2022-02-23
Attanasio, la storia del riscatto non regge
Luca Attanasio e la copertina del libro-inchiesta sulla sua morte (Ansa)
Un libro-inchiesta scava nei troppi dubbi che avvolgono l’indagine sulla morte del nostro ambasciatore in Congo. Perché chiedere soldi e poi uccidere gli ostaggi? Quali impegni hanno salvato la vita al console Alfredo Russo? Cosa non viene detto sul dispositivo di sicurezza?A un anno esatto dalla tragedia nella quale hanno perso la vita nella Repubblica Democratica del Congo l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, restano solo misteri su quanto accadde la mattina del 22 febbraio 2021. Chi li ha uccisi, come, dove e soprattutto perché, sono infatti domande senza risposta. Né la Procura di Roma, competente per i reati riguardanti cittadini italiani all’estero, ha potuto chiarire molto di più. La chiusura delle indagini, coordinate dal procuratore Michele Prestipino e seguite dal pm Sergio Colaiocco, hanno deluso quanti speravano di trovare in quelle carte le prove di un complotto o il suo esatto contrario. Fugare i dubbi non è allo stato dell’arte lontanamente possibile, complici le reticenze del governo di Kinshasa e i possibili depistaggi dei testimoni. Così, agli atti resta soltanto la richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati: Mansour Rwagaza, funzionario del Programma alimentare mondiale dell’Onu (Pam), al momento in Madagascar ma all’epoca coordinatore della sicurezza nell’area del delitto; e l’attuale vicedirettore del Pam nella Repubblica Democratica del Congo, Rocco Leone, unico superstite dell’agguato. Entrambi sono ritenuti responsabili di gravissime e inspiegabili violazioni alla sicurezza del convoglio, e per questo sono accusati di omicidio colposo. In ogni caso, le carte depositate non fanno che aumentare la confusione sulla vicenda. I punti ancora da chiarire: in quale macchina viaggiava davvero il superstite Leone? Nel veicolo di Attanasio o nell’altro (e forse per questo si è salvato)? A chi rispondeva il gruppo di rapitori? Se davvero chiedevano un riscatto, perché li hanno uccisi? Come sapevano che quel convoglio sarebbe passato proprio da quella strada? E ancora, perché l’agenzia Onu ha preteso che viaggiassero senza scorta e senza giubbotti antiproiettile?A queste domande ha provato intanto a rispondere un team di giornalisti che, mentre si attende il probabile rinvio a giudizio da parte del gup, ha pubblicato un libro per iPaesi Edizioni: Delitto Diplomatico - la morte di Attanasio e Iacovacci in Congo. A scriverlo con Toni Capuozzo (che firma la prefazione), ci sono Fausto Biloslavo, Antonella Napoli, Stefano Piazza e Matteo Giusti, che sull’inchiesta afferma: «Un punto nodale sta nei colloqui avuti dal carabiniere Vittorio Iacovacci con Mansour Rwagaza e con Rocco Leone. Secondo le dichiarazioni rese ai Ros da Leone, Iacovacci non avrebbe fatto nessuna richiesta di aumentare la sicurezza o comunque lui non ne sarebbe stato informato. Nella chiusura delle indagini, invece, entrambi vengono accusati di aver volutamente mentito al carabiniere, rassicurandolo sui dispositivi di sicurezza aumentati. Non si capisce però come il pm Sergio Colaiocco abbia potuto portare questa accusa perché manca, almeno a noi, un documento che possa provare questa richiesta e la conseguente menzogna dei due dirigenti del Pam». Un altro elemento da non trascurare sono le dichiarazioni, sempre rese al nucleo speciale dei carabinieri, di Mansour Rwagaza quando parla di una richiesta di riscatto di 50.000 dollari sul posto, «che naturalmente nessuno dei presenti poteva avere con sé» aggiunge Giusti. La dichiarazione di Rwagaza non può essere presa per buona per avvalorare la tesi del tentativo di rapimento a scopo di estorsione, «perché, se così fosse, gli attentatori avrebbero dovuto avere una spia interna che li avrebbe avvertiti della presenza di quella somma quel giorno. Altrimenti perché ammazzarli?». Paradossale è poi «la dichiarata fuga di Rocco Leone, che cade per terra e viene lasciato andare, in un luogo dove un bianco non passa certo inosservato, oltretutto testimone di un delitto». Mentre ancora più fortunato di Leone «è stato il console Alfredo Russo, che doveva partire con il convoglio e che invece per non meglio specificati e irrinunciabili appuntamenti, all’ultimo momento è rimasto a Goma. Qualcuno ha chiesto a Russo il motivo di tale ripensamento? Noi sì, ma non abbiamo ottenuto da lui alcuna risposta».Se continuerà su simili binari e con prove non proprio granitiche, insomma, questa storia finirà molto presto nel dimenticatoio. Con grave disonore delle istituzioni italiane - che hanno perso due loro servitori, morti ammazzati - ma con ovvia soddisfazione di tutti coloro che, a partire da quella mattina, non hanno fatto altro che lavorare contro l’accertamento della verità. Indagati e testimoni, infatti, si contraddicono tra di loro e si sono rimangiati più volte le proprie testimonianze. È vero che sia i carabinieri del Ros che la Procura di Roma hanno dovuto lavorare tra mille ostacoli logistici e riluttanze opposte tanto dalle autorità congolesi, quanto dall’agenzia Onu (non si capisce bene per quale ragione) e da qualche testimone. Ma la verità sembra volutamente ostacolata e dunque sul caso va fatta ancora piena luce. Anche perché, come sottolinea Toni Capuozzo «non occorre essere abituati ai conflitti per rimanere perplessi davanti a un preteso sequestro, che si apre con l’esecuzione dell’autista e si chiude con una sparatoria tra aggressori e Rangers intervenuti sul luogo. Non occorre essere diffidenti, sospettosi o pieni di malizia per trovare curioso che un funzionario italiano si senta male proprio quel mattino. Così come non occorre essere dei moralisti per indignarsi davanti al fatto che il direttore del Pam a Goma, presente nel convoglio, abbia ostinatamente e inspiegabilmente rifiutato di testimoniare sull’accaduto».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)