C’è un equivoco di fondo sulla storia recente della politica italiana a proposito della questione palestinese e di Israele. L’equivoco è che il Msi, il Movimento sociale italiano, sia rimasto in freezer fino ai primi anni Novanta. In realtà negli anni Ottanta il partito di Giorgio Almirante preferì ignorare le aperture di Craxi, presidente del consiglio, e rimanere nel proprio «splendido isolamento». Il banco di prova in particolare - ed ecco cosa c’entra la questione palestinese - fu la vicenda di Sigonella, la prima crisi di governo scatenata da un tema di politica estera, e i cui riflessi arrivano fino ad oggi.
Ora un saggio, in libreria in questi giorni, di un giovane storico (25 anni), Filippo Giardini, Sigonella vista da destra, sottotitolo Atlantismo e dialogo interpartitico nel neofascismo italiano dal dopoguerra agli anni Ottanta (Settimo Sigillo, euro 33), ricostruisce fatti e antefatti, dalla nascita del Msi agli anni Ottanta, con vari retroscena e diverse sorprese.
Il 10 ottobre 1985 il presidente del consiglio Bettino Craxi, d’accordo con il ministero degli Esteri Giulio Andreotti e tra le proteste del ministro della Difesa Giovanni Spadolini, non esita a schierare con il mitra spianato 50 carabinieri contro 50 marines attorno al boeing con a bordo i quattro palestinesi sequestratori della nave da crociera Achille Lauro (che vengono consegnati ai magistrati italiani), fatto atterrare dai caccia americani nella base - Nato non Usa - di Sigonella in Sicilia. Il 12 il boeing egiziano che trasporta Abu Abbas, inviato di Arafat per risolvere il sequestro della Lauro ma anche leader del Fronte di liberazione della Palestina ovvero l’organizzazione che ha effettuato l’attacco, con le stesse modalità viene fatto atterrare a Ciampino, ma le autorità italiane rifiutano di consegnarlo agli americani.
Per farla breve il Msi-Dn nelle esternazioni ufficiali è il partito più filosionista, dopo il Pri di Spadolini, più filoatlantico o meglio più filoamericano del parlamento italiano. Anche se questo provoca «la spaccatura tra la maggioranza fedele al segretario», annota Filippo Giardini. Le valutazioni attorno al caso Sigonella, secondo l’autore, sono «il momento in cui si incrinò l’assolutismo varato da Almirante tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta». Viene visto come un cedimento agli oppositori interni l’ordine del giorno che il 27 ottobre 1985 il Comitato centrale del partito approva «a larga maggioranza», proposto dalla «voce fuori dal coro» Giuseppe «Beppe» Niccolai, in cui si ribadisce senza mezzi termini «l’insopprimibile diritto a una patria, sia per gli israeliani che per i palestinesi».
Oltre le «eresie» che hanno attraversato la frastagliata area negli anni Sessanta e Settanta, come l’Organizzazione di lotta di popolo (che nella sigla addirittura richiama l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina), Giovane Europa e diverse altre dichiaratamente antisioniste e filopalestinesi, ora il tema impatta su base e dirigenti. Nella vicenda dell’Achille Lauro la posizione ufficiale dei vertici del Msi è quella del partito della fermezza.
Per Pino Romualdi, storico leader missino, il vero errore del presidente Usa Ronald Reagan «non è stato quello di violare lo spazio aereo italiano ma di non averlo fatto con maggiore decisione». Mario Tedeschi dalle colonne del Borghese accusa Craxi di farsela «con un personaggio come Arafat: mentitore abituale, capo notorio di bande di terroristi e assassini». Giorgio Almirante al Comitato centrale del 27 ottobre ufficializza queste posizioni, compiacendosi di aver «smitizzato il presunto neonazionalismo di Craxi» e conferma la parità vigente tra alleati, grazie anche alla battaglia condotta dai neofascisti ai tempi dell’adesione al Patto atlantico. Eppure nell’ordine del giorno approvato «a larga maggioranza» Beppe Niccolai, in nome dei principi fondativi del Msi-Dn, è riuscito a infilare, oltre al diritto alla Patria anche per i palestinesi e alla «più dura condanna dei terroristi arabi», l’affermazione per cui il partito «rivendica la piena dignità della nostra presenza paritaria nell’Alleanza atlantica, come nazione indipendente non a sovranità limitata». «La sovranità limitata è in realtà» spiegherà Niccolai, «la condizione del nostro Paese».
Tutti temi che sono nel Dna del partito e dell’area di riferimento. Ora vengono sviscerati da Filippo Giardini, con uno sguardo fresco che non guasta mai. Di certo, chi pensasse che in questi mesi di fronte alla tragedia di Gaza e dei territori occupati il governo Meloni abbia navigato a vista e in modo improvvisato, si sbaglia di grosso. La sua politica segue il solco segnato dalla destra in Italia fin dal dopoguerra.



