2024-09-10
L’Australia dà il via al censimento Lgbt: cittadini schedati su gender e sesso
Con la scusa di «tutelare le minoranze» Canberra, nel 2026, si informerà sugli orientamenti della popolazione over 16.In Germania per cambiare lo stato civile da maschio a femmina basterà l’autocertificazione.Lo speciale contiene due articoli Lo Stato voyeur, inginocchiato dietro la porta della camera da letto con l’occhio lubrico a forma di toppa, sta diventando realtà in Occidente. Dopo il controllo dei conti correnti, la profilazione indebita delle identità digitali (con la complicità dei Big Tech), le telecamere del Truman show permanente nelle città e la geolocalizzazione sugli smartphone, ecco arrivare la pretesa di definire l’orientamento sessuale dei cittadini. Tutto ciò con la giustificazione più abusata: «Si tratta di una necessità per tutelare le minoranze».Per ora il progetto pilota è in Australia, ma è verosimile che l’idea «non binaria» venga facilmente esportata in Europa via Stati Uniti, come spesso accade. Il governo laburista guidato da Anthony Albanese ha infatti deciso di porre per la prima volta nella storia, ai cittadini con più di 16 anni, una serie di domande specifiche sull’identità di genere e sulle preferenze sessuali nel censimento del 2026. La mossa australiana non è del tutto originale: nel censimento del 2021 la Gran Bretagna per prima aveva inserito una domandina facoltativa sull’orientamento sessuale, «a scopo statistico». A dichiararsi gay o lesbiche era stato l’1,5% (748.000 persone su 60 milioni), mentre lo 0,3% (165.000) aveva selezionato «altro», vale a dire le identità pansessuale, asessuale e queer. Una goccia nel Tamigi in rapporto al polverone mediatico e parlamentare che ogni argomento di genere porta con sé. Allora si trattò di un quesito spot, ora in Australia si parla di un pacchetto più specifico, determinato da una scelta marcatamente politica. Per ottenere il voto della comunità Lgbtq+, durante la campagna elettorale di due anni fa la coalizione di sinistra aveva inserito nel programma anche questo punto, peraltro accantonato prima dell’estate per evitare mal di testa in sede di organizzazione della piattaforma del censimento. La decisione era stata fortemente criticata dal variegato mondo transgender, sceso in piazza per stigmatizzare la dimenticanza; così l’esecutivo ha deciso di tornare sui suoi passi per accontentare la potente lobby genderfluid. Risultato: retromarcia immediata e inserimento dei quesiti specifici nel bouquet da sottoporre alla cittadinanza. Lo ha confermato il tesoriere Jim Chalmers: «La decisione è stata presa dopo una settimana di dibattito e riguarderà tutti gli australiani di età superiore ai 16 anni. Le domande specifiche saranno formulate dall’Ufficio australiano di statistica che le svilupperà in seguito». Comprendendo la forzatura in un settore dove, in democrazia, la libertà individuale dovrebbe essere sovrana, Chalmers ha spiegato che «le risposte non saranno obbligatorie». Anche perché se così non fosse i quesiti rischierebbero di incorrere nella tagliola della High court, la Corte suprema. Per spiegare il clima va aggiunto che in Australia lo strumento del censimento è delicato e riapre ferite mai rimarginate: nell’età dell’oro del Commonwealth gli aborigeni australiani (tuttora pesantemente discriminati) non erano censiti perché venivano vergognosamente assimilati alla fauna.Tornando all’oggi, la decisione del governo di Albanese ha scatenato l’opposizione di liberali e conservatori, messi all’angolo dalla consueta volontà progressista di proseguire sulla strada dei non meglio identificati «diritti universali» che ne sotterrano altri in vigore da almeno un secolo. Così il governo può appostarsi sulla soglia della camera da letto e invadere serenamente la privacy, applicando le regole di quel test di controllo sociale planetario nel quale, in Occidente, si era trasformata l’emergenza pandemica. Durante la Guerra fredda proprio le democrazie sottolineavano la brutalità occhiuta delle dittature rosse dell’Est europeo (in primis l’Unione sovietica e la Ddr), poi ridicolizzate da un’ampia letteratura e da film come Le vite degli altri e Goodbye Lenin». Ora lo stesso Occidente turbo-progressista procede nella corsa a imitare quelle storture, forse nel tentativo di raggiungere il socialismo con altri mezzi. La decisione ha creato entusiasmo nelle comunità transgender internazionali, che si apprestano a spingere perché la scelta venga esportata in modo strutturale in tutte le nazioni democratiche. A giustificare la richiesta di declinare dettagli sulla sessualità è Anna Brown, dirigente di Equality Australia: «Questo è un intendimento pragmatico e morale che assicurerà per la prima volta la raccolta su scala nazionale di dati vitali su alcune delle popolazioni più vulnerabili in Australia. Sarà finalmente possibile tenere conto di ogni australiano nel 2026, incluse persone trans e diverse per genere, oltre che gay e bisessuali». Un esempio plastico di doppia morale. Lo scorso anno il referendum per il riconoscimento degli aborigeni e la creazione per loro di un organo di rappresentanza parlamentare è finito con un No. Forse perché quella lobby non è sufficientemente potente. Poi finisce che uno rivaluta la Stasi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/australia-censimento-lgbt-cittadini-schedati-2669155419.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-legge-sullautodeterminazione-scatena-le-femministe-tedesche" data-post-id="2669155419" data-published-at="1725952057" data-use-pagination="False"> La legge sull’autodeterminazione scatena le femministe tedesche Associazioni femministe come Lasst frauen sprechen (Lasciate parlare le donne), Contra el borrado de las mujeres, (Contro la cancellazione delle donne) e Women rise si sono opposte alla nuova legge sull’autodeterminazione del genere (Self-Id act) che entrerà in vigore in Germania il prossimo primo novembre. Approvata lo scorso aprile, destinata alle persone transgender, intersessuali e non binarie, sostituisce legalmente la categoria del sesso con quella del genere. È stata definita «anti scientifica, anti donne, antidemocratica e che mette in pericolo i bambini», da chi condanna un simile stravolgimento della realtà. Tra meno di due mesi, in Germania, a partire dai 14 anni basterà un’autocertificazione per cambiare il proprio stato civile in quello del sesso opposto e scegliere un nuovo nome. Se i genitori non sostengono la convinzione del figlio di avere un «corpo sbagliato», possono rivolgersi a un tribunale della famiglia. Dopo tre mesi il cambio diventa effettivo e si può modificare ulteriormente non prima che sia passato un anno. «Il sesso precedente e il nome non possono essere divulgati o indagati». Chiunque continui a riferirsi a un uomo che afferma di avere una «identità di genere femminile» potrà essere multato fino a 10.000 euro. La follia ulteriore è che «coloro che sono registrati come “maschio” al momento della nascita di un bambino saranno riconosciuti come padri del bambino». Tuttavia, un genitore può presentare una dichiarazione all’ufficio del registro indicando che «la sua precedente annotazione del genere dovrebbe essere considerata decisiva». Sabato, le associazioni invieranno una protesta al Feminist question time della Women's declaration international (Wdi), precedentemente nota come Women’s human rights campaign, organizzazione femminista radicale anti trans con sede nel Regno Unito e sezioni negli Stati Uniti, Brasile, Australia e altri Paesi, nota soprattutto per aver creato la Declaration on women's sex-based rights, una lettera aperta per i firmatari che descrive in dettaglio i modi in cui ritengono che le donne transgender dovrebbero essere escluse dall’essere considerate in base ai diritti delle donne. Le associazioni hanno rivolto precise domande al governo tedesco, tra le quali: «Come intenderà proteggere donne e ragazze?», visto che i diritti delle donne basati sul sesso sono garantiti dalla Costituzione tedesca. Così pure: «In che modo le autorità garantiranno che le informazioni sul sesso si basino sul sesso biologico e non sull’identità di genere?». Già un mese fa Women's liberation front, Women's declaration international, RadFem Italia e altri gruppi e associazioni «gender critical» di tutto il mondo avevano scritto una lettera di protesta alle Nazioni Unite, perché la loro organizzazione Un Woman, che dovrebbe essere dedicata all’uguaglianza di genere e all’emancipazione delle donne, ha etichettato tutto il dissenso come pericoloso. Definisce, infatti, «anti diritti», «estrema destra» e «odiatore della comunità Lgbtqi+», chiunque non sostenga acriticamente l’ideologia dell’identità di genere. I movimenti femministi chiedono che «Un Women ripristini la sua missione originaria», perché mettendo «ora le persone Lgbtqi+ in cima alla gerarchia dei diritti umani», dimostra che l’organizzazione Onu «non è più un organismo interessato a proteggere e far progredire i diritti delle donne», ma si è allontanato dalla scienza e dalla realtà e oggi lavora per un’agenda «incentrata sul progetto queer». A dimostrazione della follia imperante, negli ospedali di Madrid sta sparendo il cartello «bagni per le donne», sostituito dalla dicitura «bagni per pazienti femminili», aperti agli uomini in transizione. Secondo il Piano d’azione per l’assistenza primaria e comunitaria spagnolo, nel registro elettronico sanitario bisogna sottoporre all’utente un questionario dove indicare se si è «maschio; femmina; non binario o genere fluido; bimbo o bimba trans; altro; non mi identifico in alcuna di queste categorie; preferisco non manifestare la mia identità in questo momento».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)