2022-01-06
L’Asia ha perso terreno ma lo sprint di India e Vietnam invertirà la rotta
Nel 2021 l’indice dei Paesi orientali emergenti è cresciuto del 2,5%, contro il 30 dell’azionario mondiale in euro. Pesa l’incertezza in Cina per il cambio di politica economica, bilanciata però da nuovi Stati rivelazione.Se il 2020, l’anno dello scoppio della pandemia, era stato soprattutto l’anno dell’Asia dal punto di vista borsistico, il 2021 ha visto invece il cambio di passo totale con l’Asia sostanzialmente al palo (+2,5% nel 2021 l’Emerging Asia) contro l’azionario mondiale in euro (Msci world) in salita di oltre il 30%. Tutte le previsioni formulate dalle principali case d’investimento individuavano l’Asia - trainata dalla Cina - come il luogo principe dove investire, ma è arrivata invece la doccia fredda a metà febbraio 2021 quando il governo cinese ha attuato un giro di vite su alcuni settori come piattaforme informatiche e sfruttamento dei dati, educazione scolastica, gaming e scuole private. A tutto questo si è aggiunto poi il tracollo del settore immobiliare e in particolare di Evergrande, il colosso guidato da quello che, fino a un anno fa, era l’uomo più ricco di Cina. Un gigante dai piedi d’argilla, cresciuto attraverso una formula di vendita basata sugli anticipi e una leva finanziaria smisurata.«La parola più importante per la politica economica nel 2022 è stabilità» è il nuovo credo cinese che punta su un capitalismo «guidato» in un Paese dove comunque negli ultimi 40-50 anni la speranza di vita è quasi raddoppiata e il prodotto interno lordo pro capite è decollato (era 90 dollari annui a inizio 1960), trasformando la Repubblica popolare nella seconda potenza economica mondiale, mentre la capitalizzazione di mercato delle società quotate cinesi ha raggiunto lo scorso anno i 12 miliardi di dollari (era meno di 4 nel 2013).Ciononostante, il prodotto lordo pro capite cinese resta comunque molto basso (circa 10.500 dollari Usa), di poco superiore a quello russo, un sesto di quello statunitense e un terzo di quello europeo.Nell’indice azionario Msci emerging Asia, la Cina ha un peso importante (il 43%), seguita da Taiwan (20%), Corea del Sud (15,4%) e India (15,3%), mercato che lo scorso anno è stato la vera rivelazione (+34% nel 2021). «È comprensibile quindi che per il 2022 le previsioni sul mercato cinese siano molto differenti rispetto al passato, anche se i multipli raggiunti dalle società cinesi restano molto attraenti. La politica rimane sicuramente il rischio maggiore, ma è certo difficile pensare che la storia della crescita economica cinese finirà», spiega Salvatore Gaziano, direttore investimenti Soldiexpert scf. Dal primo gennaio 2022 è poi decollato l’accordo Rcep (Regional comprehensive economic partnership), quello che prevede la zona di libero scambio in Asia e che, nel lungo termine, punta all’abolizione dei dazi fra i pesi massimi dell’area (Cina, Giappone e Corea del Sud).Si tratta di una novità che potrebbe avvantaggiare alcuni mercati tra cui il Vietnam, Paese che è stato fra le rivelazioni del 2020 e che ha visto nel 2021 un repentino crollo della produzione nel terzo trimestre 2021 (-6%) per colpa del Covid-19. Ora, però, la situazione sembra essere in ripartenza e le previsioni per il 2022 mostrano una crescita del Pil tra il 6 e il 6,5%, al vertice delle economie asiatiche.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)