2018-10-29
Assurdo «tip-Tap»: attaccano Di Maio ora che fa (giustamente) dietrofront
Non esistono le penali evocate dal ministro, ma lo stop del gasdotto, tra risarcimenti e danni, ci costerebbe comunque 20 miliardi di euro. Da anni il Pd critica l’ostilità grillina alle grandi opere: perché non festeggia?Una giornata da 20 miliardi di polemiche, e per nulla. Da ieri il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, è stato sommerso dalle critiche per una dichiarazione che invece (e una volta tanto) è pienamente assennata. Questa: «Se il governo dovesse interrompere i lavori per la costruzione del Tap, dovrebbe pagare penali per quasi 20 miliardi di euro». Per questo, ha spiegato il vicepremier grillino, «non ci sono alternative e l’opera va fatta», anche se viene infranta la promessa di bloccarla: uno dei punti fermi «ambientali» del Movimento 5 stelle da almeno cinque anni. Il Tap, cioè il Trans Adriatic pipeline, è il gasdotto lungo 878 chilometri autorizzato dal governo guidato da Matteo Renzi nell’aprile 2015. Il megatubo parte dall’Azerbaigian, attraversa per lungo la Georgia e la Turchia; poi, trapassando il Bosforo, arriva in Grecia e da qui in Albania; quindi s’inabissa nell’Adriatico e un bel giorno dovrebbe far affiorare miliardi di metri cubi di gas a San Foca di Melendugno, sulle coste leccesi. L’opera, che oggi è realizzata al 75-80%, per l’Italia è fondamentale per tre motivi, economici e geopolitici: perché riduce il costo dell’energia per le famiglie e le imprese, perché accresce la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, e perché limita la nostra dipendenza dal gas russo.Ma l’Italia è proprio uno strano Paese. Ieri, invece di apprezzare l’importanza e la positività del dietrofront del M5s sul Tap, e magari di pretendere la stessa serietà su altre grandi opere ugualmente strategiche per l’Italia (a partire dall’alta velocità ferroviaria fra Torino a Lione, sul cui blocco, chiesto dai grillini, grava la certezza di penali miliardarie), gli avversari di Di Maio hanno scelto di ridicolizzare lui e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale ha confermato che il gasdotto «va fatto». Sul Tap si è quindi scatenato un paradossale balletto polemico (possiamo chiamarlo un assurdo «tip-Tap»?) incentrato sul tema delle penali. A sparare a palle incatenate, incredibilmente, sono stati soprattutto quegli stessi che, quando erano al governo con Renzi, si battevano per realizzare il Tap. Come Carlo Calenda, il predecessore di Di Maio al Mise: «Si comporta ancora una volta da imbroglione», lo ha attaccato. «Non esiste una penale per la semplice ragione che il Tap è un’iniziativa privata, autorizzata dallo Stato. Quindi non ci sono penali, ma semmai c’è il rischio di un risarcimento danni. Non è la prima volta che Di Maio mente: ma questa volta è palese. E in un Paese normale un ministro che mente dovrebbe dimettersi».Anche Davide Faraone, del Pd, si è sgolato su Twitter: «Quanto letame ci avete scaricato addosso per le nostre posizioni su Tap, Tav, Bagnoli, Ilva, banche…», ha scritto. «Potete anche cambiare idea, ci sta: ma dovete chiederci scusa. E già che ci siete, scusatevi con i cittadini cui avete rubato i voti in nome di quegli insulti». È stato un po’ come se i democratici, ieri, avessero finalmente potuto dare sfogo alle loro frustrazioni: come in un pazzo ping pong, sui social network si scambiavano i video con Alessandro Di Battista, che nell’aprile 2017 arringava enfatico gli ambientalisti pugliesi giurando che avrebbe bloccato il Tap «in due settimane, due settimane!». Seguivano frizzi e lazzi, tutti targati Pd: da Ivan Scalfarotto, («Come gli italiani abbiano potuto farsi abbindolare da questa banda di ciarlatani resta un vero mistero»), ad Andrea Marcucci («I leoni da tastiera, a Palazzo Chigi, si sono trasformati in conigli»).Molto rumore per nulla. Perché di certo è improprio il termine utilizzato da Di Maio: sul Tap, non c’è alcun rischio di penali. Ma ieri anche il Corriere della Sera stimava che lo stop al gasdotto possa costare 20 miliardi tra risarcimenti e danni per la mancata consegna di gas. Ed è sempre più evidente che il M5s non dispone di grandi statisti. Però in un Paese normale la decisione, corretta, di realizzare il grande tubo dall’Azerbaigian sarebbe stata apprezzata anche da chi ora sta all’opposizione. Invece ieri non c’è stato un solo commento positivo. Più comprensibile, semmai, è la protesta degli attivisti no-Tap pugliesi, che ieri hanno punito il «tradimento» dei 5 stelle bruciandone le bandiere in un bel falò. O la fronda che si è accesa nei gruppi grillini in Parlamento, dove i senatori Lello Ciampolillo e Saverio De Bonis, e la deputata Sara Cunial contestano Conte, Di Maio e il governo: «Non possiamo tacere perché tradiremmo il mandato degli elettori» dicono i tre, alla guida di un gruppo di colleghi appartenenti all’area sinistrorsa del M5s, o comunque eletti in Puglia e quindi attenti alla voce dei no-Tap. Ma la loro è un’operazione legata all’imminente rientro in Italia di Di Battista, e alla lotta sotterranea tra le due anime del M5s.Tutto il resto della polemica no, quello non è comprensibile. A Di Maio, infatti, non è il sì al Tap che può essere rimproverato. Il suo sbaglio è stato il trucco con cui ha cercato di difendersi dall’accusa di incoerenza: «Da ministro», ha detto, «ho studiato le carte del Tap per tre mesi. E non è semplice dover dire che ci sono penali per quasi 20 miliardi. Eppure così è, altrimenti avremmo agito diversamente. Le carte uno le legge solo quando diventa ministro, e a noi del M5s non hanno mai fatto leggere alcunché». Ecco, questo è stato il vero errore di Di Maio: quelle carte «riservate» non può averle lette soltanto dopo essere andato al governo perché, proprio come le penali, non esistono. Ma il sì al Tap è una vittoria del Paese.
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