2024-03-05
Auto italiana nella tenaglia fra le mire della Francia e l’espansionismo di Pechino
Carlos Tavares e John Elkann (Ansa)
Peugeot può salire in Stellantis, gli Agnelli invece no. Così il baricentro del gruppo si sposta ancor di più verso Parigi. Intanto la cinese Great wall motors punta Brindisi.Il patto firmato nel 2021 da Fca e Psa dopo la fusione che ha dato vita a Stellantis prevede che, a tre anni dal matrimonio, i pesi nell’azionariato possano cambiare. Come ha ricordato ieri il Messaggero, i francesi della ex Peugeot possono aumentare la quota del 2,5% salendo - teoricamente e sborsando denaro - dal 7,1% attuale al 9,6%, mentre la cassaforte degli Agnelli, la Exor, è bloccata al 14,2%. Non solo. Al peso di Psa va aggiunto quello dello Stato francese che oggi attraverso Bpi possiede il 6,2%. Insieme, possono dunque mettere ai margini la holding guidata da John Elkann. Il «liberi tutti» nel libro soci coincide proprio con il dibattito sul progressivo disimpegno del gruppo dall’Italia (spostando l’interesse verso la Spagna e l’Est Europa). Coincide anche con una certa perdita di interesse degli Elkann per i business storici di famiglia - auto e giornali - verso mercati più profittevoli come il biotech e la sanità privata. Dopo aver investito nella Philips, multinazionale che un tempo operava nell’elettronica di consumo e ora leader mondiale nella tecnologia per la salute, con un’operazione da circa 2,6 miliardi di euro, ieri Exor ha annunciato di essere salita al 10,1% di Clarivate, società con sede a Londra e quotata sul Nyse, che raccoglie, elabora e offre ai suoi clienti i risultati di studi e ricerche scientifiche e accademiche realizzate in tutto il mondo in diversi ambiti tra cui quello della salute. Intanto, sembra che a scegliere la strada di Stellantis saranno sempre di più i francesi. Il vero problema è che il governo è finito in un cul-de-sac: è costretto a dare incentivi anche a chi sposta una parte della produzione fuori dall’Italia e ha aperto un tavolo con la stessa Stellantis per creare una gigafactory a Termoli (Campobasso) che ancora non si vede. Per uscire dall’impasse, il ministero guidato da Adolfo Urso cerca un secondo produttore sondando nuovi partner americani - Tesla - e pure cinesi. Altra sfortunata coincidenza, proprio mentre negli Usa la Casa Bianca ha avviato un’indagine sulle tecnologie utilizzate nelle auto e nei camion elettrici connessi a Internet e provenienti dalla Cina, sulla base dell’ipotesi di minacce alla sicurezza nazionale per l’invio di informazioni sensibili a Pechino. Mossa, per altro, annunciata alla vigilia della visita di Giorgia Meloni a Washington. Il governo ha disdettato l’accordo con Pechino sulla Via della seta ma il tema delle misure per ridurre la dipendenza economica da Pechino resta caldo ed eventuali contrasti si ripercuoterebbero inevitabilmente sul G7 presieduto dall’Italia. Cui spetta, dunque, il compito di favorire credibili soluzioni di compromesso. Non è un caso se, mentre il premier era negli Usa, sono state diffuse due interessanti notizie. La prima è che Ferretti group - controllata da Weichai - ha abbandonato un progetto di per sé poco credibile a Taranto. Faceva gola alla politica locale, ma era molto temuto vista la vicinanza alle infrastrutture Nato. Seconda notizia: il presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Zeno D’Agostino, si è dimesso. Ufficialmente per motivi personali. Recentemente l’ambasciatore americano era stato a far visita al porto. E D’Agostino è stato tra i promotori, anni fa, della politica delle «porte aperte» ai cinesi. Il cinquantesimo vertice del G7, il primo sotto la presidenza italiana, si terrà a Borgo Egnazia in Puglia. Proprio in quella regione dove la presenza cinese nei porti è ancora molto forte. A Taranto l’obiettivo sarebbe quello di aprire le porte del Dragone al business della cantieristica navale sfruttando le pieghe del nuovo decreto energia. Il segnale di questa nuova operazione avviata dal governatore Michele Emiliano, e appoggiata dai dem locali, sarebbe la nomina avvenuta all’inizio di febbraio di Alessandro Becce, chiamato al timone di San Cataldo container terminal, la società terminalistica del gruppo turco Yilport concessionaria del molo polisettoriale tarantino. Intanto un maxi consorzio di Varsavia ha inviato a dicembre una proposta all’Autorità portuale presieduta da Sergio Prete mettendo sul piatto investimenti per 60 milioni. La domanda sarebbe ferma sulla scrivania di Prete, c’è chi dice per volere di Emiliano, e a metà marzo scadono i termini per la presentazione di una eventuale domanda concorrente. Senza dimenticare Brindisi: come ha rivelato La Verità, i rappresentanti della Great wall motors, che produce auto elettriche, lo scorso 11 dicembre sono stati in visita presso l’Autorità di sistema portuale e hanno anche incontrato i vertici del consorzio Asi (l’ente pubblico che gestisce le infrastrutture locali). La strategia sarebbe quella di aprire al traffico di auto a bordo di navi della compagnia Grimaldi, che peraltro a Brindisi è già uno degli operatori principali. Great wall motors potrebbe dunque essere una delle tre società cinesi citate nei giorni scorsi, senza fare nomi, da Urso. Ieri sul Quotidiano di Puglia si leggeva che a coordinare l’arrivo di Great wall motors (la Grande Muraglia) è Invitalia - controllata dallo Stato - in tandem con Emiliano. «Per alcuni aspetti ci siamo coordinati nella risposta con la Regione», ha detto al quotidiano pugliese Vittorio Rina, presidente del consorzio Asi.
Jose Mourinho (Getty Images)