2020-06-13
Arriva la neolingua: il dizionario Usa riscrive la definizione di razzismo
Dopo le martellanti richieste degli attivisti, i redattori del celebre Merriam-Webster hanno annunciato che cambieranno le voci sulla discriminazione. Per dare ragione agli oltranzisti black, danneggiano tutti.E fu così che la neolingua immaginata da George Orwell divenne una realtà, peraltro con la soddisfatta approvazione dei sinceri democratici. Sull'onda delle sommosse seguite alla morte di George Floyd negli Stati Uniti, i curatori del dizionario Merriam-Webster hanno fatto sapere che ne modificheranno la voce «razzismo», rendendola più adatta all'attualità e al clima di protesta. Stiamo parlando del dizionario inglese più venduto su Amazon, la cui prima edizione risale al 1806. La compagnia che lo edita, per altro, dal 1964 è una sussidiaria della storica Encyclopaedia Britannica: insomma, istituzioni di rilevanza mondiale.Attualmente, come riporta il New York Times, la voce del dizionario contiene tre sezioni. «La prima definisce il razzismo come “la convinzione che la razza sia la principale determinante dei tratti e delle capacità umane e che le differenze razziali producano una intrinseca superiorità di una razza particolare". La seconda lo identifica come “dottrina o programma politico basato sull'assunzione del razzismo e progettato per attuare i suoi principi" e “un sistema politico o sociale fondato sul razzismo". La terza sezione si riferisce a “pregiudizio o discriminazione razziale"». A quanto sembra, si tratta di definizioni piuttosto esaustive. Ma, secondo gli attivisti per i diritti neri, non è così. In particolare, a battersi perché la voce fosse cambiata è stata una ragazza di 22 anni, Kennedy Mitchum, fresca di laurea alla Drake University di Des Moines, nell'Iowa. Costei ha scritto varie lettere ai redattori del Merriam-Webster sostenendo che «il razzismo non è solo un pregiudizio contro una determinata razza a causa del colore della pelle di una persona, come afferma il vostro dizionario. È anche un pregiudizio combinato con il potere sociale e istituzionale. È un sistema di vantaggio basato sul colore della pelle». I redattori del dizionario, dopo vari scambi epistolari (e pure qualche confronto pubblico) con la neolaureata, hanno annunciato che la voce «razzismo» sarà modificata. Non solo: saranno cambiate anche altre definizioni di parole che toccano temi razziali, ovviamente andando incontro alle istanze di Kennedy Mitchum, che poi sono le stesse portate avanti dai militanti black da qualche anno a questa parte. Certo, a uno sguardo superficiale sembra una questione di lana caprina: la ragazza americana chiede semplicemente di inserire un riferimento alla «oppressione sistemica» prodotta dal razzismo. Questo approccio, tuttavia, comporta conseguenze non irrilevanti. Proviamo a spiegare. Uno dei motivi per cui la giovane Kennedy ha insistito per modificare la voce nel dizionario dipende dal fatto che, a suo dire, durante le discussioni all'università molto bianchi citavano proprio la definizione del Merriam-Webster come argomento a loro favore. Alle accuse di razzismo mosse dagli attivisti neri, gli studenti bianchi replicavano spiegando che essere razzisti significa considerare qualcuno inferiore per via del colore della pelle, e discriminarlo di conseguenza. Ma per i militanti neri questo non basta. Per loro è razzista chiunque partecipi al «privilegio bianco». Quindi non c'è bisogno di discriminare materialmente una persona per essere considerati razzisti. Sapete che cosa significa tutto ciò? Che qualunque bianco disapprovi le idee politiche dei movimenti come Black lives matter può essere a buon diritto giudicato razzista. Non solo. La nuova visione del razzismo impedisce ai bianchi di parlare di discriminazione a loro sfavore. In sostanza, ogni favoritismo nei confronti dei neri diventa legittimo, poiché viene considerato come una forma di compensazione, un risarcimento per «l'oppressione sistemica» a cui i neri sono sottoposti. Idee di questo tipo non circolano soltanto negli Usa ossessionati dal politicamente corretto, ma pure qui da noi. Un esempio calzante è il «neorazzismo» di cui ha scritto la filosofa Donatella Di Cesare. Questo nuovo razzismo «seguita a discriminare, ma non “in nome della razza". Un razzismo che non dice, ad esempio, “gettiamo a mare quei negroni", ma parla di “respingimenti" e del necessario “rimpatrio degli immigrati"». Il neorazzismo - questo il pensiero diffuso a sinistra - «sceglie pratiche inedite, preferisce un nuovo vocabolario», fa leva «sul timore del declassamento e se ne serve in difesa dell'identità nazionale». In base a questa definizione «larga», razzista non è solo chi discrimina su basi biologiche, ma chiunque rifiuti, per esempio, di accogliere gli immigrati. O chiunque difenda l'identità nazionale. In pratica, ogni persona che abbia idee diverse da quelle progressiste in materia di rapporti fra culture. Le tesi di Kennedy Mitchum sono ancora più radicali, e se portate all'estremo potrebbero tranquillamente essere usate per giustificare la discriminazione dei neri nei confronti dei bianchi. Del resto qualcosa di simile avviene già, e non da oggi. Se si leggono i testi di molti attivisti neri dal dopoguerra a oggi - i discorsi di di Malcolm X, le sparate di Muhammad Alì e decine di libri che anche oggi vanno per la maggiore - ci si rende conto che sono intrisi di odio razziale. Non chiedono parità di diritti: vogliono vendetta. Ma, in nome del «razzismo sistemico», questo tipo di odio viene giustificato, proprio come oggi vengono giustificate la violenza e la furia iconoclasta di Black lives matter e simili.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)