce la posizione della Lega: «Il voto degli italiani ha fatto giustizia di tante chiacchiere. Per quattro volte abbiamo votato il taglio in Parlamento e la quinta fuori. Ora è fondamentale costruire una leggere elettorale che dia certezze al Paese. Spero che non si torni alla palude del proporzionale, dove un partitino da 2% come quello di Matteo Renzi condizionerebbe tutto. Stasera nelle regioni i cittadini sanno da chi saranno governati».Avanti tutta, con la determinazione di doversi opporre all'immobilismo della maggioranza e di proseguire nella costruzione di una nuova classe dirigente. Quanto alla leadership interna all'alleanza, sembra l'ultimo dei problemi. È ancora il numero uno della Lega a sintetizzare il tema, tornando alla forza tranquilla dei numeri. «Le leadership vengono decise dai cittadini con il voto. E la Lega è il primo partito nel Paese e nel centrodestra».