
Esce in Francia il libro in cui la donna pakistana, incarcerata per dieci anni con la falsa accusa di blasfemia, racconta il suo incubo La giornalista che sollevò il caso: «Ora sta bene e si batte per chi, come lei, è perseguitato. La sua storia ha fatto giurisprudenza»Quando nessuno sapeva chi era Asia Bibi, nel lontano giugno 2009, lei fu la prima a interessarsi della donna pakistana e alzare l’attenzione del mondo intero sulla sua vicenda. Anne Isabelle Tollet, giornalista televisiva francese, è stata il megafono di Asia, per far conoscere al mondo l’ingiustizia che stava vivendo. Accusata ingiustamente di blasfemia contro l’islam, Asia Bibi ha passato quasi 10 anni in carcere con una condanna a morte sulla testa. La donna, madre di cinque figli, cattolica, ha vissuto per anni in isolamento aggrappandosi alla sua fede. Oggi Asia Bibi e Anne Tollet si incontrano e danno alle stampe un libro che racconta in prima persona un incubo che non dovrebbe più accadere. Si intitola Enfin libre! (Edition du Rocher, pagg. 216, euro 17,90) ed è uscito in Francia il 29 gennaio, presto dovrebbe arrivare anche in Italia. La Verità intervista in esclusiva la Tollet.Cominciamo dalla fine: quali emozioni ha provato quando finalmente ha potuto incontrare Asia Bibi libera?«Dopo dieci anni ho finito per chiedermi se esistesse davvero! Quando l’ho vista per la prima volta, mi sono sentita commossa e intimidita: finalmente ho visto la persona per la quale ero diventata il megafono. Ma che gioia vedere questa piccola donna, così vivace e allegra! Sono stata ancora più felice di constatare come fosse una combattente: non era sfinita da questi dieci anni di prigione, né si autocommiserava. È una donna forte».Come sta oggi Asia Bibi?«Sta bene, in una maniera sorprendente. È fisicamente e mentalmente in forma, e piena di vita. Dopo aver vissuto 10 anni d’inferno direi che è straordinario».È tornata, se così si può dire, a una normalità quotidiana?«Beh, a casa è lei il “capo”. Si va a tavola quando lo decide Asia e tutti ruotano intorno a lei. L’ho trovata divertente, pur non parlando la stessa lingua siamo riuscite a intenderci e a ridere delle piccole cose della quotidianità. L’ho trovata anche molto lucida, ha riflettuto su questi dieci anni ed è in grado di distinguere chi l’ha veramente aiutata e chi, invece, ha utilizzato la sua vicenda solo per interessi politici. Asia è triste per aver dovuto lasciare il Pakistan, la sua città, suo padre, la sua famiglia… ma nello stesso tempo vuole continuare a essere la voce di tutti coloro che sono ingiustamente accusati di blasfemia».Adesso, invece, andiamo all’inizio. Quando e perché lei si è interessata alla storia di questa donna pakistana? «Sulla scia della sua condanna nel novembre 2010, quando papa Benedetto XVI ha parlato da piazza San Pietro a suo favore. Questo ha infiammato il Pakistan, centinaia di migliaia di islamisti hanno manifestato nelle strade del paese in nome dell’ingerenza della Chiesa cattolica nella repubblica islamica del Pakistan. Pertanto, come tutti i corrispondenti dei canali internazionali sul posto, io ho coperto la notizia. Ma, poco dopo la mia trasmissione, l’allora ministro per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti, che era un amico, è venuto per dirmi: “Ho visto che hai parlato di Asia Bibi ed è una cosa buona, perché vorrei che ne parlassimo più seriamente: se non ci sarà una grande mobilitazione internazionale Asia Bibi morirà”».Da quel momento è diventata la voce di questa donna nel mondo«Il ministro Bhatti mi ha fatto conoscere la famiglia di Asia Bibi che era nascosta sotto la sua responsabilità. Quindi, sì, ho cominciato il lavoro di giornalismo investigativo: sono andata nel suo villaggio, ho incontrato i suoi accusatori, il mullah... e mi sono resa conto che era una vera cospirazione e assolutamente non un caso di “blasfemia”. Su questo ho fatto i miei primi reportage. Ma sono stato anche toccata dalla famiglia di Asia Bibi che era completamente indigente. Mi resi conto in quel momento che la legge sulla blasfemia poteva essere un’arma assolutamente formidabile. E che ogni cittadino pakistano, qualunque fosse la sua fede, viveva nel terrore di questa legge che poteva, con una semplice accusa, uccidere un essere umano. Così sono andata oltre il mio ruolo di giornalista, sentivo di avere la responsabilità della sua vita nelle mie mani, non potevo abbandonarla consapevolmente... Così come ha fatto la sua famiglia...».Quanto è stata importante la mobilitazione internazionale in questo caso?«Dopo la seconda sentenza dinanzi alla Corte d’appello di Lahore, avrebbe potuto essere impiccata nei quindici giorni seguenti. In quel momento sono riuscita a sollevare una forte pressione sul Pakistan, sia da parte dei media sia della comunità internazionale. Nel 2016 è stata approvata una risoluzione al Parlamento europeo volta a sanzionare finanziariamente il Pakistan se non rispettava i diritti umani. I media hanno anche dato spazio al fatto che molti sindaci avevano concesso la cittadinanza onoraria ad Asia Bibi. Ognuno degli ultimi tre presidenti della Francia, Nicolas Sarkozy, François Hollande ed Emmanuel Macron ha preso in mano il telefono per chiamare la loro controparte pakistana e dirgli che erano preoccupati per la situazione di Asia Bibi. Ciò ha chiaramente esercitato una pressione sul Pakistan che è stato osservato con maggior attenzione dalla comunità internazionale e quindi non ha potuto apertamente travolgere i diritti umani».Lei ha dichiarato di aver scritto a papa Francesco per chiedergli di non intervenire pubblicamente sul caso di Asia Bibi, perché?«Dopo la sua seconda condanna, ho letto qua e là sulla stampa molte richieste affinché papa Francesco parlasse a suo favore. Quando ho letto questo mi sono detta: “Mio Dio, se papa Francesco dice qualcosa su Asia Bibi, siamo fritti”. Mi sono presa la libertà di scrivergli per spiegargli che sarebbe stato controproducente perché in Pakistan il suo intervento sarebbe stato percepito come un’interferenza della Chiesa cattolica in una repubblica islamica e quindi era meglio, per Asia Bibi e per tutti i cristiani in Pakistan, che il Papa non parlasse pubblicamente. Il Santo Padre ha accolto e recepito bene questo messaggio e mi ha detto che si trattava di un argomento complesso, in cui era necessario procedere con diplomazia anche come leader religioso e che in questo caso era perfettamente giustificato».Come mi ha raccontato, lei ha incontrato in più occasioni il ministro delle minoranze religiose Shahbaz Bhatti, assassinato nel 2011 da un gruppo islamista, che molti considerano come un martire. Il suo sacrificio e la storia di Asia Bibi hanno cambiato le cose per le minoranze in Pakistan?Il coinvolgimento di Shahbaz Bahtti fu totale, fino al punto di morire! Per lui provo un rispetto profondo. Le minoranze in Pakistan non possono esprimersi liberamente anche se “il caso Asia Bibi” è stato risolto. È difficile che il Pakistan si congratuli con se stesso per la sua liberazione, ma per il futuro “il caso Asia Bibi” ha fatto giurisprudenza: “Chiunque accusa ingiustamente qualcuno di aver commesso blasfemia sarà pesantemente condannato”».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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