2025-06-27
Si allarga l’asse Roma-Copenaghen contro l’immigrazione clandestina
Mette Frederiksen, Giorgia Meloni e Kyriakos Mitsotakis (Ansa)
Incontro fra il premier italiano e quello danese a margine del Consiglio europeo con i leader di altri Paesi. Al centro, le politiche per contrastare i flussi e favorire i rimpatri. La Meloni: «Soddisfazione».La polizia ha individuato sette giovanissimi, fra cui quattro minorenni, accusatidi rapine e aggressioni. Sfregiato un uomo che aveva tentato di difendere una ragazza.Lo speciale contiene due articoli.Il semestre europeo a guida danese promette di essere decisamente interessante sotto il profilo delle politiche migratorie. Il premier socialdemocratico Mette Frederiksen, 47 anni e una lunga esperienza da ministro del Lavoro e della Giustizia, è uno dei paladini degli incentivi al rimpatrio al posto delle chimere dell’integrazione e il suo esempio è già stato seguito in mezza Europa. Ieri si è incontrata con Giorgia Meloni a margine del Consiglio europeo e, insieme con i leader di altre nazioni come Paesi Bassi, Germania, Polonia, Austria e Ungheria, ha pungolato ulteriormente Ursula von der Leyen sulla strada di maggiori controlli e di una miglior verifica delle richieste di asilo. Dal prossimo primo luglio, la Danimarca raccoglierà dalla Polonia il testimone della guida dell’Unione europea e lo farà con un segno distintivo ben chiaro: da un decennio Copenaghen è il modello di riferimento per il controllo dell’immigrazione illegale e di quella economica, a tutela del lavoro, del welfare e della sanità dei cittadini danesi. Politiche «dalla culla alla bara» nelle quali il centrosinistra ha raccolto il testimone del centrodestra, addirittura mettendo regole più severe in un Paese dove dal 2018 è vietato indossare i veli islamici in nome dell’assoluto rispetto dei diritti delle donne. Ieri a Bruxelles, presentando le priorità del semestre danese di presidenza, un’altra donna, il ministro per gli Affari europei Marie Bjerre, ha annunciato: «La politica migratoria è legata alla sicurezza, nel senso che abbiamo bisogno di un’Europa più sicura, stabile e robusta, e ciò non è possibile se non controlliamo i flussi verso l’Europa». Del resto la premier danese Frederiksen punta a costruire un ampio consenso comunitario sull’esternalizzazione delle procedure d’asilo al di fuori dell’Europa e a limitare il raggio d’azione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo. Pochi giorni fa, in visita ufficiale a Berlino, Frederiksen aveva spiegato: «Abbiamo bisogno di nuove soluzioni per ridurre l’afflusso verso l’Europa e per rimpatriare efficacemente chi non ha diritto a restare nei nostri Paesi». Al suo fianco un altro leader europeo, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, aveva nuovamente elogiato il «modello» danese.In Danimarca, gli stranieri erano il 3,3% nel 1985 e sono diventati il 16% nel 2025. I permessi per lavorare sono raddoppiati negli ultimi dieci anni, ma sono facilmente revocabili e il governo incentiva in ogni modo il ritorno degli immigrati economici nel Paese d’origine. I permessi vanno rinnovati ogni anno e i requisiti di protezione per chi ha ottenuto l’asilo (moltissimi immigrati sono siriani) sono sottoposti a revisione periodica, sulla base delle mutate condizioni politiche degli Stati d’origine. Ma ieri a Bruxelles si è anche tenuta un’importante riunione informale dei Paesi più interessati alle soluzioni innovative per la gestione dei fenomeni migratori e dei rimpatri. Insieme con Giorgia Meloni si sono seduti intorno a un tavolo, oltre a Frederiksen, il premier olandese Dick Schoof e i rappresentanti dei governi di Austria, Belgio, Cipro, Germania, Grecia, Lettonia, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Svezia e Ungheria. Con loro, il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ha fatto il punto sulle iniziative intraprese in ambito migratorio, concentrandosi sullo stato di avanzamento dei negoziati sulle proposte legislative più recenti, a partire dal nuovo Regolamento rimpatri. E ha confermato la convocazione di un vertice della coalizione globale contro il traffico di migranti per il prossimo 10 dicembre, a Bruxelles.Al termine della riunione, la Meloni si è detta soddisfatta per i risultati raggiunti sinora dal gruppo informale di Nazioni più interessate e ha indicato alcuni nuovi filoni di lavoro, a partire dai seguiti della lettera aperta dello scorso 22 maggio in tema di convenzioni internazionali e delle loro capacità di rispondere alle sfide della migrazione irregolare.La storia della Danimarca è la prova concreta che le politiche migratorie non lassiste non sono né di destra né di sinistra, ma semplicemente un fondamento dell’idea di Stato. Nel 1952, Copenaghen è stata la prima a ratificare la Convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati, ovvero il trattato delle Nazioni Unite fondato sui principi della protezione e del non respingimento. Ma quando ha preso atto che rischiava di ospitare troppi immigrati per le proprie possibilità e che c’era anche un evidente rischio sostituzione con la comunità islamica, è corsa ai ripari. Diventando, negli ultimi dieci anni, un punto di riferimento per le politiche migratorie dei conservatori europei, il tutto con un Partito socialdemocratico che su questi temi si è sempre mosso in continuità. Il partito della Frederiksen è tornato al governo nel 2019 e nel dibattito politico danese il tema dell’immigrazione non è neppure tra quelli ritenuti centrali, perché su questo non ci si divide quasi più. La regolazione dell’immigrazione, almeno a sinistra, qui non ha bisogno di impugnare bandiere sovraniste, perché la gran parte dei danesi ha capito perfettamente che se si vogliono difendere le conquiste sociali ed economiche di mezzo secolo è necessario limitare i flussi. E per raggiungere l’obiettivo si è agito a vari livelli, dai test per la cittadinanza resi più severi a un giro di vite contro i ricongiungimenti familiari. Soprattutto, se da un lato il governo si è dato da fare per scardinare i «ghetti» di immigrati, dall’altro quasi tutti i partiti hanno compreso che lo stesso concetto di «integrazione» non è scontato e non è sempre bilaterale. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/asse-roma-copenaghen-immigrazione-clandestina-2672444726.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sgominata-una-baby-gang-di-tunisini" data-post-id="2672444726" data-published-at="1751015737" data-use-pagination="False"> Sgominata una baby gang di tunisini Sette giovanissimi tunisini sono accusati di una serie di violente rapine avvenute nel centro storico di Reggio Emilia, oltre che di gravi ferimenti delle vittime. Le indagini della polizia di Stato, coordinate dalle Procure di Reggio e dei minorenni di Bologna, hanno portato all’arresto dei tre maggiorenni, già noti alle Forze dell’ordine, mentre due dei quattro minori sono finiti in comunità. Un terzo è ancora irreperibile, il settimo membro del gruppo risulta già detenuto per altri crimini. Le prime due rapine della baby gang avevano avuto luogo lo scorso 30 marzo, ai danni di nordafricani derubati di cellulare, portafogli e monopattini dopo essere stati picchiati. Una delle vittime, avvicinata con un banale pretesto e poi aggredita brutalmente, aveva riportato una prognosi di cinque giorni per lesioni. Il secondo rapinato, colpito con un pugno al volto per bloccarlo mentre si muoveva sul monopattino e, una volta a terra, con una scarica di calci feroci, si era ritrovato con la frattura del setto nasale. La dinamica era sempre la stessa: circondare il malcapitato, picchiarlo e portargli via quanti più effetti personali possibili, scarpe comprese. Il 2 aprile, altre rapine e aggressioni erano avvenute a distanza di pochi minuti una dall’altra. A un quarantottenne italiano erano stati sottratti portafogli e smartphone e per una sua risposta, ritenuta «inopportuna», sarebbe stato picchiato con tale violenza da ritrovarsi con lo zigomo sinistro fratturato. Aveva dovuto sottoporsi a un intervento chirurgico maxillo facciale presso l’ospedale di Parma. I tunisini si erano poi dati alla fuga all’interno del centralissimo Parco del popolo, ma senza intenzione di smettere di delinquere. Si erano avvicinati a una studentessa, avevano provato a sfilarle il cellulare dalla tasca e si erano accaniti con un coltello contro un egiziano intervenuto per difendere la ragazza. I componenti della banda hanno sfregiato così profondamente il volto del giovane da procurargli danni permanenti. Le violenze compiute sono state documentati dalle telecamere di videosorveglianza installate in varie zone della città. I filmati mostrano il gruppo di giovanissimi in azione e, assieme alle testimonianze dei rapinati, hanno fornito elementi decisivi per l’identificazione degli stranieri. Due settimane dopo quelle rapine e aggressioni, a conferma del diffuso senso d’insicurezza tra gli abitanti e di paura, uno studente liceale di 14 anni che camminava in pieno giorno con una compagna di classe sotto all’Isolato San Rocco, nel cuore del centro storico di Reggio Emilia, era stato avvicinato da due ragazzini nordafricani (forse componenti della stessa banda) che avevano importunato la giovane e poi aggredito lo studente, sostenendo che «li stava deridendo». Cercarono di prendergli denaro e cellulare e, prima di fuggire, l’avevano colpito alla mandibola con un pugno violento, provocando una lesione interna alla bocca di cinque centimetri perché il ragazzino porta l’apparecchio per i denti, che a causa del colpo era finito contro il palato. Furono necessarie le cure del pronto soccorso. «Mio figlio mi ha detto che dovrà imparare a difendersi, “tanto mi ricapita”. E ha paura di denunciarli», raccontava la mamma alla Gazzetta di Reggio, parlando di ennesimo episodio in cui i maranza avevano terrorizzato e fatto del male. Diceva che voleva scrivere al sindaco Marco Massari, esponente del centrosinistra, per chiedere che ci sia una svolta nella gestione della sicurezza. «Siamo esausti. La città deve fare qualcosa».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)