L’Australia dà il via al censimento Lgbt: cittadini schedati su gender e sesso

- Con la scusa di «tutelare le minoranze» Canberra, nel 2026, si informerà sugli orientamenti della popolazione over 16.
- In Germania per cambiare lo stato civile da maschio a femmina basterà l’autocertificazione.
Lo speciale contiene due articoli
Lo Stato voyeur, inginocchiato dietro la porta della camera da letto con l’occhio lubrico a forma di toppa, sta diventando realtà in Occidente. Dopo il controllo dei conti correnti, la profilazione indebita delle identità digitali (con la complicità dei Big Tech), le telecamere del Truman show permanente nelle città e la geolocalizzazione sugli smartphone, ecco arrivare la pretesa di definire l’orientamento sessuale dei cittadini. Tutto ciò con la giustificazione più abusata: «Si tratta di una necessità per tutelare le minoranze».
Per ora il progetto pilota è in Australia, ma è verosimile che l’idea «non binaria» venga facilmente esportata in Europa via Stati Uniti, come spesso accade. Il governo laburista guidato da Anthony Albanese ha infatti deciso di porre per la prima volta nella storia, ai cittadini con più di 16 anni, una serie di domande specifiche sull’identità di genere e sulle preferenze sessuali nel censimento del 2026. La mossa australiana non è del tutto originale: nel censimento del 2021 la Gran Bretagna per prima aveva inserito una domandina facoltativa sull’orientamento sessuale, «a scopo statistico». A dichiararsi gay o lesbiche era stato l’1,5% (748.000 persone su 60 milioni), mentre lo 0,3% (165.000) aveva selezionato «altro», vale a dire le identità pansessuale, asessuale e queer. Una goccia nel Tamigi in rapporto al polverone mediatico e parlamentare che ogni argomento di genere porta con sé.
Allora si trattò di un quesito spot, ora in Australia si parla di un pacchetto più specifico, determinato da una scelta marcatamente politica. Per ottenere il voto della comunità Lgbtq+, durante la campagna elettorale di due anni fa la coalizione di sinistra aveva inserito nel programma anche questo punto, peraltro accantonato prima dell’estate per evitare mal di testa in sede di organizzazione della piattaforma del censimento. La decisione era stata fortemente criticata dal variegato mondo transgender, sceso in piazza per stigmatizzare la dimenticanza; così l’esecutivo ha deciso di tornare sui suoi passi per accontentare la potente lobby genderfluid.
Risultato: retromarcia immediata e inserimento dei quesiti specifici nel bouquet da sottoporre alla cittadinanza. Lo ha confermato il tesoriere Jim Chalmers: «La decisione è stata presa dopo una settimana di dibattito e riguarderà tutti gli australiani di età superiore ai 16 anni. Le domande specifiche saranno formulate dall’Ufficio australiano di statistica che le svilupperà in seguito». Comprendendo la forzatura in un settore dove, in democrazia, la libertà individuale dovrebbe essere sovrana, Chalmers ha spiegato che «le risposte non saranno obbligatorie». Anche perché se così non fosse i quesiti rischierebbero di incorrere nella tagliola della High court, la Corte suprema. Per spiegare il clima va aggiunto che in Australia lo strumento del censimento è delicato e riapre ferite mai rimarginate: nell’età dell’oro del Commonwealth gli aborigeni australiani (tuttora pesantemente discriminati) non erano censiti perché venivano vergognosamente assimilati alla fauna.
Tornando all’oggi, la decisione del governo di Albanese ha scatenato l’opposizione di liberali e conservatori, messi all’angolo dalla consueta volontà progressista di proseguire sulla strada dei non meglio identificati «diritti universali» che ne sotterrano altri in vigore da almeno un secolo. Così il governo può appostarsi sulla soglia della camera da letto e invadere serenamente la privacy, applicando le regole di quel test di controllo sociale planetario nel quale, in Occidente, si era trasformata l’emergenza pandemica.
Durante la Guerra fredda proprio le democrazie sottolineavano la brutalità occhiuta delle dittature rosse dell’Est europeo (in primis l’Unione sovietica e la Ddr), poi ridicolizzate da un’ampia letteratura e da film come Le vite degli altri e Goodbye Lenin». Ora lo stesso Occidente turbo-progressista procede nella corsa a imitare quelle storture, forse nel tentativo di raggiungere il socialismo con altri mezzi.
La decisione ha creato entusiasmo nelle comunità transgender internazionali, che si apprestano a spingere perché la scelta venga esportata in modo strutturale in tutte le nazioni democratiche. A giustificare la richiesta di declinare dettagli sulla sessualità è Anna Brown, dirigente di Equality Australia: «Questo è un intendimento pragmatico e morale che assicurerà per la prima volta la raccolta su scala nazionale di dati vitali su alcune delle popolazioni più vulnerabili in Australia. Sarà finalmente possibile tenere conto di ogni australiano nel 2026, incluse persone trans e diverse per genere, oltre che gay e bisessuali».
Un esempio plastico di doppia morale. Lo scorso anno il referendum per il riconoscimento degli aborigeni e la creazione per loro di un organo di rappresentanza parlamentare è finito con un No. Forse perché quella lobby non è sufficientemente potente. Poi finisce che uno rivaluta la Stasi.






