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2023-01-25
L'impressionante ascesa della China National Tobacco Corporation
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A differenza di queste tradizionali società Big Tobacco, l’impressionante ascesa di China Tobacco è passata sotto silenzio in gran parte del mondo. Tutto questo però sta cambiando rapidamente mentre la società si espande in modo aggressivo in nuovi Paesi come parte della controversa iniziativa Belt and Road di Pechino. I giornalisti dell'Occrp (Organized Crime and Corruption Reporting Project) in una recente inchiesta hanno descritto come l’azienda cinese ha perseguito una strategia di espansione che è eticamente dubbia e non di rado illegale. Anche se CNTC è diventata la più grande compagnia di sigarette al mondo, si sa relativamente poco del gigante cinese del tabacco che grazie ad una complicatissima rete si società satellite, joint venture e altre società, alcune con collegamenti a reti di contrabbando, ha letteralmente inondato i mercati illegalmente con i suoi marchi.
L’ascesa è iniziata nel 2015 quando il gigante statale Cntc ha sfruttato la Belt and Road: il gigantesco piano per lo sviluppo delle infrastrutture e del commercio cinese a livello globale e così China Tobacco, ha spinto in modo aggressivo le sue sigarette in nuovi mercati e ha ampliato la produzione di tabacco in altri Paesi. Per la dottoressa Judith Mackay, nemica giurata delle aziende Big Tobacco, esperta dell'industria globale delle sigarette: «I cinesi stanno cercando il dominio globale e un posto nel mondo». L'azienda cinese si è conquistata il favore dei consumatori anche attraverso la pubblicità e finanziando progetti comunitari in patria e all'estero, entrambi i quali violano gli impegni della Cina nei confronti della Convenzione quadro sul controllo del tabacco (Fctc), un trattato globale supervisionato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
China National Tobacco Corporation ha copiato i modelli di sviluppo delle Big Tobacco Philip Morris International (Pmi), British American Tobacco (Bat), Imperial Brands e Japan Tobacco International (Jti) che negli anni sono state tutte colpite da una serie di scandali riguardanti il contrabbando e le attività pubblicitarie giudicate non etiche: «Come modello, si potrebbe sostenere che questo è proprio ciò che la Cina sta facendo ora e non è diverso da quello che hanno imparato dal resto del mondo», ha affermato Judith Mackay. Ma i cinesi hanno imparato bene la lezione tanto che secondo una stima del 2019 del suo più grande concorrente, PMI, «China Tobacco controlla circa il 45% del mercato globale delle sigarette e delle unità di tabacco riscaldato. Questa è una quota maggiore rispetto a Pmi, Bat, Jti e Imperial Brands». Poiché Cntc è interamente di proprietà statale, a differenza dei suoi concorrenti Big Tobacco, il suo successo mette il governo cinese nella scomoda posizione di lavorare direttamente contro i propri obblighi Fctc.
Ma come sempre sono i soldi a fare la differenza e China Tobacco è la quarta azienda più redditizia del Paese e già nel del 2017 un articolo pubblicato sulla rivista Global Public Health raccontava che la Cntc forniva già allora più dell'11% delle entrate fiscali statali della Cina e secondo Jennifer Fang, una delle autrici dell'articolo ed esperta del settore del tabacco in Asia presso la Simon Fraser University, l'attenzione di China Tobacco per le vendite interne spiega molto bene la mancanza di informazioni sulle attività in altri Paesi: «Il mercato principale di Cntc rimane in Cina e non è ben noto all'estero al di là della diaspora cinese. Penso che questo sia il motivo principale per cui è passato inosservato ai ricercatori, alle istituzioni, ai media, sul controllo del tabacco». La ricercatrice ha aggiunto: «Più approfondiamo, più ci rendiamo conto di quanto sia stata aggressiva la Cntc riguardo alla sua strategia di globalizzazione, poiché prende di mira materie prime, prodotti, sviluppo del marchio e operazioni». L’inchiesta dei giornalisti dell'Occrp ha svelato che le filiali della Cntc continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo: «Alcune sono responsabili dell'acquisto di foglie di tabacco e della produzione di sigarette. Anche le filiali in Paesi come il Brasile e lo Zimbabwe sono diventate attori importanti nella coltivazione, e tutto questo a danno degli agricoltori locali. China Tobacco sta anche forgiando nuovi mercati, spesso paesi in cui i loro marchi non sono venduti legalmente». L'indagine dell'Occrp rivela anche come persone e aziende collegate al Cntc hanno consegnato sigarette ai contrabbandieri per essere vendute sul mercato nero in Europa e in America Latina: «È una strategia ben documentata che Pmi ha utilizzato in Colombia negli anni Novanta, quando le sue sigarette Marlboro hanno invaso illegalmente il mercato. Il governo ha quindi deciso di legalizzare e tassare il marchio Pmi. In questi giorni, la Colombia è piena di marchi come Golden Deer e Silver Elephant».
L’Italia non è certo immune ai traffici illeciti e il sospetto è che la Cntc possa usare la stessa tattica, incoraggiando la proliferazione di sigarette poco costose, che vengono contrabbandate nel paese o fabbricate illegalmente. Secondo Cosimo De Giorgi, ufficiale della Guardia di Finanza, «le sigarette si chiamano Regina, un nome legato alla tradizione italiana, alla lingua italiana e questo potrebbe anche essere un cavallo di Troia».
Le principali rotte globali delle reti di contrabbando
Come detto il traffico di tabacco è un'attività che genera profitti multimiliardari in tutto il mondo. Una delle principali rotte globali di contrabbando passa attraverso i Balcani dall'Europa orientale fino al Nord Africa, dove la totale mancanza di sicurezza, la dilagante corruzione, i confini porosi e la scarsa cooperazione tra i paesi hanno creato un terreno fertile per ogni commercio illecito. Come si legge nel report Ittp Nexus in Europe and Beyond nel 2017 più di 10 miliardi di sigarette prodotte nella zona di libero scambio di Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti sono state contrabbandate in Nord Africa direttamente o attraverso la Grecia e i Balcani. Di questi, quasi quattro miliardi sono stati spediti in Tunisia e due miliardi in Libia. Molte di queste sigarette sono state poi trafficate verso i mercati illeciti dell'Europa occidentale. La Libia grazie alla sua posizione strategica tra l'Europa meridionale, gli Stati del Golfo e il Sahel, è un centro di traffico attraente per i contrabbandieri. Il caotico contesto politico e di sicurezza del Paese ha compromesso lo stato di diritto, consentendo ai sindacati dell'Europa sudorientale e alla mafia italiana di distribuire sigarette illecite a livello locale e regionale. Come scrive Abdelkader Abderrahmane, ricercatore senior presso l’Osservatorio regionale della criminalità organizzata dell'Africa occidentale, progetto Enact, Istituto per gli studi sulla sicurezza (Iss): «I volumi di contrabbando trafficati in Nord Africa sono sconcertanti. Tra il 2014 e il 2018, oltre 20 milioni di confezioni di sigarette Cleopatra sono state prodotte ogni anno in Albania ed esportate in Libia. Una volta lì, sono stati contrabbandati attraverso il confine in Egitto. Nel 2015, le autorità greche hanno intercettato una nave da carico che trasportava 146 tonnellate di sigarette Cleopatra diretta in Libia. Solo nel 2016, 11,5 milioni di spedizioni di sigarette Cleopatra sono state esportate dall'Albania alla Libia attraverso Malta». Sempre a proposito di Libia si stima che 1,5 miliardi di sigarette siano state contrabbandate dalla Grecia nel 2017. E nel 2018, la dogana maltese ha sequestrato 37 milioni di sigarette contraffatte legate alla mafia italiana e destinate alla Libia. Ma è la Tunisia il luogo prediletto dai contrabbandieri, che spostano i loro carichi direttamente dall'Europa meridionale o dalla Libia. Tra il 2018 e il 2020, la dogana tunisina ha intercettato almeno 15 milioni di pacchetti di sigarette di contrabbando. La Tunisia pare non avere gli anticorpi necessari per contrastare i fenomeni criminali, visto che dalla caduta del presidente Zine El Abidine Ben Ali durante la rivoluzione del 2011 di fatto ha minato lo stato di diritto della Tunisia. I criminali non temono più la polizia o le forze di sicurezza mal equipaggiate, e di conseguenza il numero di contrabbandieri e trafficanti è aumentato come racconta il report di Kpmg Illicit cigarette consumption in the Eu, Uk, Norway and Switzerland (2021) nel quale si racconta di come i contrabbandieri «spesso vedono la cooperazione con i funzionari statali e i servizi di sicurezza come il modo più sicuro per garantire la loro protezione. Le informazioni e i pagamenti vengono scambiati per la possibilità di perseguire attività illegali». Altro aspetto rilevante relativo alla Tunisia è la differenza di prezzo tra marchi stranieri fabbricati localmente o autentici e le importazioni illegali. Poiché il governo tunisino ha il monopolio dell’industria del tabacco, il mercato è altamente regolamentato. Ma gli individui corrotti coinvolti nel mercato legale delle sigarette creano deliberatamente carenze di scorte, aumentando la domanda di fumo di contrabbando e contraffatto. Secondo Abdelkader Abderrahmanen «i trafficanti usano due metodi principali per contrabbandare sigarette verso e all'interno del Nord Africa. Dall'Europa meridionale e dai Balcani, le merci vengono solitamente trasportate in Libia da una nave da un porto marittimo, come Bar in Montenegro, utilizzando scartoffie fittizie». Secondo un contrabbandiere libico che ha parlato con i ricercatori del Enact «i trafficanti europei organizzano anche il trasbordo tra navi in mare nel Mediterraneo. Con l'aiuto delle milizie, i contrabbandieri libici scambiano la benzina con sigarette illecite e talvolta alcol o altri prodotti».
La rotta balcanica
A proposito di instabilità endemica non ci si può certo dimenticare dei Balcani che svolgono un ruolo significativo nel contrabbando di sigarette verso il Nord Africa. Il continuo ribollire di tensioni etnico-religiose e nei Balcani non ha fatto altro che indebolire lo stato di diritto, un fatto che ha consentito ai funzionari statali di partecipare alla criminalità organizzata, tra cui il traffico di sigarette, droga e armi, estorsioni e rapimenti. Queste rotte illegali delle sigarette sono rese più complesse dalla fabbrica della China Tobacco International Europe Company (Ctiec) costruita nel 2007 in Romania. L'industria funge da principale avamposto della Cina per l'espansione delle vendite a livello globale. Evidente come per la Ctiec, la Libia sia la porta d'accesso ai mercati africani ed europei. Nel 2021, due contrabbandieri e un alto dirigente Ctiec sono stati sorpresi a pianificare di trafficare un container di 17 tonnellate di sigarette dall'Italia attraverso la Libia. Per contrastare questi traffici servirebbe una più stretta cooperazione in materia di sicurezza tra i paesi europei in particolare i Balcani, la Libia e la Tunisia che oggi presenta gravi carenze. Nella situazione attuale, tuttavia, è altamente probabile che il contrabbando di sigarette continui indisturbato per tutto il Nord Africa, i Balcani e l'Europa sudorientale.
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La Cntc è la più grande azienda di tabacco al mondo e rappresenta quasi la metà della produzione mondiale di sigarette. Sostenuta dallo Stato, detiene una sorta di monopolio virtuale nel gigantesco mercato del tabacco cinese, il più grande del mondo, che vende più di Philip Morris, British American Tobacco, Imperial Brands e Japan Tobacco International messi insieme.A differenza di queste tradizionali società Big Tobacco, l’impressionante ascesa di China Tobacco è passata sotto silenzio in gran parte del mondo. Tutto questo però sta cambiando rapidamente mentre la società si espande in modo aggressivo in nuovi Paesi come parte della controversa iniziativa Belt and Road di Pechino. I giornalisti dell'Occrp (Organized Crime and Corruption Reporting Project) in una recente inchiesta hanno descritto come l’azienda cinese ha perseguito una strategia di espansione che è eticamente dubbia e non di rado illegale. Anche se CNTC è diventata la più grande compagnia di sigarette al mondo, si sa relativamente poco del gigante cinese del tabacco che grazie ad una complicatissima rete si società satellite, joint venture e altre società, alcune con collegamenti a reti di contrabbando, ha letteralmente inondato i mercati illegalmente con i suoi marchi.L’ascesa è iniziata nel 2015 quando il gigante statale Cntc ha sfruttato la Belt and Road: il gigantesco piano per lo sviluppo delle infrastrutture e del commercio cinese a livello globale e così China Tobacco, ha spinto in modo aggressivo le sue sigarette in nuovi mercati e ha ampliato la produzione di tabacco in altri Paesi. Per la dottoressa Judith Mackay, nemica giurata delle aziende Big Tobacco, esperta dell'industria globale delle sigarette: «I cinesi stanno cercando il dominio globale e un posto nel mondo». L'azienda cinese si è conquistata il favore dei consumatori anche attraverso la pubblicità e finanziando progetti comunitari in patria e all'estero, entrambi i quali violano gli impegni della Cina nei confronti della Convenzione quadro sul controllo del tabacco (Fctc), un trattato globale supervisionato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms).China National Tobacco Corporation ha copiato i modelli di sviluppo delle Big Tobacco Philip Morris International (Pmi), British American Tobacco (Bat), Imperial Brands e Japan Tobacco International (Jti) che negli anni sono state tutte colpite da una serie di scandali riguardanti il contrabbando e le attività pubblicitarie giudicate non etiche: «Come modello, si potrebbe sostenere che questo è proprio ciò che la Cina sta facendo ora e non è diverso da quello che hanno imparato dal resto del mondo», ha affermato Judith Mackay. Ma i cinesi hanno imparato bene la lezione tanto che secondo una stima del 2019 del suo più grande concorrente, PMI, «China Tobacco controlla circa il 45% del mercato globale delle sigarette e delle unità di tabacco riscaldato. Questa è una quota maggiore rispetto a Pmi, Bat, Jti e Imperial Brands». Poiché Cntc è interamente di proprietà statale, a differenza dei suoi concorrenti Big Tobacco, il suo successo mette il governo cinese nella scomoda posizione di lavorare direttamente contro i propri obblighi Fctc.Ma come sempre sono i soldi a fare la differenza e China Tobacco è la quarta azienda più redditizia del Paese e già nel del 2017 un articolo pubblicato sulla rivista Global Public Health raccontava che la Cntc forniva già allora più dell'11% delle entrate fiscali statali della Cina e secondo Jennifer Fang, una delle autrici dell'articolo ed esperta del settore del tabacco in Asia presso la Simon Fraser University, l'attenzione di China Tobacco per le vendite interne spiega molto bene la mancanza di informazioni sulle attività in altri Paesi: «Il mercato principale di Cntc rimane in Cina e non è ben noto all'estero al di là della diaspora cinese. Penso che questo sia il motivo principale per cui è passato inosservato ai ricercatori, alle istituzioni, ai media, sul controllo del tabacco». La ricercatrice ha aggiunto: «Più approfondiamo, più ci rendiamo conto di quanto sia stata aggressiva la Cntc riguardo alla sua strategia di globalizzazione, poiché prende di mira materie prime, prodotti, sviluppo del marchio e operazioni». L’inchiesta dei giornalisti dell'Occrp ha svelato che le filiali della Cntc continuano a moltiplicarsi in tutto il mondo: «Alcune sono responsabili dell'acquisto di foglie di tabacco e della produzione di sigarette. Anche le filiali in Paesi come il Brasile e lo Zimbabwe sono diventate attori importanti nella coltivazione, e tutto questo a danno degli agricoltori locali. China Tobacco sta anche forgiando nuovi mercati, spesso paesi in cui i loro marchi non sono venduti legalmente». L'indagine dell'Occrp rivela anche come persone e aziende collegate al Cntc hanno consegnato sigarette ai contrabbandieri per essere vendute sul mercato nero in Europa e in America Latina: «È una strategia ben documentata che Pmi ha utilizzato in Colombia negli anni Novanta, quando le sue sigarette Marlboro hanno invaso illegalmente il mercato. Il governo ha quindi deciso di legalizzare e tassare il marchio Pmi. In questi giorni, la Colombia è piena di marchi come Golden Deer e Silver Elephant».L’Italia non è certo immune ai traffici illeciti e il sospetto è che la Cntc possa usare la stessa tattica, incoraggiando la proliferazione di sigarette poco costose, che vengono contrabbandate nel paese o fabbricate illegalmente. Secondo Cosimo De Giorgi, ufficiale della Guardia di Finanza, «le sigarette si chiamano Regina, un nome legato alla tradizione italiana, alla lingua italiana e questo potrebbe anche essere un cavallo di Troia».Le principali rotte globali delle reti di contrabbandoCome detto il traffico di tabacco è un'attività che genera profitti multimiliardari in tutto il mondo. Una delle principali rotte globali di contrabbando passa attraverso i Balcani dall'Europa orientale fino al Nord Africa, dove la totale mancanza di sicurezza, la dilagante corruzione, i confini porosi e la scarsa cooperazione tra i paesi hanno creato un terreno fertile per ogni commercio illecito. Come si legge nel report Ittp Nexus in Europe and Beyond nel 2017 più di 10 miliardi di sigarette prodotte nella zona di libero scambio di Jebel Ali negli Emirati Arabi Uniti sono state contrabbandate in Nord Africa direttamente o attraverso la Grecia e i Balcani. Di questi, quasi quattro miliardi sono stati spediti in Tunisia e due miliardi in Libia. Molte di queste sigarette sono state poi trafficate verso i mercati illeciti dell'Europa occidentale. La Libia grazie alla sua posizione strategica tra l'Europa meridionale, gli Stati del Golfo e il Sahel, è un centro di traffico attraente per i contrabbandieri. Il caotico contesto politico e di sicurezza del Paese ha compromesso lo stato di diritto, consentendo ai sindacati dell'Europa sudorientale e alla mafia italiana di distribuire sigarette illecite a livello locale e regionale. Come scrive Abdelkader Abderrahmane, ricercatore senior presso l’Osservatorio regionale della criminalità organizzata dell'Africa occidentale, progetto Enact, Istituto per gli studi sulla sicurezza (Iss): «I volumi di contrabbando trafficati in Nord Africa sono sconcertanti. Tra il 2014 e il 2018, oltre 20 milioni di confezioni di sigarette Cleopatra sono state prodotte ogni anno in Albania ed esportate in Libia. Una volta lì, sono stati contrabbandati attraverso il confine in Egitto. Nel 2015, le autorità greche hanno intercettato una nave da carico che trasportava 146 tonnellate di sigarette Cleopatra diretta in Libia. Solo nel 2016, 11,5 milioni di spedizioni di sigarette Cleopatra sono state esportate dall'Albania alla Libia attraverso Malta». Sempre a proposito di Libia si stima che 1,5 miliardi di sigarette siano state contrabbandate dalla Grecia nel 2017. E nel 2018, la dogana maltese ha sequestrato 37 milioni di sigarette contraffatte legate alla mafia italiana e destinate alla Libia. Ma è la Tunisia il luogo prediletto dai contrabbandieri, che spostano i loro carichi direttamente dall'Europa meridionale o dalla Libia. Tra il 2018 e il 2020, la dogana tunisina ha intercettato almeno 15 milioni di pacchetti di sigarette di contrabbando. La Tunisia pare non avere gli anticorpi necessari per contrastare i fenomeni criminali, visto che dalla caduta del presidente Zine El Abidine Ben Ali durante la rivoluzione del 2011 di fatto ha minato lo stato di diritto della Tunisia. I criminali non temono più la polizia o le forze di sicurezza mal equipaggiate, e di conseguenza il numero di contrabbandieri e trafficanti è aumentato come racconta il report di Kpmg Illicit cigarette consumption in the Eu, Uk, Norway and Switzerland (2021) nel quale si racconta di come i contrabbandieri «spesso vedono la cooperazione con i funzionari statali e i servizi di sicurezza come il modo più sicuro per garantire la loro protezione. Le informazioni e i pagamenti vengono scambiati per la possibilità di perseguire attività illegali». Altro aspetto rilevante relativo alla Tunisia è la differenza di prezzo tra marchi stranieri fabbricati localmente o autentici e le importazioni illegali. Poiché il governo tunisino ha il monopolio dell’industria del tabacco, il mercato è altamente regolamentato. Ma gli individui corrotti coinvolti nel mercato legale delle sigarette creano deliberatamente carenze di scorte, aumentando la domanda di fumo di contrabbando e contraffatto. Secondo Abdelkader Abderrahmanen «i trafficanti usano due metodi principali per contrabbandare sigarette verso e all'interno del Nord Africa. Dall'Europa meridionale e dai Balcani, le merci vengono solitamente trasportate in Libia da una nave da un porto marittimo, come Bar in Montenegro, utilizzando scartoffie fittizie». Secondo un contrabbandiere libico che ha parlato con i ricercatori del Enact «i trafficanti europei organizzano anche il trasbordo tra navi in mare nel Mediterraneo. Con l'aiuto delle milizie, i contrabbandieri libici scambiano la benzina con sigarette illecite e talvolta alcol o altri prodotti».La rotta balcanicaA proposito di instabilità endemica non ci si può certo dimenticare dei Balcani che svolgono un ruolo significativo nel contrabbando di sigarette verso il Nord Africa. Il continuo ribollire di tensioni etnico-religiose e nei Balcani non ha fatto altro che indebolire lo stato di diritto, un fatto che ha consentito ai funzionari statali di partecipare alla criminalità organizzata, tra cui il traffico di sigarette, droga e armi, estorsioni e rapimenti. Queste rotte illegali delle sigarette sono rese più complesse dalla fabbrica della China Tobacco International Europe Company (Ctiec) costruita nel 2007 in Romania. L'industria funge da principale avamposto della Cina per l'espansione delle vendite a livello globale. Evidente come per la Ctiec, la Libia sia la porta d'accesso ai mercati africani ed europei. Nel 2021, due contrabbandieri e un alto dirigente Ctiec sono stati sorpresi a pianificare di trafficare un container di 17 tonnellate di sigarette dall'Italia attraverso la Libia. Per contrastare questi traffici servirebbe una più stretta cooperazione in materia di sicurezza tra i paesi europei in particolare i Balcani, la Libia e la Tunisia che oggi presenta gravi carenze. Nella situazione attuale, tuttavia, è altamente probabile che il contrabbando di sigarette continui indisturbato per tutto il Nord Africa, i Balcani e l'Europa sudorientale.
C'è un'invenzione che si deve agli aviatori, anzi, a un minuto personaggio brasiliano stanco di dover cercare l'orologio nel suo taschino mentre pilotava l'aeroplano.
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Se a causa degli scandali, il supporto alla resistenza ucraina mostra vistose crepe, con più della metà degli italiani che non è intenzionata a sostenere militarmente le truppe che cercano di respingere l’armata russa, non è che i soldati che da quasi quattro anni combattono sembrano poi pensarla in modo molto diverso. Sul Corriere della Sera ieri è stata pubblicata un’immagine in cui si vedono militari in divisa sfatti dalla fatica. Tuttavia, a colpire non è la stanchezza dei soldati, ma la loro età. Si capisce chiaramente che non si tratta di giovani bensì di anziani, considerando che comunque l’età media dei militari è superiore ai 40 anni. Uomini esausti, ma soprattutto anagraficamente lontani da un’immagine di agilità e forza. Intendiamoci, a volte gli anni portano esperienza e competenza, soprattutto al fronte, dove serve sangue freddo per non rischiare la pelle. Ma non è questo il punto: non si tratta di pensionare i militari più vecchi, ma di reclutare i giovani e questo è un problema che la fotografia pubblicata sul quotidiano di via Solferino ben rappresenta. Il giornale, infatti, ci informa che 235.000 militari non si sono presentati ai loro reparti e quasi 54.000 sono già stati ufficialmente dichiarati disertori. In pratica, un soldato su quattro del milione mobilitato pare non avere alcuna intenzione di imbracciare un fucile. Per quanto le guerre moderne si combattano con l’Intelligenza artificiale, con i satelliti e i droni, poi alla fine la differenza la fanno sempre gli uomini. A Pokrovsk, la città che da un anno resiste agli assalti delle truppe russe, impedendo agli uomini di Putin di dilagare nel Donbass, se non ci fossero reparti coraggiosi che continuano a respingere gli invasori, Mosca avrebbe già visto sventolare la sua bandiera sui tetti delle poche costruzioni rimaste in piedi dopo mesi di bombardamenti devastanti.
Il tema delle diserzioni, della fuga all’estero di centinaia di migliaia di giovani che non vogliono morire sotto le bombe, è tale che in Polonia e Germania, ma anche in altri Paesi confinanti, si sta facendo pressione per impedire l’arrivo di ulteriori fuggiaschi. Se si guarda al numero di chi non ha intenzione di combattere si capisce perché è necessario raggiungere una tregua. Quanto ancora potrà resistere l’Ucraina in queste condizioni? A marzo comincerà il quinto anno di guerra. Un conflitto che rischia di non avere precedenti, per numero di morti e per la devastazione. E soprattutto uno scontro che minaccia di trascinare in un buco nero l’intera Europa, che invece di cogliere il pericolo sembra scommettere ancora sulle armi piuttosto che sulla tregua. C’è chi continua a invocare una pace giusta, ma la pace giusta appartiene alle aspirazioni, non alla realtà.
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Non è detto che non accada. Intanto siete già riusciti a risvegliare dal lungo sonno il sottosegretario Alberto Barachini, che non è poco, anche se forse non basta di fronte alla grande battaglia, che avete lanciato, per salvare il «pensiero critico». Il punto è chiaro: un conto è se viene venduto un altro giornale, magari persino di destra, che allora ben gli sta; un conto è se viene venduto il quotidiano che andava in via Veneto e dettava la linea alla sinistra. Allora qui non sono soltanto in gioco posti di lavoro e copie in edicola. Macché: sono in gioco le «garanzie democratiche fondamentali per l’intero Paese» e soprattutto «la sopravvivenza stessa di un pensiero critico». Non si discute, insomma, del futuro di Repubblica, si discute del futuro della repubblica, come è noto è fondata sul lavoro di Eugenio Scalfari.
Del resto come potremmo fare, cari colleghi, senza quel pensiero critico che in questi anni abbiamo imparato ad ammirare sulle vostre colonne? Come faremo senza le inchieste di Repubblica per denunciare lo smantellamento dell’industria automobilistica italiana ad opera degli editori Elkann? Come faremo senza le dure interviste al segretario Cgil Maurizio Landini che attacca, per questo, la ex Fiat in modo spietato? Come faremo senza gli scoop sulle inchieste relative all’evasione fiscale di casa Agnelli? Il fatto che tutto ciò non ci sia mai stato è un piccolo dettaglio che nulla toglie al vostro pensiero critico. E che dire del Covid? Lì il pensiero critico di Repubblica è emerso in modo chiarissimo trasformando Burioni in messia e il green pass in Vangelo. E sulla guerra? Pensiero critico lampante, nella sua versione verde militare e, ovviamente, con elmetto d’ordinanza. Ora ci domandiamo: come potrà tutto questo pensiero critico, così avverso al mainstream, sopravvivere all’orda greca?
Lo so che si tratta solo di un cambio di proprietà, non di una chiusura. Ma noi siamo preoccupati lo stesso: per mesi abbiamo letto sulle vostre colonne che c’era il rischio di deriva autoritaria nel nostro Paese, il fascismo meloniano incombente, la libertà di stampa minacciata dal governo antidemocratico. E adesso, invece, scopriamo che il governo antidemocratico è l’ancora di salvezza per salvare baracca e Barachini? E scopriamo che il vero nemico arriva dalla Grecia? Più che mai urge pensiero critico, cari colleghi. E, magari, un po’ meno di boria.
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Volodymyr Zelensky (Ansa)
Il cambio di rotta, secondo quanto rivelato dal Financial Times e da Reuters, è stato annunciato dallo stesso leader di Kiev in una chat su Whatsapp con i giornalisti. Ha spiegato che «fin dall’inizio, il desiderio dell'Ucraina è stato quello di aderire alla Nato», ma pare aver gettato la spugna visto che «alcuni partner non hanno sostenuto questa direzione». Ha quindi svelato che ora si parla «di garanzie di sicurezza bilaterali tra Ucraina e Stati Uniti, vale a dire garanzie simili all’articolo 5, nonché di garanzie di sicurezza da parte dei nostri partner europei e di altri Paesi come Canada, Giappone e altri».
Prima del vertice di Berlino, Zelensky ha poi dichiarato di non aver ricevuto le risposte della Casa Bianca sulle ultime proposte inviate dalla delegazione ucraina, ma ha già messo le mani avanti sull’offerta degli Stati Uniti inerente al Donbass. Washington ha infatti suggerito che Kiev si ritiri dalla «cintura delle fortezze» delle città nel Donbass che non sono state conquistate da Mosca. Sostenendo che non sia «giusto», il presidente ucraino ha commentato: «Se le truppe ucraine si ritirano tra i cinque e dieci chilometri per esempio, allora perché le truppe russe non si devono ritirare nelle zone dei territori occupati della stessa distanza?». Dunque, la linea ucraina resta quella del cessate il fuoco: «fermarsi» sulle posizioni attuali per poi «risolvere le questioni più ampie attraverso la diplomazia». Ma è plausibile che questa proposta americana venga rifiutata anche dalla Russia, visto che il consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, aveva già riferito che Mosca è disposta ad accettare solo il controllo totale del Donbass.
Ma l’attenzione ieri, oltre al dietrofront di Kiev sulla Nato, è stata rivolta ai colloqui di Berlino tra la delegazione ucraina e quella americana. Dopo aver «lavorato attentamente su ogni punto di ogni bozza», Zelensky è stato accolto nella capitale tedesca dal cancelliere Friedrich Merz. Il presidente ucraino ha condiviso alcune immagini inerenti alle trattative sul piano di pace: nel lungo tavolo ovale, al fianco di Zelensky compaiono Merz e il negoziatore ucraino Rustem Umerov, mentre sul lato opposto sono seduti Witkoff e Kushner. Ma secondo la Bild, a essere presente in modo «indiretto» ai negoziati è stata anche la Russia. Pare che l’inviato americano sia stato infatti in contatto con Ushakov. In ogni caso, il leader di Kiev, su X, ha spiegato poco prima lo scopo dei colloqui: concentrarsi «su come garantire in modo affidabile la sicurezza dell’Ucraina». Il dialogo proseguirà anche oggi: è previsto un vertice a cui prenderanno parte dieci leader europei, il segretario generale della Nato, Mark Rutte, e il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
A restare scettica sulle iniziative europee è la Russia. Ushakov, ricordando che Mosca non ha ancora visionato le modifiche di Bruxelles e di Kiev al piano, ha comunque detto che non saranno accettati i cambiamenti. D’altronde, è «improbabile che gli ucraini e gli europei diano un contributo costruttivo ai documenti». Sempre il consigliere del Cremlino ha anche rivelato che non è mai stata affrontata «la possibilità di replicare l’opzione coreana» per porre fine alla guerra. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha poi definito «irresponsabili» le parole pronunciate giovedì dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, secondo cui la Russia si prepara ad attaccare l’Europa.
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