2025-06-03
Urne vicine, arriva lo sciopero Cgil alle Poste
Il segretario della Cgil, Maurizio Landini (Ansa)
Il sindacato di Landini e la Uil oggi contestano il piano dell’ad Del Fante, che contempla anche aumenti in busta paga ed è stato approvato dalla grande maggioranza dei lavoratori. Troppo forte la tentazione di fare marketing politico in vista del referendum.Sciopero nazionale alle Poste indetto da Cgil e Uil. I maliziosi penseranno che si tratti dell’opportunità di allungare il ponte del 2 giugno. Non è così. Le due sigle protestano contro il Piano rete. Si tratta di un accordo secondo il quale l’azienda guidata da Matteo Del Fante prevede di assumere e stabilizzare 7.500 persone nei prossimi due anni. All’interno c’è una riorganizzazione - che le due sigle nonostante i numeri bollano come «piano tagli» - che mira a spostare operatori dal settore tradizionale a quello dei pacchi e delle consegne. Oltre al corollario di digitalizzazione. Per comprendere la ratio bisogna andare a vedere l’ultima trimestrale e si vede chiaramente come i ricavi si siano spostati sul secondo comparto. Insomma, una scelta strategica. Così la pensano evidentemente le altre sigle che lo scorso inverno hanno detto sì al programma. Che tra l’altro per dovere di cronaca prevede anche aumenti contenuti e indennità in caso di trasferimento da un settore all’altro. Eppure a novembre del 2024, quando le decisioni erano sul tavolo ancora da prendere, il no assoluto di Maurizio Landini avrebbe rischiato di bloccare qualunque decisione. Così la Cisl, sindacato allora guidato da Luigi Sbarra, che rappresenta l’80% dei lavoratori insieme a Confsal Comunicazioni, Failp Cisal e Fnc Ugl, ha chiesto tavoli separati. L’azienda, come previsto dalla legge, ha convocato tutti i sindacati. All’incontro del 19 novembre, Cgil e Uil hanno abbandonato la trattativa, salvo ripresentarsi il giorno dopo. Ma solo per perorare la causa (in vista del 29 novembre) dello sciopero generale. Negli ultimi sei mesi nessuna novità, né avvicinamento da parte di Cgil o Uil. Landini si è concentrato nella battaglia politica per lui più importante, quella dei referendum. Ha trascinato Elly Schlein portando il Pd a spaccarsi sul Jobs act. Landini, che ieri si è detto certo che il quorum sarà superato, ha pure organizzato un lungo tour nelle città italiane cercando di convincere i lavoratori che i quesiti saranno fondamentali per il loro futuro. Ci piace sul tema ricordare la piccante intervista di Tito Boeri sul tema. L’ispiratore della legge che ha riformato il mercato del lavoro, l’economista della Bocconi, è convinto che l’eventuale vittoria del sì non farebbe altro che peggiorare il livello dei salari, il grande male italiano. «L’occupazione sale, i salari continuano a restare bassi. Perché?», spiega Boeri, «sono due facce della stessa medaglia: se il costo del lavoro diminuisce, le imprese tendono ad assumere di più. Purtroppo i salari in Italia non hanno tenuto il passo dell’inflazione come in altri Paesi: stiamo parlando di una perdita del potere d’acquisto del dieci per cento rispetto a quattro anni fa, soprattutto nei servizi». Che sui referendum è letteralmente lapidario. Se i quesiti passassero, sarebbe l’ennesimo disincentivo agli investimenti di imprese innovative in Italia. «Per essere innovativi bisogna prendere grandi rischi di fallire: in questo modo», conclude l’economista, «aumenterebbero invece i costi dei fallimenti». Evidentemente Landini la pensa diversamente. E quindi visto che a volte a pensar male si fa peccato ma di solito non si sbaglia, ecco che la diatriba con Poste, che appariva chiaramente artificiale già lo scorso novembre, torna buona questa settimana. Per un martedì che guarda caso cade proprio a pochi giorni dalle urne aperte per il referendum. Una ottima occasione per fare marketing politico e richiamare l’attenzione anche se più fuori che dentro l’azienda. E così torniamo al tema di fondo. La sinistra ha abbracciato la missione del capo della Cgil. Compreso quella del salario minimo. Senza spiegare che i 9 euro lordissimi auspicati non sono altro che 6,7 euro netti. La media dei contratti italiani è superiore agli 11 euro. Che - ricordiamolo - sono comunque pochi. La media è bassa perché si sono verificati casi in cui le stesse sigle che perorano la causa dei referendum hanno messo la propria firma sotto il Ccnl miseri con paghe orarie sui 5 euro. Senza contare le innumerevoli trattative bloccate dalla Cgil a discapito delle buste paghe degli iscritti. Un esempio su tutti i circa 20 miliardi spalmati su due trienni contrattuali che il ministro Paolo Zangrillo vede fermi nel congelatore per il no sindacale. La politica non dovrebbe mischiarsi così tanto con il sindacato. Altrimenti le strade si confondono e si perde la traiettoria. Lo sanno anche gli iscritti alla Cgil che da quando comanda Landini sono scesi di 200.000 unità.